martedì 19 maggio 2009
Il viaggio del Papa in Africa: il commento di Marco Pagani (Tracce)
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Tracce N.4, Aprile 2009
AFRICA - CAMERUN
Come una sola persona
Marco Pagani
Un Paese con più di duecento etnie, dove barriere e pregiudizi rendono difficile la convivenza. E una presenza che sfida ogni giorno la mentalità dominante. Dal centro per i ragazzi di strada alla “cassa comune”, così vive una piccola comunità che ha appena ricevuto un grande dono
I pretoriani del Presidente spianano i mitra davanti alle facce della gente che vuole vedere il Papa e partecipare alla messa che inizierà alle 10. Sono le 8 di giovedì 19 marzo, festa di san Giuseppe. Benedetto XVI ha voluto passare la festa del suo santo patrono in Camerun.
La gente è in coda dalle 4 del mattino per entrare nello stadio di Yaoundé, la capitale.
Una folla multicolore lo ha accompagnato come ha potuto, salutandolo lungo il percorso che dall’aeroporto conduce in centro, 25 chilometri di persone ammassate ai bordi della strada. O negli spostamenti in città, sempre tenuto ad una certa distanza da loro. Troppo esercito. Ma oggi, nello stadio, ci sono tutti i fortunati che hanno potuto avere i cinquantamila biglietti. Pochi per la verità, rispetto a tutti quelli che avrebbero voluto. Ed anche questi pochi devono sottostare alla guardia che protegge il presidente Paul Biya e famiglia. La gente attende che li si lasci entrare. Con quella pazienza che è tutta africana. Pazienti ma decisi.
Ci siamo anche noi di Cl, con i biglietti che a stento abbiamo potuto avere. Siamo circa in 25 degli oltre 60 che avrebbero voluto partecipare. Anche i nostri amici della parte anglofona di Kumbo vi hanno dovuto rinunciare. Per tutti loro è presente padre Giuseppe Panzeri, frate cappuccino di Lecco. Gli altri sono rimasti a casa davanti alla tv che trasmette in diretta. Abbiamo le t-shirt bianche, ognuna con una lettera. Assieme faremo “Communion et Libération”. Niente striscioni, per paura che ce li sequestrino.
Le lacrime di Casimiro.
È dal 1992 che esiste la nostra comunità. Un seme, come Benedetto XVI ha descritto l’incontro con Cristo, parlando ai giovani dell’Angola. Piccolo, ma che porta frutto. Totalmente affidato alla nostra libertà. «A tutti i giovani che sono qui, io rivolgo parole di amicizia e di incoraggiamento: davanti alle difficoltà della vita, mantenete il coraggio! La vostra esistenza ha un prezzo infinito agli occhi di Dio».
Che la vita abbia un prezzo infinito agli occhi di Dio, lo si vede bene al nostro Centro sociale, un luogo nato all’inizio del 2000 dall’esperienza di condivisione che da vari anni padre Maurizio Bezzi viveva con i ragazzi di strada, aiutato dagli amici della comunità che vivevano questa caritativa. I giovani che vengono al Centro possono testimoniarlo.
Una dozzina di amici del movimento, tra cui protestanti e musulmani, vedono arrivare al Centro tutti questi giovani segnati dalla sofferenza. In un Paese che ha più di 230 gruppi etnici, dove la convivenza non è sempre facile, un’unità apparentemente impossibile, che pure esiste. I ragazzi che vengono al Centro non dicono mai, rivolgendosi agli educatori, «perché fai così?», ma piuttosto «perché fate così» inconsapevoli testimoni dell’unità portata da Cristo.
Il Centro accoglie quotidianamente tra i 150 e i 200 giovani che vivono e dormono nella strada. Come Casimiro, un ragazzino orfano, molto intelligente. Cerca di recuperare un rapporto con gli zii e le zie, cioè quello che rimane della sua famiglia. Ha ripreso la scuola, ma la sua famiglia lo ha cacciato nuovamente. Così è tornato al Centro, va a scuola e trasporta i sacchi al mercato. Ma c’è qualcuno che lo guarda, che lo prende sul serio, che gli dice: «Non piangere». «La vostra esistenza - ha concluso nella sua omelia il Papa - ha un prezzo infinito agli occhi di Dio. Lasciatevi prendere da Cristo, accettate di donarGli il vostro amore... Ai bambini che non hanno più un padre o che vivono abbandonati nella miseria della strada, vorrei dire: Dio vi ama, non vi dimentica e san Giuseppe vi protegge! Invocatelo con fiducia».
Puzzle fantasioso.
«La Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione tra le etnie per il bene di tutti». Così il Papa, parlando ai Vescovi camerunesi.
La nostra è la comunità della capitale. Qui ci sono tutti i gruppi tribali. Il movimento a Yaoundé è un puzzle di etnie diverse. Certo vi sono differenze, perché questa è la fantasia di Dio, che è il contrario della noia mortale se fossimo tutti identici. Le differenze in seno alla comunità, al posto di essere un ostacolo, assumono il loro valore e ricchezza perché Cristo è presente. Assieme, la gente della comunità ha rotto barriere e pregiudizi che sembravano insormontabili. Come quella volta che hanno accompagnato Marta, una ragazza di etnia Bassa’a che non aveva potuto assistere al funerale di suo padre per paura di essere uccisa (e qui cose così succedono realmente). Dopo 11 anni è tornata al suo villaggio, per scoprire dove suo padre era stato sepolto. Quanti improperi da parte della madre! Perché andare al villaggio per raccogliere maledizioni e disgrazie? Oltretutto è una figlia che non si sposa, che non ha figli, che segue più questi amici, che non sono nemmeno della sua etnia, che la famiglia... Scandalo!
