sabato 22 novembre 2008
La clausura si apre al mondo: oggi le suore usano Internet e il telefono. E nei monasteri cresce il numero delle novizie (Vecchi)
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Su segnalazione della nostra Alessia leggiamo:
La vocazione Settemila donne hanno scelto la vita contemplativa. Il Papa: sono «oasi spirituali» del nostro tempo
La comunicazione Spesso sono persone colte, laureate, professioniste. E le loro storie diventano libri, film, documentari
La clausura si apre al mondo
Oggi le suore usano Internet e il telefono, hanno colloqui senza grata. E nei monasteri cresce il numero delle novizie
Gian Guido Vecchi
Una testimonianza più unica che rara viene mostrata in queste settimane da «Sat2000» nei suoi film-documentari I passi del silenzio. Ma che sia davanti a un video o dietro una grata, al telefono o via internet, si finisce sempre per sentirsi come il giovane Holden quando, in piena fuga, incontra le due suore alla stazione centrale di New York: un po' intimiditi, affascinati e sorpresi. «Ma come, esistono ancora le monache di clausura?», si chiedeva Elena prima di diventare clarissa in Umbria. Altroché se esistono. Cala il numero di sacerdoti, calano religiosi e religiose, calano le nuove vocazioni, calano tutti quanti ma loro no, con buona pace della famosa «secolarizzazione». È la scelta più radicale e difficile, silenzio, preghiera, lavoro, «nulla anteporre a Cristo» e tutto questo «per sempre»: ogni giorno, dalle 4.50 (Mattutino, e le trappiste hanno la Levata alle 3.15) a Compieta (20.45), separate — almeno fisicamente — dal mondo. Eppure in Italia ci sono 545 monasteri di clausura e settemila donne che hanno scelto la vita contemplativa, quasi la metà tra benedettine e clarisse. Ci sono decine di siti internet frequentatissimi e foresterie da prenotare per tempo. Soprattutto, in base agli ultimi dati completi, si contano 447 giovani donne entrate in clausura tra «postulanti », ancora al primo passo, e novizie. Le novizie, in particolare, arrivano a 268 contro le 232 di cinque anni prima. E le testimonianze raccontano spesso di donne colte, laureate, professioniste, lettrici che possono spiegarti la vocazione con due versi di Montale, «perché tutte le immagini portano scritto: "più in là"!». Hanno pure il senso dell'umorismo, come suor Antonella di Bergamo, che nel sito del monastero domenicano di cui è badessa (www.matrisdomini.org) si presenta come «webmonaca» e risponde a una quantità di email, «le persone ci chiedono ascolto, condivisione, preghiera, soprattutto non vogliono essere giudicate ».
L'ultimo censimento è del 2005 ma la tendenza è costante, il numero di nuovi ingressi non solo tiene, ma sale. «Non si può parlare d'una crescita massiccia, ma certo soddisfacente», riassumono al «Segretariato assistenza monache» del Vaticano, che raccoglie i dati ogni cinque anni e soprattutto aiuta le monache anziane e malate (offerte al c/c postale 241018).
La scelta riguarda le donne come gli uomini, anche se «c'è la clausura normata, delle donne, e la cosiddetta clausura monastica maschile, per cui si esce solo se c'è bisogno: ma nessuno di noi osa chiamarla clausura», spiega il biblista Enzo Bianchi, fondatore e priore della comunità monastica di Bose. «Gli unici uomini ad avere una clausura rigida sono i certosini, ma è comunque mitigata rispetto alle monache».
Non sono grandi numeri ma testimoniano di un fenomeno stupefacente, almeno a prima vista. Mai come in questi anni è cresciuta l'attenzione verso l'universo della taciturnitas, il «silenzio» della Regola di San Benedetto che nel VI secolo — dopo l'esempio di anacoreti e cenobiti orientali, e tra gli altri l'esperienza di Gerolamo e gli scritti di Agostino nel IV secolo — diverrà il canone del monachesimo occidentale. Proprio oggi la Chiesa, nella memoria della Presentazione di Maria al Tempio, ricorda le comunità di clausura con la giornata pro Orantibus.
