lunedì 20 luglio 2009

La crisi e l'enciclica sociale: Oltre il liberismo, oltre il socialismo (Osservatore Romano)


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La crisi e l'enciclica sociale

Oltre il liberismo oltre il socialismo

di Giuseppe Tamburrano

Per essere capito è utile che mi presenti. Sono laico, rigorosamente laico, e socialista, integralmente socialista. Un socialista riformista, che ha creduto e si è battuto per l'idea di un mondo più giusto e libero, che oggi ci crede ancora ma non riesce più a battersi perché il movimento e l'impegno politico sono esauriti. Ma crederci e difendere quella idea è importante, sin quando vi saranno ingiustizie, esseri umani tenuti nella povertà, nell'ignoranza e nella soggezione. La speranza di cambiare le cose tiene viva la volontà a operare per la rinascita di un movimento la cui crisi è un oscuramento da cui potrà venire nuova luce.
Debbo fare una necessaria, ulteriore precisazione. Sono socialista e cristiano, come Ignazio Silone. Come Camillo Prampolini, che nella Predica di Natale mette in luce i valori comuni tra socialismo e cristianesimo. Come Giacomo Matteotti, che a un prete rimproverava di non stare dalla parte dei proletari. Come quegli ingenui militanti che affermavano che "Cristo è stato il primo socialista".
Alla vigilia del g8 è stata pubblicata l'enciclica Caritas in veritate. L'incontro svoltosi all'Aquila è andato bene, come hanno sottolineato quasi unanimemente i media italiani e internazionali. Ma, a parte l'aumento dell'impegno finanziario dei Paesi ricchi a favore di quelli poveri - per la verità, una goccia d'acqua nel deserto delle necessità - e le dichiarazioni d'intenti contro il riscaldamento globale, scarsamente efficaci mancando l'adesione della Cina e dell'India, questo g8 non è stato diverso dagli altri: un utile scambio di opinioni. Anzi, ha rivelato seri limiti, poiché al suo tavolo non seggono Paesi importanti nel processo economico globale e si è probabilmente trattato di un canto del cigno, come da più parti è stato sottolineato.
Il g8 si è riunito nel bel mezzo di una gravissima crisi economica e non abbiamo udito la consueta esaltazione del mercato e della globalizzazione. Ma, a parte la proposta del ministro italiano dell'Economia, Giulio Tremonti, di adottare regole etiche nella finanza internazionale - mentre banche e investitori istituzionali americani stanno tornando alle vecchie pratiche - non è emerso un progetto comune di riforma e non è stata avanzata una idea col marchio europeo.
E mentre la globalizzazione rifluisce nei confini nazionali e il tanto esaltato mercato invece di autoregolarsi rischia, come ha detto Paul Samuelson, di autodistruggersi, i Governi non sanno fare altro che salvare imprese industriali e finanziarie con i soldi dei contribuenti. E così facendo operano una rivoluzione: salvano imprese acquisendole. Una rivoluzione che è teorica - sovrano non è più il mercato ma lo Stato - e pratica; lo Stato, infatti, per sua natura deve, o dovrebbe, proporsi fini generali.
Che cosa sarà la società economica quando la crisi sarà superata? Si è detto che il mondo non sarà più lo stesso. Comincio a dubitarne. Il fatto è che una crisi devastante - prodotta da un sistema esaltato e giudicato perfetto al punto da far parlare addirittura di "fine della storia" - ha rivelato che l'avidità dell'arricchimento senza limiti è la sola spinta e il vero titolo tossico.
La verità è che questa crisi - la quale ha fatto fallire miriadi di piccole imprese, gettato sul lastrico milioni di lavoratori, provocato più fame e miseria soprattutto nei Paesi poveri e generato nuove disparità e ingiustizie - non è stata fronteggiata da un antagonista, né da soggetti collettivi, e gli stessi no global sono ormai pateticamente pochi e afoni.
Ha fatto invece sentire la sua voce il Papa con la Caritas in veritate e con l'appello del 12 luglio appunto al g8. Nella Rerum novarum Leone XIII si distingue dai due contendenti dominanti - il liberismo e il socialismo - cercando il suo spazio e affermando la superiorità di una economia solidale al servizio della persona umana. Con la Mater et magistra la Chiesa di Giovanni XXIII, consapevole e forte della sua autorità, si apre al dialogo, soprattutto con uno dei contendenti: il socialismo.
La Chiesa di Benedetto XVI non ha né concorrenti né interlocutori: né il socialismo né il liberismo. Ma ha di fronte a sé un sistema economico dissestato e ingiusto che ignora le tragedie della miseria, della fame, dell'analfabetismo, della mortalità infantile, delle ineguaglianze, delle guerre tra poveri, del fanatismo, del razzismo, del traffico di esseri umani e della droga: l'elenco è lungo.
Il liberismo dichiara il suo fallimento lasciando un campo immenso di ingiustizie. Il socialismo non c'è più. È davvero rimasta solo la Chiesa a chiedere una economia a misura d'uomo e a dare voce ai derelitti della terra e all'imperativo della pari dignità di tutti gli uomini, di tutte le donne, di tutti i bambini?

(©L'Osservatore Romano - 19 luglio 2009)

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