venerdì 24 aprile 2009

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La Pasqua secondo gli apocrifi

Il canto del gallo arrostito e la conversione di Ponzio Pilato

L'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede ha ospitato giovedì 23 la presentazione della mostra "Apocrifi. Memorie e leggende oltre i vangeli" che sarà aperta dal 24 aprile al 4 ottobre nella Casa delle Esposizioni di Illegio (Tolmezzo). Pubblichiamo l'intervento dell'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

di Gianfranco Ravasi

È paradossale, ma non è impresa difficile quella di ordinare una mostra che abbia come filo conduttore i vangeli apocrifi, come appunto è testimoniato dalla grandiosa esposizione che si apre il 24 aprile a Illegio in Friuli, cittadina divenuta nota per i suoi straordinari eventi artistici. Questa letteratura ebbe, infatti, uno straordinario successo proprio nell'arte e nella tradizione popolare. Noi ora vorremmo solo aprire uno squarcio in questo orizzonte: sotto il termine di "apocrifi" - letteralmente, dal greco, i libri "nascosti" - si stende, infatti, un'immensa produzione letteraria e religiosa, anche di bassa qualità, che corre parallela ma autonoma rispetto all'Antico e al Nuovo Testamento i quali contengono invece i libri "canonici", ossia quelli riconosciuti dall'ebraismo e dal cristianesimo come testi sacri, ispirati da Dio. Questi documenti si distribuiscono anche nell'ultima fase dell'ebraismo anticotestamentario e costituiscono un capitolo della stessa letteratura religiosa giudaica.
Gli apocrifi giudaici sono almeno 65 testi diversi, composti a partire dal iii secolo prima dell'era cristiana fino al ii secolo, riconducibili ad ambiti e generi diversi. Importanti, ad esempio, sono certi scritti apocalittici come i tre diversi libri di Enoch che offrono una testimonianza variegata ma decisiva di molte concezioni del giudaismo. Significativi sono anche i "testamenti" messi in bocca a vari personaggi biblici come i vari patriarchi, oppure Giobbe, Mosè o Salomone. C'è, poi, una serie di opere di taglio filosofico o sapienziale, come l'antico racconto di Achikar, di origine babilonese, adottato e trasformato dal mondo giudaico e divenuto molto popolare. Non mancano, inoltre, preghiere, odi, salmi, alcuni venuti alla luce a Qumran, sulla costa del mar Morto, in una delle più celebri scoperte del secolo scorso. Sono da registrare anche aggiunte o approfondimenti liberi di testi biblici come la Vita di Adamo ed Eva o la storia d'amore tra Giuseppe e Asenet.
La mostra di Illegio, però, mette in scena rappresentazioni artistiche legate agli apocrifi cristiani che puntano a ricreare, spesso molto liberamente, la vita di Gesù dando origine a nuovi Vangeli - non mancano però "Apocalissi" o "Atti" di vari apostoli e "Lettere" sul modello di quelle paoline. Si tratta di una massa rilevante di scritti cristiani, nati soprattutto dalla pietà popolare ma anche da ambiti colti - pensiamo agli scritti gnostici egiziani. Essi furono ben presto contestati, nonostante rivendicassero il desiderio di allinearsi e di completare i libri canonici. Questa esclusione, per altro spesso motivata a causa della loro qualità teologica discutibile e della loro fantasiosa creatività storica, non ne impedì l'ingresso nella devozione popolare, nella stessa storia della teologia, nella liturgia e soprattutto nella tradizione artistica dei secoli successivi. Il primo a raccogliere questa pirotecnica serie di racconti sulla nascita di Gesù, sui suoi detti e miracoli, sulla sua morte e risurrezione, sugli atti dei suoi apostoli, sulla "dormizione" o morte di sua madre, sulle "apocalissi" o rivelazioni del futuro fu nel 1564 a Basilea Michael Neander Soraviensis e da allora le raccolte si sono moltiplicate fino alle moderne edizioni critiche.
