giovedì 9 luglio 2009

Il modello di mercato che piace al Papa (Sforza Fogliani)


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Il modello di mercato che piace al Papa

Corrado Sforza Fogliani

«La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati». A ben vedere, è questa la chiave di volta dell’interpretazione della Caritas in veritate.
In quest’enciclica Benedetto XVI riprende con forza quanto già Giovanni Paolo II aveva scritto sia nella Centesimus annus («La Chiesa non ha modelli da proporre», 43) sia nella Sollecitudo rei socialis («La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire», 41), aggiungendo anzi, sempre in quest’ultima che «la Chiesa non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’uomo sia debitamente rispettata e promossa». Certo dopo il crollo «dei sistemi economici e politici dei Paesi comunisti dell’Europa orientale» è rimasto il mercato.
«La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani» (Caritas in veritate, 36), scrive Benedetto XVI, ammonendo che «il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché questa sia la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso».
Nell’attuale crisi mondiale, Benedetto XVI non poteva non alzare alta la sua voce per sottolineare che «bisogna che la finanza in quanto tale, nelle necessariamente rinnovate strutture e modalità di funzionamento dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo».
E ancora, stesso paragrafo: «Tutta l’economia e tutta la finanza devono essere utilizzati in modo etico così da creare le condizioni adeguate per lo sviluppo dell’uomo e dei popoli. È certamente utile, e in talune circostanze indispensabile, dar vita a iniziative finanziarie nelle quali la dimensione umanitaria sia dominante. Ciò, però, non deve far dimenticare che l’intero sistema finanziario deve essere finalizzato al sostegno di un vero sviluppo. Soprattutto, bisogna che l’intento di fare del bene non venga contrapposto a quello dell’effettiva capacità di produrre dei beni. Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività per non abusare di quegli strumenti sofisticati che possono servire per tradire i risparmiatori».
Ritorniamo con questo al mercato. «Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato - è scritto, in corsivo, nell'Enciclica - non può pienamente espletare la propria funzione economica» (Caritas in veritate, 35). E la parola fiducia non è qua posta senza una ben evidente ragione, come prima non era richiamata a caso la dimensione (necessaria) dell’eticità. Questa - sottolinea Benedetto XVI - non deve essere «un’etichettatura dall’esterno» né si deve «non ricorrere alla parola “etica” in modo ideologicamente discriminatorio, lasciando intendere che non sarebbero etiche le iniziative che non si fregiassero formalmente di questa qualifica». Nella crisi finanziaria, dunque, solidarietà, etica e fiducia. Il credito si basa, appunto, sulla fiducia fra creditori e debitori. E ciò comporta - per le istituzioni pubbliche - l’obbligo di interventi conformi al mercato (l’opposto di quanto abbiamo visto da ultimo in Italia). Attività di indirizzo, insomma, anziché di prevaricazione.
Solidarietà, etica e fiducia. La Chiesa non ha ulteriori indicazioni da dare: la dottrina sociale della Chiesa è un corpus di direttive morali, non un sistema economico autonomo. «La Chiesa non è un partito, non fa politica come tale» È la delegittimazione di ogni strumentalizzazione dell’Enciclica.

© Copyright Libero, 9 luglio 2009 consultabile online anche qui.

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