venerdì 30 ottobre 2009

Inni anglicani e cattolici. È sempre la stessa musica (Osservatore Romano)


Vedi anche:

Il Papa: fiducia a Teheran ma garantisca le libertà

Brescia si prepara alla visita del Papa (Ghilardi)

Il vero volto degli ecumenisti di professione (Messainlatino)

Card. Scherer: molti Cattolici sono stati battezzati, ma non evangelizzati (Alexandre Ribeiro)

Paul e Wilma, mano nella mano, coronano il sogno di parlare al Papa (Giansoldati)

Diventa un giallo il complicato parto del testo papale sugli Anglicani (Rodari)

Tutti in convento i mangiapreti (Socci)

Mass Media, Aiart: "Il Papa ha ragione, troppo sensazionalismo" (Sir)

Riflessioni per l'Anno sacerdotale: Quando la fede è un'opera d'arte (Timothy Verdon)

Secondo il New York Times il Papa cerca negli Anglicani un alleato nella sfida con l'Islam

Il Papa: "L'Iran è una grande Nazione che possiede eminenti tradizioni spirituali e il suo popolo ha una sensibilità religiosa profonda. Questo può essere un motivo di speranza per un'apertura crescente e una collaborazione fiduciosa con la comunità internazionale" (Discorso)

L'ambasciatore iraniano al Papa: "Collaboriamo contro ateismo e materialismo. Sul nucleare l'Iran rispetta le norme AIEA" (Asca)

Quando il «Times» canonizzò Newman (Osservatore Romano)

Campania, la coraggiosa sfida dei Papaboys alla camorra (Francesco Antonio Grana)

Sinodo dei vescovi, Dall’Africa al Medio Oriente. Intervista con Mons. Eterović (Sir)

La diocesi di Torino prepara l'ostensione e la visita di Benedetto XVI: L'uomo della Sindone e il mistero della sofferenza (Osservatore Romano)

L'amore del Papa per l'unità (José Luis Restán)

Hans Küng: l'articolo di troppo (Patrice de Plunkett)

Ecumenismo ideologico (Padre Scalese)

L’ultima polemica inscenata da Küng. Quel deliberato stravolgimento del cammino ecumenico (Avvenire)

Il Sinodo dell'Africa dimostra che per aiutare il Continente non servono quintalate di preservativi (Agnoli)

Che cosa intende Benedetto XVI quando pensa a una rivoluzione della liturgia (Roberto De Mattei)

Ecco perché non si riesce più a costruire chiese come Dio comanda. Prove di resurrezione di architettura sacra e verticale (Camillo Langone)

COSTITUZIONE APOSTOLICA CIRCA GLI ORDINARIATI PERSONALI PER ANGLICANI CHE ENTRANO NELLA CHIESA CATTOLICA: LO SPECIALE DEL BLOG