Entriamo, dunque, anche noi come viandanti stupiti in questa selva di pagine, di immagini, di colpi di scena, di simboli, di fantasie. Qui appaiono, ad esempio, le "divine malefatte" di un Gesù ragazzo che fa morire e risorgere o mutare in capretti i compagni di giuoco, che paralizza il maestro che sta per picchiarlo a causa della sua sapienza troppo saccente, ma che sa guarire dai morsi di vipera e estrae prodigiosamente bimbi caduti in forni o pozzi, che aggiusta senza fatica manuale un letto sghembo uscito dalla falegnameria di Giuseppe. Tra le decine di percorsi che si aprono davanti a noi in tale foresta letteraria ne scegliamo uno che ci conduca all'evento della Pasqua di Cristo, il periodo liturgico che ci sta accompagnando. Un'enorme massa di racconti segue, infatti, le ore della settimana che verrà poi chiamata "santa". Inseguiremo solo alcuni attori di quei giorni oscuri e gloriosi, prescindendo quindi dai vari soggetti esposti nella mostra friulana. Il primo a venirci incontro è Giuda Iscariota, il traditore, un personaggio che ha continuato a generare "apocrifi" fino ai nostri giorni con vari romanzi e opere di autori diversi moderni. Per gli apocrifi antichi la storia del traditore di Gesù ha radici remote e molto fantasiose.
Figlio del sacerdote Caifa, fin da piccolo Giuda - secondo il Vangelo arabo dell'infanzia del Salvatore, un apocrifo carissimo ai cristiani d'Oriente e persino ai musulmani - dava segni di possessione diabolica. Sua moglie, stando invece a un testo copto egiziano, aveva accolto presso di sé per allattarlo il figlio neonato di Giuseppe d'Arimatea, colui che avrebbe offerto la tomba di famiglia per deporvi il cadavere di Gesù. Ebbene, quando Giuda tornò a casa stringendo in mano i trenta denari del tradimento, quel neonato non volle più succhiare il latte. Venne, allora, convocato suo padre Giuseppe: appena il piccolo lo vide, prodigiosamente si mise a gridare: "Vieni, padre mio, portami via dalle mani di questa donna che è una bestia selvatica. Ieri, nell'ora nona, hanno preso il prezzo del sangue del Giusto". Infatti sempre secondo i testi apocrifi, era stata la moglie a spingere Giuda al tradimento per venalità: costringeva già da tempo il marito a rubare alla cassa comune dei discepoli che, come si legge nel Vangelo canonico di Giovanni (12, 6), era appunto gestita da Giuda.
Ma la scena più clamorosa è narrata dalle Memorie - o Vangelo - di Nicodemo, un famoso apocrifo greco, giunto a noi anche in versione copta e latina, forse dell'inizio del ii secolo.
Giuda, dopo aver tradito Gesù, si ritira a casa sua, cupo e deciso al suicidio. Sua moglie cerca di convincerlo a non impiccarsi, "razionalmente" certa che Cristo non potrà mai risorgere. La donna sta arrostendo un gallo per il pranzo e scommette con il marito: "Nello stesso modo in cui questo gallo arrostito può cantare, così Gesù potrà risorgere. Ma, proprio mentre stava parlando, quel gallo allargò le ali e cantò tre volte. Giuda, allora, del tutto convinto, con la corda fece un capestro e andò a impiccarsi".
È evidente la ripresa in forma surreale ed esasperata del tema evangelico del gallo che canta al momento del tradimento di Pietro. Altri apocrifi dipingeranno la morte di Giuda, invece, come un'esplosione dopo che il suo corpo si era gonfiato a dismisura - c'è un libero riferimento agli Atti degli Apostoli (1, 18) - e rappresenteranno la sua anima mentre vaga disperata nell'Amenti, cioè negli inferi.