Oppure l’esperienza della “Tontine”. Una volta al mese ci si riunisce, ognuno mette una somma stabilita nella cassa, e a turno uno prende tutto. In questo modo si può avere una quantità di denaro importante a disposizione, che si può rimborsare poco a poco e senza la paura che conservando i risparmi in casa, un ladro possa rubarli. È un modo per risparmiare i soldi, nato dalla gente che vive la nostra esperienza, con anche una cassa di mutuo soccorso che interviene pure nei momenti di gioia, quando c’è da far festa perché qualcuno nasce o si sposa.
Racconta Mireille: «L’educazione che riceviamo nel movimento ci aiuta a non cadere nella tentazione etnica. Questo diventa concreto nel nostro sostenerci come una persona sola davanti alle situazioni di gioia o di dolore». Da questo modo di concepirsi è nata l’associazione Riunione degli Amici Senza Frontiere (Rasaf). Raduna gli amici adulti del movimento e gli amici attenti al nostro carisma, al nostro modo di vivere. «Il suo scopo è che l’esperienza di Cl ci aiuti a cambiare nel concreto il nostro quotidiano in tutti i suoi aspetti».
Ma noi, come disse Paolo VI parlando della Chiesa, siamo in effetti un’etnia sui generis!
Se la vita cambia.
«Figli e figlie d’Africa, non abbiate paura di credere, di sperare e di amare, non abbiate paura di dire che Gesù è la Via, la Verità e la Vita».
Questo ci ha detto il Papa, nello stadio di Yaoundé. Anche qui l’ambiente, la mentalità comune dentro cui vive la comunità, è contro Cristo. Quanta impenetrabilità, quanto pettegolezzo, quanta mancanza di fiducia reciproca! Ma, guardando agli anni trascorsi, si vede il cammino fatto. Quel seme che Giussani piantò al Berchet, porta frutto, anche qui, in terra d’Africa.
Racconta Marthe: «Certi punti della nostra vita, li consideravamo privati (i figli, un buon posto di lavoro...). Ci mancava il coraggio di giudicarli a partire dalla nostra appartenenza al movimento: questo ci ha fatto comprendere come eravamo schiave della mentalità comune. Ora non è più così. Il miracolo è che la compagnia ci sostiene in questa sfida quotidiana».
Così alcune persone hanno aderito alla Fraternità San Giuseppe (una delle forme vocazionali nate dall’esperienza di Cl; ndr). Due uomini e due donne. Per una presenza umana eccezionale, in cui hanno scoperto che Cristo basta per vivere. San Giuseppe «ha accolto il mistero che era in Maria ed il mistero che era lei stessa - ha detto il Papa nei Vespri del 18 marzo -. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere». Senza possedere, eppure avendo tutto. Senza paura di andare contro le tradizioni, lo scetticismo degli amici, gli insulti dei membri della famiglia. Una novità assoluta, quindi.
Parlando alla comunità musulmana, Benedetto XVI è tornato sulla questione del rapporto fede-ragione. «Religione e ragione si sostengono a vicenda». Beh, nella realtà in cui viviamo, ancora pervasa di magia, superstizione, stregoneria, comprendere che la fede senza ragione non può essere un qualcosa che riguarda l’uomo, è compito irrinunciabile anche per i cristiani.
I frutti del lavoro.
La visita del Papa è stata l’occasione di guardare alla nostra compagnia, sorprendendo ciò che stiamo diventando, dentro la società, grazie al lavoro di Scuola di comunità. Un lavoro settimanale (il giovedì dopo la messa), che diventa sempre meno un discorso e sempre più la testimonianza di un avvenimento in atto.
Racconta Pascal, sui frutti di questo lavoro: «Due cose colpiscono chi ci incontra. Il modo di vivere il lavoro e il modo di far famiglia, due momenti tipici in cui si esprime la concezione della vita. Insegno in un liceo di Yaoundé. Con il preside c’era un rapporto di collaborazione molto stretto. Mi stimava e mi dava degli incarichi importanti. Cambiato il preside, i miei colleghi hanno cercato di mettermi subito in cattiva luce presso il nuovo, per potermi “soffiare” il posto. Ma col tempo il nuovo preside ha dovuto riconoscere che di me poteva fidarsi. E che io non cercavo di mettermi in mostra per fare carriera, ma per una passione alla mia vita e alla vita dei ragazzi. Se non avessi passione per la mia vita non potrei averla per loro. Lo imparo alla Scuola di comunità».
Oppure quello accaduto a sua moglie Hélène. Lei e Pascal si sono sposati in chiesa abbastanza giovani. Un prete che li conosceva aveva detto a lei: «Sei giovane, aspetta a sposarti, non si sa mai...». Oggi Hélène racconta: «Nel quartiere dove abitiamo da due anni, una nostra vicina di casa, guardandoci stare assieme e tirare grandi i nostri quattro figli, ha detto: “Quando vi vedo penso alla Sacra Famiglia”. Ma noi non facciamo nulla di straordinario. Viviamo semplicemente ciò che abbiamo incontrato, ciò che impariamo dalla Scuola di comunità!».
«Il seme della Sua presenza è sepolto nelle profondità del cuore di questo amato Continente ed esso germoglia a poco a poco al di là e attraverso le vicissitudini della sua storia umana». Parola di Papa.
© Copyright Tracce N.4, Aprile 2009
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