lunedì 18 maggio 2009

Padre Neuhaus: testimonianza di unità dai cattolici di espressione ebraica in Terra Santa (Radio Vaticana)


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Padre Neuhaus: testimonianza di unità dai cattolici di espressione ebraica in Terra Santa

Benedetto XVI al Regina Coeli di ieri, ha ricordato il suo recente pellegrinaggio in Terra Santa ed ha annunciato che ne parlerà con maggiore ampiezza, all’udienza generale di mercoledì prossimo. Il Papa ha spiegato che “quella Terra, simbolo dell’amore di Dio per il suo popolo e per l’intera umanità, è anche simbolo della libertà e della pace che Dio vuole per tutti i suoi figli. Una Terra – ha sottolineato - che è diventata in se stessa quasi metafora della rivelazione, un ‘quinto Vangelo’, come qualcuno l’ha chiamata, che per la sua stessa storia può essere considerata un microcosmo che riassume in sé il faticoso cammino dell’umanità verso il Regno di giustizia, di amore e di pace”. E nel microcosmo della Chiesa locale, hanno un loro posto – nella stragrande maggioranza araba – le comunità cattoliche di espressione ebraica. Una realtà che ha un proprio vicario patriarcale, il padre gesuita David Neuhaus, di origine tedesca, che si è convertito dall’ebraismo. Al microfono del nostro inviato a Gerusalemme Roberto Piermarini, il religioso spiega come nasce questo “piccolo gregge” delle comunità cattoliche di espressione ebraica:

R. - Quando gli ebrei sono venuti qui, nella grande emigrazione dell’Europa, hanno portato con loro membri della famiglia che erano cattolici. In generale, erano coppie miste, molto spesso un uomo laico ebreo ed una donna cattolica. In più, erano quegli ebrei cattolici di origine ebraica che hanno scoperto la loro fede e la loro appartenenza al popolo ebraico, in seguito alla Shoah. Inoltre, erano cristiani che sono venuti qui con i cattolici che, dopo la Shoah, hanno visto quanto fosse importante essere in contatto con la realtà ebraica in solidarietà con il popolo ebreo. Quindi, da queste provenienze, molto diverse tra loro, sono nate le comunità. Ufficialmente, hanno fondato un’opera che si chiama l’opera di San Giacomo, nel 1955, con preti, suore, ed anche laici, qui in Israele, per creare una Chiesa che sia israeliana al cuore della società ebraica in Israele. Quindi, si deve dire subito che la maggioranza assoluta dei cattolici in Israele sono arabi e coloro che vivevano nel cuore della società ebraica, volevano un’espressione ebraica nella realtà cattolica nello Stato di Israele.

D. – Padre Davide, qual è la particolarità di queste comunità?

R. – La nostra vita, come cattolici israeliani, è definita un pò dalla cultura della società ebraica: quindi noi siamo in un dialogo di vita. Questo è molto importante anche per la liturgia perché tutto è in ebraico, ma anche per rispetto del calendario ebraico e certamente anche per la musica.

D. – Quali le relazioni di queste comunità con gli arabi cristiani, quelli russi e quelli stranieri in cerca di lavoro, che sono venuti qui in Israele?

R. – I russi che sono venuti qui, sono diventati cittadini dello Stato di Israele e fanno parte del nostro vicariato. Quelli che sono cattolici, la maggioranza assoluta, sono ortodossi, sono parte integrante del nostro vicariato perché anche loro sono cittadini israeliani che vivono nel cuore della società ebraica israeliana. Ci sono poi altri due gruppi, molto importanti. Il primo è certamente la maggioranza assoluta dei cristiani in Israele che sono gli arabi, ed i rapporti sono quelli di una fede comune ed una Chiesa comune. Quindi, noi facciamo parte del Patriarcato latino di Gerusalemme; il nostro Patriarca, fino a giugno scorso, era un palestinese mentre adesso è un giordano. Credo che sia molto importante che i capi della Chiesa diano segni di unità perché nella vita quotidiana non ci sono tante occasioni di incontrarci e nelle occasioni importanti si deve dare una testimonianza dell’unità alla nostra società che è molto divisa. Noi vogliamo dare una testimonianza di unità con gli operatori stranieri e ce ne sono tanti che danno una testimonianza bellissima della fede cristiana. Spesso si stabiliscono contatti perché alcuni rimangono qui molto tempo e cominciano ad imparare un po’ l’ebraico. Quindi, anche lì, ci sono incontri belli ma la sfida della Chiesa della Terra Santa con gli arabi, la maggioranza, gli stranieri, e noi, il piccolo gregge di lingua ebraica, è di dare la testimonianza di un Corpo di Gesù, unico ed unito.

(Montaggio a cura di Maria Brigini)

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