sabato 9 maggio 2009

L’appello «Vogliamo incoraggiare i cristiani a non lasciare questi luoghi» (Tornielli)


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L’appello «Vogliamo incoraggiare i cristiani a non lasciare questi luoghi»

di Andrea Tornielli

«Vogliamo incoraggiare i cristiani in Terrasanta e in Medio Oriente a rimanere».
Prima ancora di arrivare ad Amman, Benedetto XVI ha voluto lanciare un appello e un invito ai cristiani che vivono in questi Paesi.
Oggi i 170mila cristiani (meno della metà sono cattolici) che abitano la Terrasanta, rappresentano solo l’uno per cento della popolazione complessiva. Nel 1947 rappresentavano il 6,8 per cento. A Betlemme, nel 1967 i cristiani erano maggioranza assoluta, ora oscillano tra il 12 e il 30 per cento, a seconda delle fonti. A Gerusalemme, nel 1948, c’erano circa 29.500 cristiani, cioè un quarto della popolazione. Oggi sono appena 10mila su un totale di 850mila abitanti.
«È un momento difficile, ma anche di speranza, di un nuovo inizio, di un nuovo slancio per la pace», ha detto il Papa ai giornalisti sull’aereo.
«Vogliamo soprattutto incoraggiare i cristiani in Terrasanta e in Medio Oriente a rimanere e contribuire a loro modo, sono Paesi delle loro origini, sono componente importante della cultura e della vita di questa regione». Ratzinger ha ricordato che «in concreto» la Chiesa s’impegna soprattutto con le scuole e gli ospedali, e ha citato la realizzazione dell’università cattolica in Giordania. «Con aiuti concreti incoraggiamo a rimanere. Spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà e la pazienza di stare in questi Paesi».
Ma Ratzinger ha voluto anche anticipare un messaggio al mondo ebraico, rispondendo a una domanda sui «malintesi» che di recente hanno provocato polemiche con la Chiesa.
«In realtà abbiamo la stessa radice, gli stessi libri dell’Antico Testamento, che sono sia per gli ebrei che per noi libri di rivelazione. Ma naturalmente dopo 2000 anni di storie distinte, anzi separate, non è da meravigliarsi che ci sono malintesi perché si sono formate tradizioni di interpretazione, di linguaggio e di pensiero molto diverse» e «nascono ovviamente malintesi». «Dobbiamo fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro - ha concluso -.
Facciamo grandi progressi, oggi abbiamo la possibilità che i futuri insegnanti di teologia possono studiare a Gerusalemme nell’università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi».
AnTor

© Copyright Il Giornale, 9 maggio 2009 consultabile online anche qui.

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