martedì 29 settembre 2009
Il j’accuse di Magister. Autorevole vaticanista dice che la realpolitik di Bertone non è in sintonia col Papa (Tiliacos)
Il j’accuse di Magister
Autorevole vaticanista dice che la realpolitik di Bertone non è in sintonia col Papa
di Nicoletta Tiliacos
Grande è la confusione, almeno in apparenza, nella chiesa italiana. Basta scorrere le cronache delle ultime settimane, e ricordare le circostanze delle dimissioni del direttore di Avvenire, Dino Boffo, per avere, più che l’impressione, la certezza di uno scontro “intraecclesiale” con pochi precedenti nella storia recente. Uno scontro del quale sfuggono ai più i contorni precisi, ma che senza dubbio esiste. Lo conferma al Foglio il vaticanista di lungo corso Sandro Magister.
Con il suo sito in quattro lingue www.chiesa.espressonline.it, Magister rappresenta una delle voci più importanti dell’informazione religiosa, non solo italiana, riguardante la chiesa cattolica.
“Più che di confusione parlerei di grande disordine. L’impressione complessiva è che ai livelli alti della chiesa confliggano visioni della realtà, in Italia e nel mondo, che non sono facilmente componibili. Anzi, spesso si scontrano, con un’ulteriore aggravante. Chi, all’interno della gerarchia della chiesa, si erge come critico deciso di soluzioni precedenti ritenute non più all’altezza o non più praticabili, non è portatore di una visione convincente, capace di delineare un nuovo corso ai vertici della chiesa stessa”.
Scendiamo nei particolari.
Si riferisce, per quanto riguarda l’Italia, alla volontà di una parte della gerarchia di dichiarare per sempre conclusa la cosiddetta “era Ruini”? E quali sono gli attori e i progetti che si confrontano in questo passaggio tutt’altro che indolore? Secondo Magister, va fatta una considerazione preliminare: “La battaglia che si combatte nelle gerarchie in Italia è interna a una battaglia più grande, che abbraccia l’intero mondo. Mi spiego. Quando si sostiene – con fondamento – che vi è una differente visione delle cose da parte della Segreteria di stato vaticana e dell’episcopato italiano, non bisogna trascurare che la medesima divergenza esiste tra la stessa Segreteria di stato e molti epsicopati nazionali, e non di secondo conto”.
Qualche esempio? “Uno dei più lampanti è quello degli Stati Uniti. Non c’è alcun dubbio sul fatto che la Conferenza episcopale americana, in questi ultimi anni, abbia ridisegnato il proprio modo di confrontarsi con le amministrazioni che si sono succedute, da Bush junior a Obama. Si è delineato, dentro una delle conferenze episcopali più numerose del mondo, un nucleo forte di vescovi e cardinali che hanno svolto un ruolo molto critico nei confronti delle amministrazioni in carica, come si è visto in particolare con Obama. Il leader di questa tendenza non è una figura secondaria, ma è il cardinale più autorevole degli Stati Uniti. Parlo del presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Francis George di Chicago, da sempre uno dei più stimati da Papa Ratzinger”.
Sulla stessa linea critica rispetto alla presidenza Obama, spiega Magister, “ci sono un’ottantina di vescovi americani su 250. Gli elementi conflittuali sono noti e si richiamano direttamente alla sfera bioetica, primo tra tutti il capitolo dell’aborto.
Ebbene, questi elementi non secondari dell’episcopato americano non si sono mai visti sostenuti, ma semmai osteggiati, dalla segreteria di stato vaticana e dall’organo ufficiale della Santa sede, l’Osservatore Romano, che della Segreteria è voce.
Basti pensare – prosegue Magister – che sono state elevate fiere proteste da parte di alcuni vescovi americani nei confronti del segretario di stato, nelle quali si è lamentato anche il ruolo dell’Osservatore Romano”. Si tratta, dice Magister, “di fatti noti e sostanzialmente pubblici.
Un elemento che fece molto adirare alcuni importanti vescovi americani fu, per esempio, l’editoriale molto positivo, anche sulle questioni della famiglia e della bioetica, che l’Osservatore pubblicò per i cento giorni di Obama alla Casa Bianca.
C’è poi stata la laurea ad honorem al neo-presidente da parte dell’Università di Notre Dame, anche in questo caso con forti polemiche, perché a conferire l’onorificenza era un’importante istituzione di studi cattolici. In entrambi i casi, la mobilitazione critica dei vescovi nei confronti della presidenza Obama è stata vista con disfavore dalla Segreteria di stato e dall’Osservatore romano, e ha creato conflitto”.
Un conflitto tuttora in atto?
“Sì, non è stato in alcun modo sanato. L’altro esempio da non dimenticare è quello della Cina. Anche in questo caso, siamo di fronte a uno scontro di visioni: da una parte, l’estrema cautela, verso il governo cinese, da parte di Segreteria di stato e diplomazia vaticana; dall’altra, il leader di una visione più combattiva, il cardinale Zen. Anche qui, una figura di grande peso e di grande statura, che non ha mai nascosto quella conflittualità. Zen ha scritto in più di un’occasione, anche nel giornale della diocesi di Hong Kong, di cui è vescovo emerito, che Bertone è un freno alla linea inaugurata da Benedetto XVI con la famosa lettera ai cattolici cinesi di due anni fa”.
Magister fa l’esempio del Vietnam, “dove è in corso da mesi una grandiosa battaglia fatta con centinaia di migliaia di cattolici in piazza e veglie di preghiera che si susseguono, a fronte di una strategia di contenimento repressivo da parte governativa. Eppure, da parte della Segreteria di stato non c’è mai stato un sostanziale sostegno. Anzi, il cardinale Bertone ha diffuso una lettera ai vescovi del Vietnam con cui, in pratica, consiglia loro di star buoni. Nemmeno l’Osservatore Romano non ha mai dedicato una riga a queste vicende”.
Magister vede in tutto ciò una “linea ‘concordataria’, fatta di buon vicinato, di rapporti istituzionali cortesi, utilizzata anche dove i concordati non ci sono proprio. Non mi sembra una linea all’altezza delle linee maestre dei due grandi pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI”. Si può parlare di semplice realismo politico? In fondo non sarebbe una novità assoluta nella vita della chiesa: “Certo, il realismo caratterizza da sempre la diplomazia vaticana. E’ un realismo fatto di calcoli sul possibile, che ha avuto il suo apogeo, forse eccessivamente celebrato, con l’Ostpolitik vaticana degli anni Sessanta e Settanta del cardinale Casaroli, e che continua a essere praticato”. Un realismo, per arrivare alle vicende nazionali, che si applica anche in Italia, dice Magister: “Ieri con Prodi e oggi con Berlusconi. Con risultati anche un po’ paradossali. Tutti possono ricordare che, negli anni del governo Prodi, il cardinale Tarcisio Bertone era il campione della stampa di sinistra, opposto alla gerarchia episcopale italiana, descritta come regressiva e portatrice di intransigenza e fanatismo.
Ora l’ottica è rovesciata, sempre sugli stessi giornali. Il cardinal Bertone è diventato il leader ecclesiastico che indebitamente pretende di avere con il governo Berlusconi un rapporto amichevole, e la Cei è esaltata come portatrice di una linea critica”.