Non poteva mancare una fioritura apocrifa anche attorno a un altro attore del racconto evangelico delle ultime ore terrene di Gesù: il procuratore romano Ponzio Pilato. Lo scrittore e martire cristiano Giustino nel 155 circa chiamava "Atti di Pilato" quelle Memorie di Nicodemo a cui abbiamo appena accennato. Esse, infatti, contengono una vivace sceneggiatura del processo romano di Cristo, nei confronti del quale vengono avanzati come capi di imputazione la nascita impura da fornicazione e la violazione della legge, soprattutto quella del riposo sabbatico. Ma lasciamo la parola all'antico narratore che già esalta la grandezza sovrumana di Cristo. "Pilato chiamò un messo e gli ordinò: Mi sia condotto qui Gesù, ma con gentilezza! Il messo uscì e, quando riconobbe Gesù, lo adorò, stese a terra il sudario che aveva in mano e gli disse: Signore, cammina qui sopra e vieni perché il governatore ti chiama(...) Quando Gesù entrò da Pilato, le immagini che i vessilliferi reggevano sulle insegne si inchinarono da sole e adorarono Gesù". Sfilano poi davanti a Pilato i testimoni a discarico: ciechi, paralitici, un gobbo, l'emorroissa, tutti guariti da Gesù, e Nicodemo, membro del Sinedrio giudaico.
Qui entra in scena la moglie stessa del procuratore della quale i vari apocrifi offrono anche il nome, Claudia Procula (o Procla): "Sapete che mia moglie" - dice Pilato agli accusatori di Gesù - "simpatizza con voi riguardo al giudaismo. Gli Ebrei risposero: Sì, lo sappiamo! Pilato: Ecco, mia moglie mi ha mandato a dire: Non ci sia nulla tra te e quest'uomo giusto! Questa notte, infatti, ho sofferto molto a causa sua. Gli Ebrei, allora, replicarono a Pilato: Non ti abbiamo forse detto che è un mago? È lui che ha inviato a tua moglie i fantasmi dei sogni". È evidente anche in tal caso come la base narrativa del vangelo canonico di Matteo (27, 19) venga ampliata con aggiunte di colore. A questo punto Pilato - stando al Vangelo di Pietro che è stato definito "il più antico racconto non canonico della Passione di Cristo" (scritto attorno al 100 e ritrovato solo nel 1887 in Alto Egitto nella tomba di un monaco) - "si alzò; nessuno degli Ebrei si lavò le mani, né Erode né alcuno dei suoi giudici". Solo Pilato, dunque, si lava le mani dichiarando simbolicamente la sua innocenza. Poi, sempre secondo le Memorie di Nicodemo, "ordinò che fosse tirato il velo davanti alla sedia curule e disse a Gesù: Il tuo popolo ti accusa di assumere il titolo di re. Perciò ho decretato che, in ossequio alla legge dei pii imperatori, tu sia prima flagellato e poi appeso alla croce nel giardino dove sei stato catturato. Disma e Gesta, entrambi malfattori, saranno crocifissi con te" - appaiono così anche i nomi improbabili dei due compagni di crocifissione di Gesù, anonimi secondo Luca 23, 39-43.
È, però, soprattutto sulla vita successiva di Pilato che si scatenerà la fantasia apocrifa, compresa quella moderna (pensiamo al Procuratore di Giudea di Anatole France, a Il punto di vista di Ponzio Pilato di Paul Claudel, alla Moglie di Pilato di Gertrud von Le Fort, al Ponzio Pilato di Roger Caillois, al Pilato di Friedrich Dürrenmatt, al Maestro e Margherita di Michail A. Bulgakov e così via). Ci è giunta dall'antichità cristiana una relazione apocrifa inviata da Pilato agli imperatori Tiberio e Claudio con i riscontri dei destinatari, una lettera di Pilato a Erode e una Paradosi di Pilato, cioè un'ipotetica "tradizione" storica delle sue vicende. C'erano persino apocrifi pagani su di lui, tant'è vero che lo storico cristiano Eusebio di Cesarea lamentava che l'imperatore Massimino Daia nel 311 avesse fatto distribuire nelle scuole delle false Memorie di Pilato "piene di empietà contro Cristo" e avesse ordinato che i ragazzi le imparassero a memoria per istigarli all'odio contro il cristianesimo. Ma gli apocrifi cristiani si accaniranno in particolare sulla morte di Pilato con esiti antitetici.
