venerdì 25 settembre 2009

A Gotti Tedeschi le chiavi della banca del Papa. Il cambio di guardia allo Ior è l’effetto di una rottura netta e, forse, di un nuovo cammino (Nuzzi)


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A Gotti Tedeschi le chiavi della banca del Papa

Gianluigi Nuzzi

Il cambio di guardia alla banca del Papa è l’effetto di una rottura netta e, forse, di un nuovo cammino.
È il vento dell’enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI per un’economia sociale, trasparente che si alza dal colonnato di San Pietro e si abbatte sul torrione Niccolo V, sede del misterioso e opaco Ior, l’Istituto opere di religione. È, in sintesi, l’unica strada da percorrere per dividere con i grandi della terra la scommessa, la battaglia, contro i paradisi fiscali.
Così dopo vent’anni Angelo Caloia, il presidente che Wojtyla scelse per mettere insieme i pezzi dell’istituto di credito polverizzato da Paul Casimir Marcinkus, se ne va.

Promoveatur ut amoveatur

L’amico di Giovanni Bazoli diventa consigliere di Stato al Governatorato. Al suo posto arriva il banchiere internazionale Ettore Gotti Tedeschi, vicino all’Opus Dei, ascoltato consigliere del segretario di stato Tarcisio Bertone. L’addio di Caloia riassume quindi interessanti risposte. La prima, inevitabile e attesa, è quella che la Santa Sede dà così al bestseller “Vaticano S.p.A.”, risposta dopo quattro mesi di silenzio sul mio saggio che svela e documenta come proprio allo Ior in piena era Caloia (seppur senza sue colpe o complicità dirette) sia transitato il peggior denaro della Prima Repubblica. «Mai potremo ammetterlo – rifletteva a inizi settembre il cardinale Angelo Bagnasco con qualche conoscente – ma questo libro ci permette di ristrutturare un ente che fà più ombra che luce».
E così è stato. Caloia aveva combattuto quel sistema di malaffare ma evidentemente non è bastato. Forse perché aveva modulato le risposte ai magistrati milanesi secondo lo spartito della convenienza e non della verità. “Vaticano S.p.A.” ha così accelerato un processo, determinando un cambiamento al quale in Italia siamo ormai disabituati, anestetizzati agli scandali. Ovvero mandare a casa qualcuno. Fargli abbandonare la poltrona.
Sia nel caso Boffo, sia nel caso Caloia, seppur vicende tra loro lontane e per motivi diversi dolorose, il Vaticano dà risposte concrete.
Anche perché «in un mondo in cui la menzogna è potente la verità si paga con la sofferenza» per ripetere le parole di Joseph Ratzinger.
Il vecchio prelato dello Ior monsignor Donato de Bonis, creatore del sistema di conti occulti intestati a fondazioni fittizie dai cinici nomi (fondo Madonna di Lourdes, fondazione aiuto bambini poveri) era stato promosso vescovo pur di allontanarlo dalla banca solo con Mani pulite alle porte. Il padrino di quest’ultimo, Marcinkus, venne estromesso nel 1989 anche qui a rischio arresto per esser poi allontanato dalla Città del Vaticano in sordina e con grande calma solo nel 1996.
Far tuttavia cadere su Caloia ogni colpa, lasciargli in mano un cerino che si illumina con i silenzi dell’attività della banca, dei segreti sui bilanci, sarebbe, comunque, una mascalzonata. La storia dello Ior è ben più ingombrante del banchiere espressione della finanza bianca lombarda. E nella sua storia ha sempre richiamato inqualificabili appetiti. È l’assenza di regole di mercato a indurre in tentazione. Lo Ior rimane un istituto che non ha mai sottoscritto alcun accordo internazionale che regola il mercato del credito. Allora è una banca off shore nel cuore di Roma come sostiene il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco? Pare di sì.

Problemi di accordi

Di certo, mancano accordi bilaterali che l’Italia ha invece sottoscritto con altri Paesi come la tormentata repubblica di San Marino (trattato del 1939). Di certo, il Vaticano non è membro dei 34 Paesi del Gafi, quell’organo anti riciclaggio che in parallelo al Fondo Monetario monitora le attività globali delle banche. Al contrario di Singapore, Lussemburgo e Hong Kong. Infine, il Vaticano è l’unico Paese del Vecchio Continente a non aver mai firmato alcun accordo di assistenza giudiziaria e anti riciclaggio in Europa. Albania e Moldavia, Cipro e Lituania si erano mosse diversamente con il protocollo penale di Strasburgo del 1978.
È quindi difficile ipotizzare che la mossa su Caloia non determinerà un effetto domino su tutte le finanze del piccolo Stato. Questa scelta assomiglia all’inizio di una Grande (e inevitabile) Riforma. A iniziare, appunto, dallo Ior per proiettare la banca sui mercati internazionali.

© Copyright Libero, 24 settembre 2009 consultabile online anche qui.

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