mercoledì 15 luglio 2009
Caritas in veritate, Benedetto XVI mette fine al conflitto tra capitale e lavoro (Preti)
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ENCICLICA/ Benedetto XVI mette fine al conflitto tra capitale e lavoro
Paolo Preti
mercoledì 15 luglio 2009
È un’enciclica teologica, più che sociale.
E riguarda l’agire umano, certo anche quello economico, di ogni tempo non solo o soprattutto quello dei momenti di crisi che viviamo oggi. Mentre sulle conseguenze operative non ho trovato particolari novità, sulle motivazioni originali dell’opera umana la profondità della riflessione è apparsa, a un osservatore ignorante quale sono, fulminante. Più che i piani della casa mi hanno colpito dunque le fondamenta.
Carità, verità, giustizia e bene comune: in particolare i primi sette punti dell’enciclica richiedono ad ogni persona di buona volontà uno studio serio e meditato. Uno spunto tra i tanti necessari. «La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso “donare” all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia» (punto 6).
Facile, e probabilmente abusato anche se giusto, applicare queste parole all’imprenditore, meno usuale, ma altrettanto giuste riferirle al collaboratore. A tema non c’è un contratto di lavoro, ma una concezione di persona., la sua vocazione e il suo destino che immediatamente spalancano al bene comune a cui ciascuno collabora secondo il proprio carisma. L’imprenditore mettendo a disposizione la predisposizione al rischio, che non tutti hanno in ugual misura, la capacità di trasformare un’idea in un fatto, il gusto per il particolare ben pensato, l’occasione occupazionale; il collaboratore partecipando con la propria dedizione, creatività, responsabilità. Entrambi donando se stessi, quanto di meglio ciascuno ha. E addio al conflitto di potere tra capitale e lavoro.
L’economia, così come troppo spesso la conosciamo, sembra progredire dove tutto questo viene poco o tanto dimenticato, dove queste affermazioni, magari anche solo incoscientemente come portato di una tradizione, non diventano cultura e comportamenti praticati. Quest’economia, che tanto benessere materiale ha portato al nostro popolo, rischia allora di smarrire il significato: “cosa conta avere conquistato il mondo, se perdi te stesso?”.
Per nostra fortuna esistono ancora spazi in cui persone, imprese e associazioni testimoniano, nel loro essere attori economici al pari di tanti altri, un possibile modo d’essere originale perché vero. E non è, innanzitutto e soprattutto, un problema di forme, di profit o no-profit, di settori o di luoghi, ma di persone e di educazione. Un compito che ci aspetta, tra i tanti, è rendere il più visibile possibile questi esempi perché possano essere conosciuti e seguiti.
© Copyright Il Sussidiario, 15 luglio 2009
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