Da un lato, la citata Paradosi descrive una fine tragica durante una partita di caccia con l'imperatore. "Un giorno Tiberio, andando a caccia, stava inseguendo una gazzella; ma, quando questa giunse davanti alla porta di una caverna, si fermò. Pilato si spinse a vedere. Tiberio lanciò nel frattempo una freccia per colpire l'animale, ma essa attraversò l'ingresso della caverna e uccise Pilato". Più impressionante è la fine narrata da un altro testo e divenuta popolare nel Medioevo: Pilato morì suicida a Roma con un colpo del suo prezioso pugnale. Gettato con un peso nel Tevere, il cadavere dovette essere ripescato perché attirava gli spiriti maligni rendendo pericolosa la navigazione sul fiume. Traslato a Vienne in Francia e immerso nel Rodano, dovette essere recuperato per la stessa ragione e sepolto a Losanna. Ma anche qui, a causa del suo corpo infestato di demoni, lo si dovette riesumare e scaraventare in un pozzo naturale, in alta montagna.
D'altro lato, la tradizione apocrifa cristiana esalta invece la conversione di Pilato che muore come martire, decapitato per ordine di Tiberio, e viene accolto in cielo da Cristo. Non per nulla la Chiesa etiopica venera come santo nel suo calendario liturgico il procuratore romano. La stessa sorte toccherà ovviamente a sua moglie Claudia Procula. Ecco, infatti, un'altra versione della fine di Pilato secondo la Paradosi che abbiamo sopra citato. "Il comandante Labio, incaricato dell'esecuzione capitale, troncò la testa di Pilato e un angelo del Signore la raccolse. Sua moglie Procula, vedendo l'angelo giunto a prendere la testa del marito, ebbe un trasporto di gioia ed emise l'ultimo respiro. Fu, così, sepolta con suo marito Pilato per volere e benevolenza del Signore nostro Gesù Cristo". La conversione del procuratore era avvenuta in coincidenza della risurrezione di Cristo, secondo il Vangelo di Gamaliele, opera copta del v secolo. Infatti, "entrato nella tomba di Cristo, Pilato prese le bende mortuarie, le abbracciò e per la gran gioia scoppiò in lacrime. Si volse poi a un suo capitano che aveva perso un occhio in guerra e rifletté: Sono sicuro che queste bende restituiranno la luce al suo occhio. Avvicinò a lui le bende mortuarie e gli disse: Non senti, fratello, il profumo di queste bende? Non è un odore di cadavere ma di porpora regale impregnata di soavi aromi(...) Il capitano prese quelle bende e si mise a baciarle dicendo: Sono certo che il corpo che voi avete avvolto è risorto dai morti! Nell'istante in cui il suo volto le toccò, il suo occhio guarì e vide la gioiosa luce del sole come prima. Fu come se Gesù avesse posto su di lui la mano, proprio come era accaduto al cieco nato".
Un capitolo particolare in molti Vangeli apocrifi è riservato ai testimoni della risurrezione che si moltiplicano rispetto ai Vangeli canonici e che diventano spettatori di epifanie clamorose. Ecco come lo stesso Pilato narra la sua esperienza secondo il citato Vangelo di Gamaliele: "Vidi Gesù al mio fianco! Il suo splendore superava quello del sole e tutta la città ne era illuminata, ad eccezione della sinagoga degli Ebrei. Egli mi disse: Pilato, piangi forse perché hai fatto flagellare Gesù? Non aver paura! Sono io il Gesù che morì sull'albero della croce e sono io il Gesù che è risorto dai morti. Questa luce che tu vedi è la gloria della mia risurrezione che irradia di gioia il mondo intero! Corri, dunque, alla mia tomba: troverai le bende mortuarie che sono rimaste là e gli angeli che le custodiscono; gettati davanti ad esse e baciale, diventa assertore della mia risurrezione e vedrai nella mia tomba grandi miracoli: i paralitici camminare, i ciechi vedere e i morti risorgere. Sii forte, Pilato, per essere illuminato dallo splendore della mia risurrezione che gli Ebrei negheranno". E di fatti Pilato giunto al sepolcro di Cristo - come si è già visto - passerà di sorpresa in sorpresa, incontrando anche il ladrone risorto.