Fin qui l’analisi a grandi linee della politica della Segreteria di stato negli anni recenti. Quindici anni segnati, per la chiesa italiana, dal cardinale Camillo Ruini alla guida della Cei. Secondo Magister, ruiniano di ferro che non fa mistero di esserlo, “la linea impersonata da Ruini ha faticato a crescere e a imporsi, ha avuto il suo apogeo negli anni tra il 2004 e il 2007, ed è coincisa con lo straordinario momento del referendum sulla legge 40, nel 2005. E’ stata del tutto innovativa, per la chiesa italiana, che ha accettato in pieno l’affermarsi del bipolarismo, così come ha accettato e fatto propria l’indipendenza della chiesa dalle singole forze politiche, e ha chiuso per sempre con la stagione del partito cattolico (o comunque con il nucleo dei politici cattolici che sul terreno partitico si arrogano il compito di rappresentare la chiesa). Ruini ha pensato e agito avendo di fronte a sé la nazione intera, non il mondo cattolico. Con lui, la proposta che partiva dalla chiesa italiana non era motivabile solo alla luce della dottrina e della fede, ma voleva essere accettabile da una platea più vasta di persone, compresi i non credenti”. Vi si può leggere una sintonia con l’idea ratzingeriana della possibilità della ragione ben orientata di arrivare, su certi temi, a conclusioni armoniche con la fede? “Non c’è dubbio, e si tratta di una sintonia straordinaria, tuttora esistente, tra il Papa e il cardinal Ruini. Lo stesso Progetto culturale voluto dal cardinale è qualcosa che riconosce la peculiarità della nazione e del cattolicesimo italiano, visto come espressione di una chiesa di popolo”. Una visione che si scontra con quale altra? “C’è una lettura elitaria, dominante sui media negli ultimi decenni, che guardava e guarda al cattolicesimo italiano in termini di arretratezza, bilanciata dalla presenza di un ceto più colto e più cristianamente ispirato. Un po’ come i fratelli maggiori e i figlioli prodighi. Ma ricordo che fu Arturo Parisi, voce non sospetta, a notare che i cattolici irregolari sono stati quelli meglio capiti dal fenomeno del berlusconismo”.
In che senso? “Nel senso che, tra le tante cose che ha fatto, Berlusconi ha anche chiuso la questione cattolica, se la si intende come separatezza, invincibile o quasi, del mondo cattolico rispetto all’agorà politica italiana. L’apparente assenza di cattolici blasonati nel governo e nella sua formazione politica non vuol dire che non esistano i cattolici. Al contrario: è stata colta perfettamente l’esistenza di una presenza molto diffusa dei cattolici ‘normali’ in Italia, sempre troppo trascurata. Si ragiona sempre in termini di cattolici praticanti, assidui, formati secondo curricula particolari, che hanno nei movimenti come le Acli e l’Azione cattolica le loro matrici.
In realtà, c’è una massa sterminata che con questo tipo di curricula non c’entra affatto: è l’ossatura del cattolicesimo italiano.
Che spiega le cifre impressionanti dell’otto per mille (che tocca il novanta per cento) e dell’insegnamento religioso nelle scuole. Scelta fatta anche da cattolici non praticanti”. Eppure si parla continuamente di “insubordinazione” dei cattolici rispetto ai dettami della chiesa: “Non necessariamente la chiesa cattolica è ascoltata e obbedita nei dettami. Ma contemporaneamente questo tipo di cattolicesimo le riconosce il dovere, più che il diritto, di parlare apertamente, senza reticenze, di ribadire la sua dottrina”.
Il progetto del cardinal Ruini, secondo Magister, “riconosceva appieno questa eccezione italiana. Guardata, tra l’altro, con molta invidia da parte di altri episcopati europei. Quello spagnolo si è letteralmente impegnato a seguire la strada aperta durante gli anni della presidenza Ruini. La quale ha capito perfettamente sia la grande identificazione della popolazione italiana con la chiesa cattolica sia l’incipiente sensibilità al tema della vita nascente. Da lì nasce anche l’affermazione nei referendum. E nasce da passi coraggiosi, come l’indicazione di non voto, data con molto anticipo, non appena il Corriere della Sera, che di quella battaglia fu protagonista, aveva dato l’indicazione opposta”.
