domenica 10 maggio 2009
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Ratzinger nei Territori dell’anima
Angelo Scelzo
Del viaggio di Benedetto XVI in Terrasanta la storia, già da tempo, ha prenotato i diritti: di gran lunga è il più impegnativo e delicato del pontificato.
Da oggi, con la prima tappa ad Amman, e per l’intera settimana, è un pellegrinaggio che promette di lasciar tracce importanti nei diversi campi che si appresta ad attraversare. Primo, naturalmente, viene quello religioso, tanto che, quando un Papa prende la rotta per i luoghi santi, più che di pellegrinaggio si dovrebbe parlare di un ritorno a casa.
Ma gli aspetti politici, come quelli diplomatici, nell’intreccio di conflitti che da anni infiammano l’intera area mediorientale, non sono certo un corollario. Neppure il più spirituale tra i pellegrinaggi può mai sottrarsi all’impatto con una realtà che appare come una scandalosa contro-testimonianza di un messaggio evangelico che, in quelle terre non conserva solo le radici, ma continua a parlare attraverso l’eloquenza dei luoghi. Papa Benedetto sarà il terzo pontefice, dopo Paolo VI - che aprì la strada durante gli anni del Concilio e della «Nostra aetate», il documento di svolta nei rapporti con gli ebrei - e Giovanni Paolo II, nell’anno del grande giubileo del Duemila, a recarsi in Terrasanta.
Del viaggio del suo immediato predecessore papa Ratzinger ricalca interamente il programma, anche se va segnalata la permanenza più lunga in Giordania, un segno che indica la volontà non solo di passare ma di soffermarsi sulla soglia araba dalla quale appare più agevole la via del dialogo. Di quante energie - e di quante incomprensioni e delusioni - sia cosparsa questa via sul fronte più diretto tra ebrei e cattolici - è questione di cronaca corrente; e a richiamare il versante più attuale basta riferirsi alla forte ondata di polemiche sul recente caso del vescovo lefebvriano negazionista, Williamson, o anche alle ricorrenti controversie sulla figura di Pio XII. Il cammino della «Nostra aetate», anche per l’impulso dato negli anni dal cardinale Ratzinger come prefetto della Dottrina della fede, è stato poderoso ma non è riuscito a evitare i molti inciampi derivati dai sospetti di un antisemitismo mai morto in ambiente cristiano. Niente più di una visita - certo più efficace di pur ripetuti pronunciamenti e dichiarazioni - può servire a sgombrare il campo da ciò che impedisce di puntare più decisamente all’essenziale. Quel che conta per il Papa e per la chiesa, in questo pellegrinaggio, è esattamente ciò che manca in tutta l’area mediorientale: un clima di riconciliazione, e quindi una concreta speranza di pace. A dirla fino in fondo è forse proprio questo, che coincide con i giorni della visita, il tempo più critico e difficile, dal momento che le ferite dell’attacco israeliano a Gaza sono ancora vive e i timori che il nuovo governo possa rimettere in discussione la prospettiva dei due Stati per i popoli di Israele e della Palestina, rende il futuro ancora più nebuloso. Il dato politico più evidente del viaggio del Papa è proprio nella sua formulazione: si tratta, in sostanza, di una visita apostolica in Giordania, Israele e nei Territori Palestinesi.
Nei Territori, Benedetto XVI - che visiterà mercoledì a Betlemme il campo profughi dell’«Aida refugee camp» e incontrerà il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas - si troverà di fronte non solo al cuore del dramma dell’area mediorientale ma anche alla difficile situazione dei cristiani palestinesi, a cui tocca la triste sorte essere i più deboli e indifesi della regione. Più di ogni altro, tra quelli compiuti da papa Benedetto, sarà un viaggio dai molti aspetti, anche all’interno della stessa dimensione spirituale: è evidente quello ecumenico, dal momento che le comunità cristiane in Terrasanta sono sempre più una minoranza a rischio di estinzione. Non potrà essere meno importante il profilo interreligioso, considerata la frequenza - e il livello - degli incontri sia con gli ebrei che con i rappresentanti musulmani. E se la visita allo Yad Vascem, il memoriale delle vittime della Shoah, e più ancora la preghiera al Muro del pianto si annunciano come i momenti emotivamente più intensi, va, una volta di più, indicata l’importanza della tappa d’inizio.
Il pellegrinaggio di Benedetto XVI inizia da Amman, capitale della Giordania, l’antica Philadelphia greca. E la prima visita importante, dopo il saluto al re, Abdallah II Bin Al-Hussein, sarà domani a Monte Nebo, nella Valle del Giordano. Non si è di fronte a un paesaggio da ammirare, ma alla porzione di terra che più di ogni altra si propone come trama di un racconto senza fine. Oltre la valle, tra colline e larghi pianori, è possibile scorgere il Mar Morto. E quindi Gerico, il deserto della Giudea con i monti della Samaria e, perfino - quando il cielo è limpido - Betlemme e, sullo sfondo, le cupole dorate di Gerusalemme. La Terra promessa, quella che il Signore mostrò a Mosè, è raccolta in uno sguardo che l’emozione prolunga all’infinito. Monte Nebo è come una lettura a cielo aperto di tutta la storia del vecchio e del nuovo Testamento. Non solo luoghi, ma anche figure come Elia, Giovanni Battista e Cristo stesso che nelle acque del Giordano ricevette il Battesimo. Si incamminerà per questi «territori dell’anima», Benedetto XVI, pellegrino in Terrasanta. Può essere, negli orizzonti ora oscurati della pace e della giustizia, il viaggio dei viaggi: il solo forse capace di riassumere in sé ogni forma di speranza, tra i paesaggi del Vangelo e la realtà della storia concreta dei nostri giorni.
© Copyright Il Mattino, 8 maggio 2009
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