C'è, dunque, un "altro" Cristo risorto che viene incontro negli scritti apocrifi a una folla di persone, rispetto alla ben più sobria e rigorosa narrazione dei Vangeli canonici. Un'apparizione è riservata, ad esempio, anche all'apostolo Bartolomeo nell'omonimo vangelo apocrifo: in quell'occasione Gesù svela tutti i segreti dell'Ade, ove aveva trascorso il periodo tra la sua morte e l'alba di Pasqua. In un altro testo è Giuseppe d'Arimatea a incontrare il Signore risorto. Arrestato dai giudei per aver offerto a Gesù il sepolcro, egli vede avanzare Gesù con il ladrone pentito nella tenebra della sua cella: "Nella camera risplendette una luce accecante, l'edificio fu sospeso ai quattro angoli verso l'alto, si aprì un passaggio e io uscii. Ci mettemmo in viaggio per la Galilea, mentre attorno a Gesù brillava una luce insopportabile a occhio umano e dal ladrone emanava un gradito profumo che era quello del paradiso". Anche Pietro, al di là delle apparizioni pasquali "canoniche", ha un incontro straordinario registrato dagli Atti di Pietro, un apocrifo composto tra il 180 e il 190, sulla via di Roma, e divenuto la sostanza del Quo Vadis?, il famoso romanzo che il polacco Henryk Sienkiewicz compose tra il 1894 e il 1896.
Particolarmente vivace è poi la tradizione apocrifa riguardante la madre di Gesù, Maria. I Vangeli canonici tacciono sull'incontro del Risorto con lei. Infatti, dopo la scena del Calvario (Giovanni, 19, 25-27) si passa a quella degli Atti degli Apostoli secondo la quale i discepoli di Gesù "sono assidui e concordi nella preghiera" con Maria "al piano superiore della casa [di Gerusalemme] ove abitavano" (1, 13-14) e non si aggiunge nulla sull'incontro tra la Madre e il Risorto. A questo vuoto suppliscono abbondantemente gli apocrifi. Riprendiamo tra le mani il Vangelo di Gamaliele. Maria, prostrata dal dolore, rimane in casa, ed è Giovanni che le riferisce le notizie sulla sepoltura del Figlio. Essa, tuttavia, non si rassegna a restar lontana dalla tomba di Gesù e, tra le lacrime, dice a Giovanni: "Anche se la tomba di mio Figlio fosse gloriosa come l'arca di Noè, io non ne avrei nessun conforto se non la potessi vedere per versarvi le mie lacrime. Giovanni le rispose: Come possiamo andarci? Davanti alla tomba sono di guardia quattro soldati dell'esercito del governatore! (...) La Vergine, però, non si lasciò trattenere e la domenica, di buon mattino, si recò al sepolcro. Giunta di corsa, si guardò intorno e fissò lo sguardo sulla pietra: era stata rotolata via dal sepolcro! Allora esclamò: Questo miracolo è avvenuto a favore di mio Figlio! Si sporse in avanti, ma non vide nel sepolcro il corpo del Figlio. Quando il sole spuntò, mentre il cuore di Maria era malinconico e triste, si sentì penetrare nella tomba dall'esterno un profumo aromatico: sembrava quello dell'albero della vita! La Vergine si voltò e in piedi, presso un cespuglio di incenso, vide Dio vestito con uno splendido abito di porpora celeste".
