martedì 14 luglio 2009

Il Papa: «Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli?» (Editoriale di Tempi)


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«Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli?»

Per il Pontefice la convivenza civica non basta

di Tempi

Colpisce che nella nuova enciclica la parola “solidarietà” sia derubricata a termine quasi tecnico e comunque non emerga in maniera così pregnante come invece emerge la parola “fraternità”.
Che fa capolino qua e là nella lettera papale, in maniera discreta, ma cruciale a nostro avviso, per capire il nocciolo del vasto, molteplice, dottissimo programma petrino sui temi dell’etica, del lavoro, della giustizia sociale e dell’economia internazionale. A un certo punto nella Caritas in veritate, richiamando la lezione di papa Montini, Benedetto XVI fa questa osservazione non da poco: «Il sottosviluppo ha una causa ancora più importante della carenza di pensiero: è “la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”».
Ma subito dopo la citazione di Paolo VI, papa Ratzinger si domanda: «Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli?
La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli.
La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità».
In effetti, “fraternità” è una delle parole sorgive della rivoluzione francese e la molla ispiratrice di tutte le rivoluzioni contemporanee.
È l’orizzonte in cui si muove ogni umanesimo laico e, venendo ai nostri giorni, è lo spirito che, dal volontariato che vediamo all’opera buona tutti i giorni al mondo nuovo ispirato dall’evento Barack Obama, percepito come eccezionale, si di-
schiude come promessa davanti a un’umanità ferita dalle più disparate forme di solitudine, violenza, ingiustizia che caratterizzano il nostro tempo.
L’enciclica però incalza, come se ci domandasse: scusate, ma in quale terra non cristiana l’uomo scristianizzato avrebbe potuto immaginare una fratellanza universale e, soprattutto, la lotta per affermare la fraternità tra tutti gli uomini?
Dove affonda l’esperienza e l’attesa insita nella parola “fraternità” che fotografa la tensione di ogni nuovo essere umano che viene al mondo, la memoria dei vecchi, la razionalità del fare avendo gusto della realtà e rispetto per la natura, se non in quelle parti della terra che hanno conosciuto la notizia di Uno che ci ha amato per primo, non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio e ha umiliato se stesso fino alla morte e alla morte da schiavo in croce?
Guardate il formidabile film Danton di Andrzej Wajda, guardatelo pensando al presente e ai 200 anni che ci separano dalla presa della Bastiglia. E fate in cuor vostro un bilancio della fraternità senza Cristo.
Alla fine siamo tutti destinati a tagliarci la testa a vicenda. Ciò accade alle forze d’acciaio della Rivoluzione d’ottobre come a quelle di marmellata di Mani pulite. Accade a casa tua e accade nella casa dei Grandi della terra. Accade tra amici e accade tra forestieri. Accade nelle migliori famiglie tradizionali e accade in quelle di fatto e gay. Accade tra i preti e accade tra i laici. Accade nei partiti e accade nei movimenti. Perciò, sembra suggerire l’enciclica del Papa (sulle orme di quanto esplicitò l’agnostico Enzo Jannacci in margine alla morte di Eluana Englaro), per salvarci dalla nullità e dalla negatività di cui la vita è piena «ci vorrebbe la carezza del Nazareno». Ma chi ha il cuore non conformista di Danton? Chi sale la ghigliottina del proprio tempo mendicando il Nazareno nel proprio tempo?

© Copyright Tempi, 14 luglio 2009

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