martedì 26 maggio 2009

Bagnasco: "Perché il cristianesimo non svanisca nella soggezione verso i moderni potentati, Papa Benedetto mantiene esplicita la novità del Vangelo"


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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE A CASSINO E MONTECASSINO (24 MAGGIO 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

Dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco:

2. Mai è rituale, nei nostri incontri, il pensiero che rivolgiamo al Papa. Men che meno lo è stavolta, venendo noi da mesi di intensa partecipazione alle tribolazioni che egli inopinatamente s’è trovato ad affrontare per una serie di infelici e prevenute interpretazioni date ad alcuni suoi pronunciamenti. L’ostilità di cui è stato fatto bersaglio ci ha tuttavia riconsegnato la sua figura cresciuta – se possibile – nella considerazione e nell’amore di fedeli e pastori.
Resta per noi incomprensibile come l’umiltà e la bontà d’animo, la finezza e la tranquillità interiore che lo contraddistinguono possano da taluno non essere colte per ciò che sono.
E se qui sta il segreto della sua popolarità presso la gente comune, ci sembra di dover osservare che quanto più penetrante si fa la sua parola, tanto più egli si trova esposto a reazioni rigide, se non ostili, da parte di taluni ambienti.
Ma perché il cristianesimo non svanisca nell’irrilevanza o nella soggezione verso i moderni potentati, Papa Benedetto mantiene esplicita la novità che proviene dal Vangelo, novità che non è anzitutto una morale, ma una fede: «Gesù è risorto – ci ripete – è il Vivente e noi lo possiamo incontrare» (Discorso all’Udienza cit.).
Sulla linea del Concilio Vaticano II – «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo senso ad ogni uomo» (Gaudium et Spes, n. 22) – e sui passi dei suoi predecessori, egli è tutto proteso alla causa dell’uomo, perché nelle esuberanze della tecnica non perda se stesso. Si potrebbe dire che vale per Benedetto XVI ciò che Papa Wojtyla aveva sentenziato nella sua prima enciclica: «Sulla via che conduce da Cristo all’uomo la Chiesa non può essere fermata da nessuno» (Redemptor hominis, n. 13). In questo senso, se profeta è colui che, nelle alterne e complesse vicende della storia, indica Dio e le luci del suo Regno perché l’umanità non perda se stessa, allora davvero non esitiamo a chiamare profetico questo Papa, il suo magistero, la sua paziente e tenace volontà di intessere un dialogo salvifico con il mondo odierno. In un tale percorso la sofferenza è inclusa, anche perché il profeta «non cerca mai di imporre se stesso: il suo messaggio viene verificato e reso fertile nella croce» (J. Ratzinger, Intervista a 30Giorni, n. 1, Gennaio 1999).
La confidenza affidataci lo scorso Giovedì santo circa l’incontro, alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, con la pagina di Giovanni «Consacrali nella verità, la tua parola è verità» (cfr 17, 17; in Omelia della Messa crismale, 9 aprile 2009), ci suggerisce qualcosa di importante del suo sentirsi consacrato al compito della verità, a qualunque prezzo.
Si chiedeva infatti: «La conosciamo davvero questa verità? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa realmente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero?» (ib). E sempre a questo riguardo, la Lettera indirizzata ai Vescovi della Chiesa cattolica, quale «parola chiarificatrice» sulle sue intenzioni e sull’operato della Sede Apostolica, è un documento toccante ed esemplare della sua dedizione alla causa della verità, anzi di più, del suo impegno in prima persona nel cercare di risvegliarla nel prossimo, e in tutta la Chiesa. Sorprendendo chiunque, infatti, non ha avuto esitazione a innovare anche la forma di comunicazione, pur di superare gli ostacoli ed arrivare al cuore dei suoi interlocutori: «Chi annuncia Dio come Amore “fino alla fine” deve dare la testimonianza dell’amore» (Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica, 12 marzo 2009). Ecco l’ammissione che conta, collegata alla quale c’è l’affermazione delle priorità del suo pontificato, che ci coinvolgono direttamente: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio» (ib). Ebbene, non possiamo – noi Vescovi d’Italia – non cogliere questa occasione per esprimere un corale quanto intenso grazie al Santo Padre per questa Lettera che rimarrà nella storia della Chiesa come un grido di amore e di verità: sappia che gli vogliamo bene e siamo con lui ogni giorno; insieme a lui ripetiamo che quando è in gioco la verità non c’è posto nella comunità cristiana per alcun tipo di divisione, perché solo così il mondo potrà aprirsi alla bellezza della fede.