La fine della gestione ruiniana coincide oggi con contrasti inediti in seno alla chiesa e alle sue gerarchie, con manifestazioni mediatiche e interpretazioni che ricordano il peggiore (o migliore, dipende dai punti di vista) Dan Brown, come ha scritto il Foglio. Quali esiti prevede Magister? “Voglio prima di tutto sottolineare che il Progetto culturale, tuttura vivo e attivo, non è portato avanti con la stessa convinzione dalla Conferenza episcopale. La sua attuale presidenza è visibilmente debole, nonostante la continuità, dal punto di vista formale, con la precedente presidenza. Debole dal punto di vista dell’autorità, dell’esercizio della giurisdizione. Voci dissonanti si esprimono in ordine sparso, e la cosa ha avuto delle evidenze sconcertanti durante l’attacco a Dino Boffo. Nei suoi confronti c’è stata una solidarietà graduata, nella gerarchia cattolica e nel clero. Vi sono state anche evidenti manifestazioni di una sorta di utilizzo dell’attacco a Boffo in vista della chiusura dell’era Ruini”.
L’obiettivo è stato raggiunto? “E’ una partita aperta. Il Rapporto sull’educazione realizzato nell’ambito del Progetto culturale, stampato dall’editore laico Laterza, rinnova l’impostazione di proposta al paese intero, non ai soli cattolici, da parte della Cei. C’è il convegno su Dio, molto ratzingeriano nell’impostazione, organizzato per dicembre. Il Progetto culturale è vivo e continua a operare. Ma c’è, allo stesso tempo, un’inspiegabile freddezza a livelli anche alti della gerarchia cattolica, rispetto a queste iniziative”. Anche tra i vescovi? “Anche tra loro. Nella stessa prolusione del cardinale Bagnasco ai lavori dell’ultimo consiglio permanente della Cei, le parole ‘Progetto culturale’ non sono state mai pronunciate, nonostante sia noto che proprio il Progetto culturale è uno dei bersagli fondamentali della tumultuosa operazione condotta per defenestrare Boffo. Nessun accenno nemmeno al convegno su Dio, che pure la Cei ha promosso”. Questo che cosa significa? “E’ l’indizio che il presidente della Conferenza episcopale, conoscendo la difformità di opinioni all’interno del consiglio permanente, si è tenuto a un minimo comune denominatore che non sfiorasse i temi più combattuti”.
Si può dunque dire che la Cei attraversi una fase di incertezza, che si riflette anche sui temi caldi, come il biotestamento? “Su questo punto una linea ufficiale esiste ed è favorevole alla legge. Ma si alzano voci dissonanti, come il cardinale Martini o come don Verzé. Anche chi ricopre cariche, come il presidente dei medici cattolici di Milano, Giorgio Lambertenghi, si dissocia dalla scelta della Cei”. C’era qualche dissonanza pure all’epoca dei referendum sulla legge 40, specialmente sul tema dell’uso delle staminali embrionali…
“Sì, ma ora è tutto più netto. Pensiamo alla vicenda di Eluana Englaro. Enzo Bianchi, priore di Bose, scrisse parole sferzanti contro la difesa, a suo dire fanatica, della vita di Eluana Englaro. Senza dimenticare che quel caso fu sfiorato addirittura da una polemica tra Osservatore Romano e Avvenire”.