Maria, tuttavia, non riconosce in questa figura gloriosa suo Figlio. Allora inizia un dialogo simile a quello che il vangelo di Giovanni (20, 11-18) intesse tra Maria Maddalena e il Cristo risorto e alla fine si ha lo scioglimento dell'enigma: "Non smarrirti, Maria, osserva bene il mio volto e convinciti che io sono tuo Figlio". E Maria replicherà augurandogli una "felice risurrezione", inginocchiandosi a adorarlo e a baciargli i piedi. Un'altra testimonianza, ancor più fastosa, dell'apparizione del Risorto a sua madre è conservata in un frammento copto del v-vii secolo, traduzione di un testo più arcaico. "Il Salvatore apparve sul grande carro del Padre di tutto il mondo e, nella lingua della sua divinità, esclamò: Maricha, marima, Tiath - che significa: Mariam, madre del Figlio di Dio! Mariam ne capiva il senso; perciò si volse e rispose: Rabbuní, Kathiath, Thamioth - che significa: Figlio di Dio! Il Salvatore le disse: Salve a te, che hai portato la vita a tutto il mondo! Salve, madre mia, mia santa arca, mia città, mia dimora, mio abito di gloria del quale mi sono vestito venendo al mondo! Salve, mia brocca piena di acqua santa! Tutto il paradiso gioisce per merito tuo. Ti assicuro, Maria, mia madre: colui che ti ama, ama la vita. Poi il Salvatore aggiunse: Va' dai miei fratelli e di' loro che sono risorto dai morti e che andrò al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro(...) Maria disse a suo Figlio: Gesù, mio Signore e mio unico Figlio, prima di andare nei cieli dal tuo Padre, benedicimi perché io sono tua madre, anche se non vuoi che io ti tocchi!".
"E Gesù, vita di tutti noi, le rispose: Tu sarai assisa con me nel mio regno. Allora, il Figlio di Dio s'innalzò sul suo carro di cherubini, mentre miriadi di angeli cantavano: Alleluia! Il Salvatore stese la mano destra e benedisse la Vergine". Ormai con questo testo ci ritroviamo in un'altra regione, quella della devozione mariana, cara soprattutto alle Chiese d'Oriente. L'accento scivola sulla mariologia, lasciando sullo sfondo il riferimento cristologico. La ricca esemplificazione che abbiamo offerto - sebbene si riferisca a una sola fase della storia di Gesù Cristo - non rende ragione del tutto riguardo alla molteplicità tematica e ai riflessi della varie situazioni ecclesiali che sono rivelati dalle pagine apocrife. Essa, però, riesce a mostrare in modo inequivocabile la qualità radicalmente differente, sia per attendibilità storica sia per rigore teologico, degli scritti canonici neotestamentari, esempio della loro essenzialità tematica e sobrietà narrativa. Significativa, per contrasto, è l'elaborazione della "gnosi" - secondo la quale la salvezza è offerta solo dalla conoscenza - diffusa soprattutto in Egitto. Essa introdurrà, ad esempio, nel Vangelo di Tommaso una collezione di frasi o detti di Gesù evangelici ed extra-evangelici, alcuni di grande interesse storico, ma anche aprirà la stura a discutibili speculazioni teologiche, spesso molto elaborate e sofisticate e fin stravaganti. In positivo potremmo dire che, però, domina un forte senso della grandezza dell'evento cristologico e una viva coscienza dell'identità cristiana. In un apocrifo egiziano gnostico, noto come il Vangelo di Filippo, si legge: "Se dici: Sono ebreo! nessuno si commuove. Se dici: Sono romano! nessuno trema. Se dici: Greco, barbaro, schiavo, libero! Nessuno si agita. Ma se dico: Sono cristiano! Il mondo trema".

(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2009)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Meno male che il Papa parla della Resurrezione a partire dai Vangeli e dalla sana tradizione