venerdì 24 aprile 2009

Card. Bagnasco: Nuove reti di solidarietà contro la miseria e l'esclusione sociale (Osservatore Romano)


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Nuove reti di solidarietà contro la miseria e l'esclusione sociale

Roma, 23. Un'efficace rete di protezione contro la miseria e l'esclusione sociale appare quanto mai necessaria in questi tempi segnati dalla crisi. Sono di ieri le stime dell'Istat sull'impoverimento che riguarda quasi un milione di famiglie italiane: dati che non costituiscono una novità, ma che impongono una riflessione sul nuovo modello di welfare necessario per rispondere a bisogni sociali sempre più pressanti. Di questo si è parlato ieri alla tavola rotonda promossa dall'Aspen Institute Italia in collaborazione con l'Università Cattolica del Sacro Cuore. Dagli interventi - nonostante le inevitabili differenze di prospettiva - è emersa la costante indicazione di un modello di Stato sociale calibrato sulla persona umana. È stato questo in particolare il tema di fondo dell'intervento introduttivo del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, che pubblichiamo integralmente. Ma anche il ministro italiano del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha ribadito che ogni intervento pubblico che abbia rilevanza sociale deve essere mirato alla persona come centro di relazioni umane. Dall'individuo, quindi, alla famiglia - che va sostenuta, soprattutto in questo momento di bassa natalità, nella sua fondamentale funzione di promozione e di tutela sociale - con una particolare attenzione al territorio e alle realtà locali, per evitare sprechi, troppo frequenti in Italia, e per garantire una assistenza efficace. Enrico Letta, vicepresidente dell'Aspen Institute Italia, ha evidenziato come il welfare italiano sia tutto squilibrato in chiave assistenziale, mentre solo un residuo di risorse viene destinato a favore dell'inclusione sociale, della famiglia e della natalità. Secondo Letta è quindi necessario riequilibrare il sistema e per questo sono necessarie riforme che non possono attendere la fine della crisi in atto. Una difesa del modello di welfare italiano - atipico ed empirico quanto si vuole, ma utile e a suo modo funzionale - è invece giunta dal ministro dell'Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, presidente dell'Aspen Institute Italia, che ha anche sottolineato l'insostituibile ruolo svolto dalle parrocchie nel territorio. (giuseppe fiorentino)