Quali sono i prossimi passi della guerra intraecclesiale di cui è diventato arduo negare le evidenze? “Molto dipenderà dalle decisioni sulle direzioni, probabilmente scorporate, del giornale, della televisione e della radio dei vescovi. Avvenire, con Boffo, è stato il vero strumento per trasformare il messaggio cristiano in cultura popolare, come ha detto il rettore della Cattolica di Milano, Lorenzo Ornaghi. L’attacco del Giornale di Vittorio Feltri ha ottenuto, in pochi giorni, quello che alcuni gruppi cattolici molto ostili a Boffo, a Ornaghi e a quello che rappresentavano, vale a dire il Progetto culturale della Cei, cercavano da anni di ottenere facendo circolare fogli anonimi e diffamatori. Poi c’è stata una mancanza di leadership chiara da parte della Cei nella gestione, anche su Avvenire, delle polemiche sulla vita privata del premier. Avvenire non ne ha parlato subito, è stato semmai molto prudente, e dei quattro commentatori che ne hanno scritto, solo uno era favorevole a una denuncia pubblica delle nequizie private di Berlusconi. Poi c’è stata la svolta, il 6 luglio, con la predica su santa Maria Goretti del segretario della Cei, monsignor Crociata. Universalmente interpretata, a ragione, come attacco alla vita privata del premier. Crociata stesso aveva voluto che fosse trasmessa in diretta su Sat 2000. E’ stata una cosa meditata, ripresa con grande spazio dai giornali di sinistra. Dopo c’è stato un diluvio di lettere e pressioni su Avvenire, accusato di non aver parlato abbastanza delle vicende private del presidente del Consiglio. Boffo ha fatto opera di contenimento, eppure è passata la vulgata del giornale della Cei sistematicamente contro Berlusconi. Una cosa irreale, che se ci fosse stato Ruini non sarebbe accaduta”. Come andrà a finire? “La battaglia per cambiare le linee maestre nella chiesa italiana, e dunque per seppellire la linea Ruini, è tuttora in corso. Naturalmente si esprime in forme del tutto diverse da quelle dei fogli anonimi, ma non mostra contenuti alternativi chiari e persuasivi”.
© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
© Copyright Il Foglio, 29 settembre 2009 consultabile online anche qui.
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3 commenti:
boh..boh...boh...!
Magister deve sentirsi molto sicuro. E pare che sia molto risentito. E in fondo è uno degli uomini più "potenti" della libera comunicazione cattolica.
Per intenderci: anche a me piace riconoscermi come "ruiniano" (di ferro non so). Ho sempre molto stimato Sua Eminenza e continuo a stimarla, come persona, vescovo, cardinale e intellettuale. E condivido parzialmente l'analisi che riguarda lo stato attuale della chiesa italiana e della CEI come proposta da Magister. Ha ragione che l'attuale governo della CEI non si cura più del "Progetto Culturale" ideato e messo in atto da Ruini - che era un progetto veramente grande ed esemplare, una vera e propria "corazzata". Condivido anche come viene presentata l'attuale presidenza della CEI (e innanzitutto i suo presidente che non presiede nulla e non stimola niente; ricordo solo la sua ultima "prolusione" che - chiamandola deludente - le si fa un complimento - e non voglio gettare benzina sul fuoco dell'inammissibile affermazione per quanto riguarda il fatto che Sua Eminenza Bagnasco non intende annunciare la verità di Cristo a un certo gruppo di persone); è condivisibile anche lo sguardo su questi centinaia di vescovi italiani, dove ognuno pare parlare ed agire essenzialmente sempre e solo per se stesso, impedendo un vero progresso, una vera "rivoluzione benedettina". Infondo, dopo 5 anni di Pontificato ben poco hanno capito e realizzato i signori presuli nelle loro diocesi, e molto è stato lasciato semplicemente allo sbaraglio. Sono consapevole dell'incapacità della maggior parte di loro di poter comprendere la profondità della volontà di rinnovamento del Pontefice. Sento profondamente la mancanza di una figura equiparabile a Ruini, all'ampiezza e alla profondità delle sue visioni. Sono del tutto d'accordo sul fatto che Ruini e il Ruinismo dei primi anni del Pontificato si trovavano in grande sintonia con le concezioni di Benedetto XVI che sempre ha stimato la struttura e la vita della chiesa italiana ruiniata. Ruini e il Pontefice spesso davano l'impressione, sia nei contenuti che nella forma, di essere un "team" affiatato. Vorrei solo ricordare la strenua propagazione del pensiero di Benedetto XVI da parte del suo vicario per la diocesi di Roma.
Ma - ora il "ma dubitante": è possibile pensare che Bertone per via della sua personalità possa volere - senza offrire un'alternativa - la "rovina" di progetti che avevano bisogno di anni per giungere ad una maturazione? O stiamo semplicemente di nuovo davanti alla situazione che dopo un uomo come Ruini è difficile lavorare sul suo stesso livello?
E se la questione fosse Sodano - Bertone???
Eugenio
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