Del resto il maggior sostenitore di queste «oasi» del presente è proprio Benedetto XVI, «la vostra presenza nella Chiesa e nel mondo è indispensabile», ha detto domenica.
Resta memorabile il discorso del Papa al Collège des Bernardins di Parigi, il 12 settembre, una ricognizione vertiginosa sulle radici della cultura europea e il ruolo decisivo del monachesimo nel custodire la cultura antica in quel «grande sconvolgimento» e formare la nuova.
Ma questo grazie al fatto che «il loro obiettivo era quaerere Deum, cercare Dio». Oggi che Dio è il «grande Sconosciuto », concludeva, quella domanda è altrettanto necessaria. «Non a caso ha scelto il nome Benedetto — riflette ancora Enzo Bianchi —. Siamo in una situazione analoga a quando il monachesimo è nato: allora il paganesimo, oggi l'indifferentismo. Da questo punto di vista il Papa è un po' incompreso: in profondità non è assolutamente nemico della modernità, ma alla modernità vuole indicare il primato di Dio: e il monachesimo dice l'essenziale».
Sarà per questo che anche l'attenzione cresce. Basterebbe il successo di un film come Il grande silenzio di Philip Gröning, girato tre anni fa nel monastero della Grande Chartreuse di Grenoble. Di libri come Clausura di Espedita Fisher (ed. Castelvecchi) con le sue decine di testimonianze preziose. E soprattutto della serie I passi del silenzio, di Ivano Balduini e Marina Pizzi, che per la prima volta hanno filmato dall'interno la vita quotidiana nei monasteri di clausura di cistercensi e benedettine, domenicane, trappisti e camaldolesi. Un'idea di Dino Boffo, direttore di Avvenire e della tv della Cei. Che ha attinto, sorride, a una memoria d'infanzia: «Il mio primo incontro con il mondo monastico fu grazie a Clausura, la celebre inchiesta radiofonica di Sergio Zavoli, ricordo ancora quell'astuccio blu di 33 giri che ascoltai nei primi anni Sessanta: il rumore d'una grata che si apre, i passi sul selciato, le domande e le risposte, una colonna sonora che mi ha accompagnato per tutta la vita». L'inchiesta televisiva prosegue, i documentari saranno riproposti in dvd. Volti, interviste, immagini che cercano con la stessa discrezione e sobrietà di «rispettare i ritmi del silenzio». Monaci che fanno legna, canti sacri, monache intente a tessere o dipingere icone sacre. E i veli bianchi delle novizie: «Si dimostra che non è addolcendo o facilitando il costo della chiamata che aumentano le vocazioni. Più il messaggio rimane integro e più c'è riscontro nelle persone, nelle anime», considera Boffo.
Insomma, «non è che da noi arrivino giovani depresse, stanche di vivere, senza marito o un posto nella società », chiarisce suor Giovanna, domenicana e responsabile della formazione nel monastero «Santa Maria della Neve» di Pratovecchio, vicino ad Arezzo. «Sono donne impegnate e colte che a un certo punto del loro cammino avvertono un vuoto e scoprono di poterlo colmare donandosi totalmente al Signore. Se non hanno terminato gli studi le invitiamo a farlo, prima. Se no chiediamo: non ti spiace rinunciare alla carriera? La gente resta stupita, non capisce la scelta, la vede come una fuga dal mondo. Ma in realtà la vita contemplativa ci pone al centro di esso». In fondo «non è mai stata di moda, e proprio per questo non è mai passata di moda », spiegano le carmelitane scalze di Parma. Certo che arrivano donne sempre più consapevoli e colte, «anche in questo il monastero è uno specchio della nostra società». Possono cercare «il fascino della vita radicale, un po' come gli sport estremi», o credere in «una vita senza problemi, non pensando che in monastero portiamo noi stesse e il nostro mondo problematico ». Ma c'è poco da fare, «l'unica motivazione che tiene » è la stessa delle origini, «quella di San Paolo: per me vivere è Cristo».
© Copyright Corriere della sera, 21 novembre 2008
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