di Angelo Bagnasco
Cardinale, Presidente della Conferenza episcopale italiana

Nel contesto della crisi economica globale che coinvolge anche il nostro Paese, la Chiesa italiana si orienta, con sempre maggior forza, al perseguimento del bene dell'intera comunità civile e a una speciale attenzione per i più deboli, rafforzando concretamente la propria azione solidale. Accanto a consolidate forme di volontariato e impegno sociale, infatti, sono sorte in molte diocesi nuove iniziative per aiutare coloro che restano senza lavoro. In piena sintonia con questi obiettivi, la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha istituito un Fondo nazionale di garanzia di 30 milioni di Euro, che potrà generare, grazie all'accordo con l'Associazione bancaria italiana, circa 300 milioni di prestiti agevolati per famiglie in difficoltà. Questo strumento raggiungerà, secondo le stime effettuate, dalle 20.000 alle 30.000 famiglie con almeno tre figli o malati a carico e vuole valorizzare lo slancio delle comunità locali, nell'ambito di una più vasta cooperazione alla promozione dell'interesse nazionale. Non posso scordare, inoltre, la convinta adesione alla raccolta fondi promossa dalla Cei in tutte le chiese d'Italia, la scorsa domenica in albis, per le popolazioni abruzzesi colpite dal sisma, anch'essa integrata con 5 milioni di Euro.
Ma come, queste e altre forme di solidarietà - sempre più necessarie - debbono realizzarsi per essere realmente "nuove"?
Credo che le molteplici iniziative in atto non vadano vissute in modo autoreferenziale o come parti di una strategia in sé conchiusa. Viceversa, esse devono proporsi come articolazioni di un contributo complessivo e coordinato con le iniziative promosse da altri soggetti pubblici e privati a livello locale, nazionale e internazionale per prevenire e contrastare povertà e disagio. Come ci ricorda il Santo Padre, infatti, la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica (...) In questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo. V'è, dunque, il forte interesse di condividere non solo con altri attori della società civile, ma anche con le istituzioni statali, riflessioni e proposte operative per individuare e focalizzare priorità e strategie trasversali e settoriali di intervento. È quindi responsabilità comune - si profila qui un primo essenziale tratto del nuovo welfare - fare emergere i bisogni sociali prima che divengano emergenze sociali.
Vi sono, infatti, al di là della "domanda sociale" nota, aree di povertà che sfuggono alla nostra conoscenza. "Coni d'ombra" che celano spesso le persone più fragili. Così fragili da non riuscire a chiedere aiuto! Scarsa consapevolezza dei propri diritti; difficoltà a individuare e raggiungere l'interlocutore giusto; inadeguatezza a rappresentare la propria situazione. Penso ai tanti anziani che vivono soli; alle famiglie con minori o disabili a carico ovvero alle prese con difficili casi di dipendenza. Penso, inoltre, ai molti stranieri che, anche per effetto di barriere linguistiche, culturali e burocratiche, non accedono a servizi basilari.
Consegue da queste premesse l'importanza di condividere, ancor più di quanto già accada, informazioni e dati in possesso di ciascuno degli attori coinvolti. Si avverte inoltre la necessità di una "cabina di regia" che, con l'ausilio di consulenti scientifici qualificati, sappia vagliare ed elaborare il "sapere empiricamente raccolto" per "fare sintesi" e proporre politiche pubbliche adeguate a bisogni in perenne trasformazione. Anche il mondo della ricerca economica e sociale è perciò chiamato a un impegno supplementare per affinare e aggiornare tempestivamente le modalità di identificazione e misurazione di povertà e disagio. Per fare comprendere l'importanza di questa fase di conoscenza, a mero titolo esemplificativo, mi chiedo se il sistema dell'Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) oggi vigente, con cui si stabilisce l'accesso ad agevolazioni e servizi non possa essere perfezionato.
Anche questa esigenza di conoscere ci porta al secondo fondamentale passaggio per la costruzione di un nuovo sistema di welfare. Vale a dire, nell'ambito di una rinnovata alleanza tra Stato e società, l'ulteriore valorizzazione di Volontariato, Associazionismo familiare e mondo nonprofit "nato dal basso", anche per la loro funzione di "antenne sociali". Il forte radicamento popolare di tali realtà, infatti, le rende capaci non solo di rispondere a una parte del bisogno sociale, ma anche di fornire preziose anticipazioni sulle tendenze in atto. Mi pare procedere in questa direzione, per esempio, l'introduzione del 5x1000, la cui stabilizzazione, considerato il grande successo ottenuto, sarebbe auspicabile. Questo provvedimento ispirato al principio di sussidiarietà, infatti, con le novità introdotte dalla legge 80 del 2005 (Più dai Meno versi) sulla deducibilità delle donazioni, costituisce uno strumento di responsabilizzazione dei cittadini contribuenti e degli enti beneficiati.
Alla nuova domanda di "intervento pubblico", infatti, non si può rispondere secondo schemi obsoleti, ma si deve superare più decisamente una concezione di "servizio pubblico" ancora troppo appiattita sull'idea di "servizio statale o parastatale". Il "pubblico", infatti, specialmente nell'ambito dei servizi alla persona, può anche essere realizzato direttamente dai cittadini e dalle loro organizzazioni, le quali, seppure giuridicamente private, possono assumere finalità pubbliche. Tutto ciò, non implica un indebolimento dello Stato, ma richiede, viceversa, uno Stato più forte e autorevole, forse con funzioni ridotte quanto a gestione ed erogazione, ma più credibilmente impegnato nell'esercizio di quei poteri di regia, regolazione, garanzia e controllo indispensabili per la promozione del bene comune e la tutela dell'interesse nazionale.
Le positive esperienze sopra ricordate, inoltre, evidenziano l'opportunità di riscoprire attraverso un umile, ma prezioso lavoro culturale (molte parrocchie vi stanno lavorando con rinnovato slancio), quelle attitudini di "buon vicinato", che pure fanno parte del bagaglio valoriale del nostro Paese: dai più strutturati comitati di quartiere o degli inquilini sino a forme più leggere di reciproca vigilanza solidale. A questo proposito, sembrano portare buoni frutti le esperienze di "custodia sociale" nate, in alcune grandi città del Nord, dalla collaborazione tra Comuni e Terzo settore. La presenza di "custodi sociali", cioè, di persone riconosciute e autorizzate che vanno a cercare le persone bisognose là dove esse si trovano, oltre ai risultati diretti, sembra stimolare tra gli inquilini dei grandi e spersonalizzanti quartieri di edilizia popolare un nuovo senso di prossimità verso "quelli della porta accanto" o del "piano di sopra". Si moltiplicano così le segnalazioni ai servizi sociali di persone in difficoltà: la prossimità, quindi, si rivela un metodo efficace e coinvolgente per identificare il bisogno e provare a rispondervi.