Inni anglicani e cattolici

È sempre la stessa musica

di Marcello Filotei

All'anglicano Clive Staples Lewis avevano detto di stare attento a filologi, poeti e cattolici. I primi meschini e troppo attenti ai particolari, i secondi poco affidabili, i terzi sempre pronti a tirarti dalla loro parte. Non c'è riuscito. Dopo essere convolato a nozze con una poetessa americana strinse amicizia con un esperto di lingue antiche come John Ronald Reuel Tolkien, campione letterario della fedeltà al vescovo di Roma. A lungo i due hanno discusso su questioni letterarie, ma senza litigare su temi teologici. Se l'arte serve a qualcosa è quella di riconoscere l'essenza delle cose. In letteratura Lewis e Tolkien hanno dimostrato come una comune tradizione si può declinare in diversi modi, ma non può essere ignorata. In musica, da Roma gli sviluppi che hanno seguito il distacco anglicano mostrano come i problemi e le soluzioni sono spesso paragonabili.
Puntando l'attenzione sulle funzioni, ad esempio, il problema è lo stesso a qualsiasi latitudine: conciliare qualità e fruibilità. Facendo riferimento alla liturgia anglicana del XVI secolo Nicholas Temperley sottolinea che gli inni venivano considerati l'incarnazione del "conflitto fra i due obiettivi della musica parrocchiale: realizzazioni artistiche e espressione popolare", perché cantati in maniera che i musicisti stimavano rozza e insopportabile. Una constatazione che vale per qualsiasi rito. Succede così che Chiesa cattolica e Comunione anglicana, sul fronte musicale e non solo, devono affrontare gli stessi problemi.
Oltre la Manica, in linea generale, è prevalsa nei secoli l'indicazione di favorire una liturgia sobria, sorretta dalla lingua inglese e chiamata a far partecipare il più possibile l'assemblea. In musica tutto questo significa poco, come la gran parte delle raccomandazioni teoriche. Era quindi abbastanza scontato che lì, che come in altri ambiti e in altre occasioni, ci fossero diverse interpretazioni. Alla fine, comunque, l'esperienza ha portato a convergere sulla necessità di una scrittura vocale austera capace di dare risalto al testo: in questo, probabilmente, si può individuare uno "stile anglicano", che si è sviluppato prevalentemente nelle cattedrali e che per questo è spesso definito Cathedral music.
Ma se gli strumenti vennero a lungo messi da parte, l'atteggiamento strumentale fu recuperato parzialmente nella vocalità. Nel XVI secolo, infatti, i cori anglicani erano formati da non più di una trentina di elementi e le parti che avrebbero dovuto essere femminili, come quelle dei contralti, venivano in genere affidate a ragazzi educati a una particolare tecnica vocale che, evitando l'effetto del vibrato, richiama la sonorità strumentale.
Con il passare del tempo lo stile anglicano si è dotato di un repertorio proprio, all'interno del quale gli inni e soprattutto gli anthems (da antifona) rappresentano un elemento di originalità. Se i primi concretizzano la speranza di rendere più immediata la partecipazione dell'assemblea - esigenza sentita fortemente anche in ambito cattolico - l'anthem, strutturato sul grande mottetto polifonico, si presenta con una forma autonoma articolata in versus-anthem (che vede l'alternanza tra il tutti e i solisti) e full-anthem (che si limita a utilizzare il coro). Due risvolti della stessa medaglia che hanno saputo convivere a lungo e che gradualmente furono arricchiti dal sostegno strumentale.
Paradossalmente fu proprio la proibizione dell'uso del coro e degli strumenti in chiesa, sopraggiunta durante il puritanesimo, a favorire lo sviluppo della forma. Come spesso avviene nell'arte, vietare non fa altro che aumentare l'interesse verso ciò che è proibito. Così tutto quello che non si poteva fare durante le funzioni trovò sfogo in una produzione profana particolarmente ricca e avanzata, spesso opera degli stessi compositori che prima lavorano per la Chiesa. Fu così allora che con la nuova fioritura della produzione liturgica, iniziata con il regno di Carlo ii, le conquiste linguistiche raggiunte in campo profano si riversarono massicciamente nel linguaggio sacro.
Ma la forma e i procedimenti tecnici non fanno la musica, ne sono solo il presupposto, così come le parole diventano versi solo sulla bocca dei poeti. Per comporre partiture che reggano il peso dei secoli ci vogliono personalità eccezionali e a volte qualcuna di queste arriva al momento giusto, quando cioè ci sono tutti i presupposti per mettere a frutto il proprio talento.
È il caso di Händel che, come solo i grandi sanno fare, riuscì a trovare una sintesi tra le tendenze prevalenti nella sua epoca e le eredità di quelle precedenti, filtrando il tutto attraverso una rara sensibilità. Lo stile sacro tedesco e la tradizione operistica e cameristica italiana trovarono il modo di sposarsi a quanto fino ad allora era emerso dalla giovane tradizione anglicana. L'occasione furono le grandi solennità, che divennero il luogo per mettere a punto uno stile ricco, a tratti opulento. Te Deum, Coronation anthems o Chandos anthems, che richiesti a un compositore qualsiasi avrebbero rischiato di trasformarsi in pezzi d'occasione dei quali si perde volentieri la memoria, nelle mani di Händel sono diventati momenti alti di uno stile che, seppur mantenendo stretti legami con la tradizione, si è garantito una sua originalità. Anche a questo servono i geni, e non importa per chi lavorano.

(©L'Osservatore Romano - 30 ottobre 2009)

Nessun commento: