domenica 11 ottobre 2009

La via cattolica dell’Africa (Aldo Maria Valli)


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SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

La via cattolica dell’Africa

Aldo Maria Valli

Il secondo sinodo dei vescovi africani, in corso in Vaticano, riveste un’importanza decisiva per la Chiesa, e non solo per quella del continente.
Le questioni da affrontare sono grandi e le sfide difficili. Come misurarsi con trasformazioni sociali profonde, con ingiustizie vecchie e nuove, con una vita ecclesiale che va governata ma non snaturata, con una crescita numerica che rischia di spiazzare le strutture della Chiesa. Dal 1978 al 2007 i cattolici africani sono passati da 55 a 164 milioni, e le vocazioni sacerdotali hanno avuto un balzo senza eguali nel mondo, con il maggior incremento di seminaristi. Vero e proprio “polmone spirituale” per un’umanità in crisi di fede e di speranza (così l’ha definita Benedetto XVI), l’Africa è però anche la rappresentazione plastica di quanto Giovanni Paolo II scriveva nella Novo millennio ineunte (2001): «Il nostro mondo comincia il nuovo millennio carico delle contraddizioni di una crescita economica, culturale e tecnologica che offre a pochi grandi possibilità, lasciando milioni di persone alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana. È possibile che nel nostro tempo ci sia ancora chi muore di fame? Chi resta condannato all’analfabetismo? Chi manca delle cure mediche più elementari? Chi non ha una casa in cui ripararsi?».
Benedetto XVI, aprendo il sinodo con una cerimonia solenne, ha parlato di due virus che minacciano il polmone: uno arriva dal mondo ricco ed è il «materialismo pratico combinato con il pensiero relativista e nichilista»; l’altro è il fondamentalismo religioso, alimentato da interessi economici e politici.
Il papa non ha fatto il nome dell’Islam, ma il riferimento è apparso chiaro, specie quando ha denunciato il dilagare di gruppi che si rifanno al nome di Dio «ma secondo una logica opposta a quella divina», cioè «praticando e insegnando non l’amore e il rispetto della libertà, ma l’intolleranza e la violenza».
Ai 244 padri sinodali, che saranno riuniti in Vaticano fino al 25 ottobre, il papa ha chiesto di aprire bene gli occhi davanti ai «rifiuti tossici spirituali» scaricati nel continente, attraverso i quali il primo mondo continua in forme diverse il colonialismo finito sul piano politico, ed ha poi raccomandato di non limitarsi alle letture sociologiche: «Tutte le analisi del mondo si rivelano insufficienti se non scopriamo che al fondo della corruzione e del male sta una relazione non corretta con Dio».
Per la Chiesa, sul piano pastorale, il sinodo rappresenta un delicato momento di verifica. Come attrezzarsi per affrontare il nuovo colonialismo? Come aprire una via cattolica allo sviluppo dell’Africa? I modelli pastorali europei non possono certamente essere riproposti in una realtà tanto diversa. Il diritto canonico, il dialogo ecumenico e interreligioso, lo stile di vita della Chiesa: tutto va rivisto in un’ottica diversa. Ma come procedere? La possibilità di riforma indicata nel primo sinodo, del 1994, è rimasta largamente inespressa.
Nella Chiesa africana la grande crescita quantitativa non è stata accompagnata da un’uguale crescita dello spessore spirituale e della consapevolezza comunitaria. Perché la Chiesa abbia credibilità nella sua missione profetica di predicare riconciliazione, giustizia e pace – ha detto il cardinale nigeriano Francis Arinze – occorre preoccuparsi che questi valori siano vissuti prima di tutto all’interno della Chiesa stessa. L’appartenenza tribale è invece spesso privilegiata rispetto a quella ecclesiale, e poi ci sono le divisioni tra comunità ecclesiali di base, movimenti, comunità religiose e sacerdotali.
«La Chiesa è chiamata a essere uno spazio umano in cui la riconciliazione è sempre all’ordine del giorno», dice monsignor Louis Portella Mbuyu, della Repubblica del Congo. Ma l’esperienza ha dimostrato che nell’affrontare questi problemi non si può procedere applicando gli schemi validi in Occidente. «I laici e la gerarchia spesso non sono in perfetta sintonia», denuncia monsignor Michael Wüstenberg, vescovo di Aliwal in Sudafrica. E ugualmente pressante è il problema della formazione e dei comportamenti dei sacerdoti, anche considerando che i preti africani diventano sempre di più missionari in altre aree del mondo alle prese con la crisi delle vocazioni. Dice monsignor Armando Gianni, vescovo di Bouar nella Repubblica Centroafricana: «Ci aspetta il delicato ma necessario compito di aiutare i sacerdoti che hanno problemi a ritrovare il cammino di verità». La questione numero uno è quella del celibato. Ma anche in questo caso torna il problema: è possibile riproporre pari pari un modello elaborato in Europa in una cultura e in una morale così diverse come quelle africane?

Copyright Europa, 10 ottobre 2009 consultabile online anche qui.

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