La povertà nella nostra società è un fenomeno complesso, in cui si riscontrano situazioni di disagio variegate e spesso cumulative. Accanto a bisogni primari (inerenti i beni materiali di sussistenza) e secondari (salute, istruzione, assistenza...), si manifestano con forza crescente bisogni relazionali generati o acuiti dalla caduta dei legami comunitari e interpersonali, che aggravano e prolungano i primi due stati di necessità. Questo intreccio di problemi di differente natura non può essere affrontato esclusivamente con il ricorso a interventi finanziari, peraltro importantissimi, specialmente in periodi come questo. Va anzi sottolineata la positività di alcune misure recentemente adottate per sostenere i redditi di persone e famiglie meno abbienti. Penso al bonus straordinario per famiglie, lavoratori pensionati e non autosufficienti, sul quale si può soltanto rilevare (auspicando che da straordinario divenga ordinario), l'esigenza di renderlo un po' più "per famiglie" di quanto in effetti non sia.
Tuttavia, la creazione di nuove ed efficaci forme di solidarietà richiede soprattutto una vasta e coordinata gamma di politiche e di servizi rivolti alle persone, alle famiglie, alle comunità locali. Coordinata anche nel senso di un sempre più estesa e organica connessione tra iniziative collocate negli ambiti tradizionalmente qualificati come "sociali" e quelle situate in aree considerate "di confine", ma che tendono a divenire vieppiù parti integranti delle politiche sociali: formazione professionale; politiche del lavoro; politiche urbanistiche e abitative; ricerca, sanità e soprattutto, servizi educativi e servizi di sostegno alla maternità e all'infanzia. È ampiamente dimostrato il nesso tra fertilità (essenziale per l'equilibrio del sistema di welfare sul lungo periodo), sostegno alla maternità e agevolazioni fiscali per famiglie già esistenti o future (provvedimenti per giovani coppie).
Occorre quindi ribadire l'esigenza di una marcata svolta del welfare italiano in favore della famiglia. Per troppo tempo, infatti, si è concepita la famiglia esclusivamente come "fatto privato" e ambito esistenziale rilevante solo per coloro che ne fanno parte. Una visione parziale, che ha condotto alla rimozione di quella dimensione e funzione sociale, che i padri costituenti, pur provenendo da storie e culture differenti, seppero riconoscere.
Di qui, la difficoltà nel vedere la famiglia non solo come "consumatore passivo" dei servizi sociali, ma anche come un "soggetto attivo" capace di produrre una quota rilevante di capitale sociale primario, nonché di fornire un contributo, mediante le proprie reti associative (capitale sociale secondario) alla costruzione delle politiche sociali. In particolare, il fabbisogno sociale è stato suddiviso quasi sempre per compartimenti stagni (anziani, disabili, tossicodipendenti, ex detenuti, eccetera), con un approccio meramente specialistico. È mancata la capacità di fare sintesi, di mettere a fuoco le relazioni fra gli individui e i loro contesti familiari e perciò di investire sulle possibili corrispondenze tra problemi e risorse individuali e tra problemi e risorse familiari. Proprio la capacità di raggiungere questa sintesi è quindi un altro punto essenziale per costruire un moderno ed efficace sistema di welfare fondato sulla sinergia tra Stato e nuove solidarietà.
Le nuove solidarietà, infine, richiedono oggi l'acquisizione di una concezione più forte della stessa idea di solidarietà. Sempre più, nel lessico comune, questo termine è inteso come assunzione di responsabilità virtuose (in forma personale, associativa, politico-istituzionale) circa processi di esclusione sociale che conservano o accrescono condizioni di disagio nella vita di persone, famiglie e gruppi sociali.
Ma assumere responsabilità presuppone la consapevolezza di "dovere rispondere" e quella "dell'interlocutore a cui rispondere". Si presuppone, inoltre, l'educazione a onorare tale consapevolezza, che è poi coscienza della propria e della altrui dignità.
In questo senso, se è giusto sottolineare la convenienza individuale e sociale della solidarietà (penso, per esempio, al grande tema della responsabilità sociale delle imprese), non si può pensare che ciò basti per conferirle profondità, stabilità e durata. La storia della solidarietà sociale nel nostro Paese mostra infatti come il dato valoriale (confessionale o laico) sia essenziale dal punto di vista delle motivazioni e della creatività. Una società solidale non può prescindere dal proprio retroterra "comunitario" e, in ultima istanza, dal percepirsi essa stessa come una "comunità civile", intesa come "consesso legato da tradizioni e affetti". Occorre, pertanto, lavorare per la costruzione di una comunità civile aperta, plurale, capace di confronto, in quanto dotata di una propria identità culturale di sintesi e perciò non soggiogata dalla diffusione di paure e chiusure nei confronti della diversità.
La gravità di questa crisi economica si spiega anche come effetto della crisi di identità in cui versa l'Occidente, da cui discende un forte disorientamento per la perdita di punti di riferimento essenziali. Da tale smarrimento è nata e ha potuto svilupparsi in modo abnorme una inadeguata e incompleta concezione dello sviluppo, del lavoro e dell'impresa, che non ha tenuto conto del necessario equilibrio tra le molte dimensioni della vita umana, familiare, sociale, ambientale, religiosa. Promuovere il ritorno all'etica esclusivamente in ambito finanziario, dunque, non basta: anche nel lavoro e nelle altre tipologie di intrapresa si deve ridare centralità alla persona umana. D'altro canto, la solidarietà può davvero dirsi "nuova" sole se capace di guardare avanti e se, nell'affrontare le difficoltà contingenti, non ignora le criticità strutturali.

(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2009)

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