Il pellegrinaggio che egli ha compiuto in questo mese di maggio in Terra santa si è rivelato uno degli atti più espressivi del suo pontificato.
Solo un Papa così preoccupato dei tentativi di scindere il Gesù della storia dal Cristo della fede, poteva testimoniare una gioia tanto speciale «di vedere, toccare e assaporare, in preghiera e contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore» (Discorso sul Monte Nebo, 9 maggio 2009).
Un viaggio che non solo ha mantenuto le sue non facili promesse, ma è stato occasione per rivelare il disegno inderogabilmente religioso che sottostà all’intera azione di Benedetto XVI. Anche nei momenti in cui più cruciale tende a farsi la provocazione politica, egli non si distacca dalla sua visione squisitamente biblica e, anzi, su di essa costruisce le risposte che sono attese sul fronte umanitario come su quello diplomatico, sul fronte interreligioso come su quello ecumenico. Forte solo dell’amicizia verso ciascuna delle parti contrapposte, egli ha ogni volta articolato il suo pensiero sulla comune responsabilità delle grandi religioni monoteiste, schierandosi ripetutamente dalla parte dei più deboli, di coloro che più soffrono per l’inimicizia e le guerre.
Nei confronti dell’ebraismo – ha dichiarato – c’è per la Chiesa cattolica «un legame inscindibile» (ib); mentre al mondo islamico ha proposto «un’alleanza di civiltà» basata su un dialogo che fa leva sul concetto di razionalità che è proprio di ogni vera fede religiosa (Discorso ai Capi Religiosi Musulmani, 9 maggio 2009). Se equivoci avevano potuto sorgere all’indomani di Ratisbona o per il grave negazionismo di taluno, questo viaggio ha definitivamente chiarito le posizioni. E ha reso evidenti a tutti l’affetto e il sostegno del Papa verso le esigue minoranze cattoliche che in quella regione sono oggi più che mai tentate dalla fuga.

3. Lo ringraziamo anche per la visita che egli ha compiuto, il 28 aprile scorso, ai fratelli terremotati dell’Abruzzo. Si è immerso in quel popolo profondamente segnato dalla paura, dal dolore per i propri morti, e dal senso di inesorabile sconfitta che resta in chi, in pochi secondi, perde le cose di una vita e la storia di una famiglia. Non c’è commentatore che non abbia colto la dolcezza del suo approccio, il tratto umanissimo dei suoi incontri, il calore del suo sguardo, il vigore delle sue parole. Una visita che è stata di autentico conforto, così l’ha definita l’arcivescovo dell’Aquila, S.Ecc. Mons. Giuseppe Molinari, che vogliamo ringraziare insieme al suo clero e alle religiose per la prova di abnegazione data alla loro gente e all’Italia intera. Fin dal primo momento della tragedia tutti noi, come singoli e come Conferenza, siamo stati vicini a quelle popolazioni, ai loro preti, al loro Pastore. La solidarietà che subito si è riversata su quella gente, l’accorrere di volontari che, con diverse divise e sotto molteplici sigle, si sono fatti avanti per il primo soccorso e la prima provvisoria sistemazione dei senza tetto, le collette scattate immediatamente insieme a raccolte le più varie, dicono di una mobilitazione che fa onore alla nostra gente. La solidarietà – annotava proprio Benedetto XVI – «è un sentimento altamente civico e cristiano e misura la maturità di una società. Essa in pratica si manifesta nell’opera di soccorso, ma non è solo una efficiente macchina organizzativa: c’è un’anima, c’è una passione, che deriva proprio dalla grande storia civile e cristiana del nostro popolo» (Discorso alla popolazione dell’Aquila, 28 aprile 2009).
È l’intrecciarsi di gesti – tra quanti sono rimasti vittime dello sisma, e coloro che sono accorsi – ad aver fatto emergere i tratti di un’Italia per qualcuno insospettabile, forte di una sua dignità intrinseca, di una compostezza ed una fierezza nella sventura che si potevano pensare smarrite. Anche osservatori laici vi hanno letto le tracce di una religiosità radicata che emerge nelle situazioni più critiche. Sotto i colpi della tragedia, il nostro Paese viene fuori per quello che è il suo volto vero, la sua storia profonda, il suo deposito di valori, i suoi riferimenti più tenaci, che animano dal di dentro la modernità stessa.

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Dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco.

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