lunedì 2 novembre 2009

A colloquio con il rettore del Pontificio Seminario Romano maggiore sull'Anno sacerdotale: Formatori da formare (Gori)


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A colloquio con il rettore del Pontificio Seminario Romano maggiore sull'Anno sacerdotale

Formatori da formare

di Nicola Gori

La formazione dei formatori nei seminari è la vera urgenza dei nostri tempi. In questo sforzo educativo va riconosciuto un ruolo preminente all'esperienza ecclesiale nel cammino vocazionale. Questo implica il coinvolgimento anche dei laici nella valutazione dei candidati al sacerdozio. Lo sostiene monsignor Giovanni Tani, rettore del Pontificio Seminario Romano maggiore, nell'intervista rilasciata al nostro giornale in occasione dell'Anno sacerdotale.

L'Anno sacerdotale può diventare un'occasione per rivedere i metodi formativi applicati nei seminari?

Credo che i metodi formativi siano costantemente verificati. In questi anni si avverte una forte attenzione, fuori e dentro i seminari, sulla formazione al sacerdozio. L'Anno sacerdotale è certamente una buona occasione per riprendere e approfondire la dottrina sul sacerdozio. Il Papa ha detto che questo anno deve "Aiutare innanzitutto i sacerdoti, e con essi l'intero Popolo di Dio, a riscoprire e rinvigorire la coscienza dello straordinario ed indispensabile dono di grazia che il ministero ordinato rappresenta per chi lo ha ricevuto, per la Chiesa intera e per il mondo, che senza la presenza reale di Cristo sarebbe perduto". Nel nostro seminario, e penso che accada in tutti i seminari, i programmi di quest'anno, a partire dagli esercizi spirituali e dai ritiri mensili, hanno come contenuto la riflessione sul sacerdozio di Cristo, sul sacerdozio comune di tutti i fedeli e sul sacerdozio ministeriale ordinato. Non escludo che da tutto il lavoro di questo anno possa scaturire qualche idea riguardo ai percorsi e ai metodi formativi.

Il Pontificio Seminario Romano è una realtà aperta all'universalità, in quanto accoglie giovani da ogni parte del mondo: come influisce ciò sulla formazione?

Alcuni vescovi italiani e di altre nazioni mandano i loro alunni al Seminario Romano maggiore, perché ricevano qui la formazione al sacerdozio. Il Seminario Romano fin dalla sua fondazione accoglie alunni da diverse diocesi, dove essi, dopo la formazione, ritornano per svolgervi il ministero. Questa convivenza di alunni romani e non romani è un notevole arricchimento per la nostra comunità; i candidati al sacerdozio mettono insieme e confrontano le varie esperienze, le diverse sensibilità culturali, spirituali ed ecclesiali, creando comunione e completando il loro vissuto particolare che così è valorizzato e, al contempo, relativizzato. Si ha così uno spaccato significativo della universalità della Chiesa. Le varie provenienze si ritrovano immediatamente nella comunione ecclesiale, soprattutto nella celebrazione dell'Eucaristia, nella preghiera, nella venerazione a Maria santissima e nell'obbedienza al Papa.

Il Pontificio Seminario Romano è il seminario della diocesi del Papa: che cosa comporta in termini di impegno rispetto agli altri?

L'impegno in seminario è risposta alla chiamata di Dio, e questo è vero, indifferentemente, per tutti i seminari. Essere il seminario della diocesi del Papa è un motivo in più per impegnarsi e, quindi, una responsabilità in più. Certo, è anche un dono, che si evidenzia ad esempio nel fatto che il Papa visita la nostra comunità tutti gli anni: una cosa che ci fa onore e che ci espone anche come il "Seminario del Papa". Se poi qualcosa nella nostra vita non risulta ben fatto è facile che si dica: "E questo è il seminario del Papa!". Per noi è abbastanza naturale pensare al Papa come ultimo riferimento della nostra realtà di Seminario. Comunque il Papa affida al cardinale vicario per la diocesi di Roma il compito di seguire la nostra vita e di darci le linee principali del progetto formativo.

Ritiene necessario un cambiamento dei criteri di valutazione dei seminaristi?

In questi ultimi decenni, a partire dal concilio vaticano II, si sono precisati molti criteri di valutazione. Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis ha indicato le quattro aree della formazione: umana, intellettuale, spirituale, pastorale. L'area umana è stata molto studiata, anche con l'apporto della psicologia e delle altre scienze umane. Non vedo necessari cambiamenti dei criteri di valutazione: è necessario chiarirli bene e saperli applicare nei singoli casi. Forse va accentuata la dimensione ecclesiale del cammino vocazionale attraverso un'autentica esperienza di Chiesa in cui anche i laici possano dare il loro contributo alla formazione e alla valutazione dei futuri sacerdoti. Va anche capito se questi giovani hanno fatto un vero incontro con Cristo, tale da giustificare una scelta come quella per il sacerdozio. Ciò che vedo come molto importante è che si realizzi una vera attenzione alla singola persona, in un dialogo costante che sappia illuminare, motivare e anche correggere, in una atmosfera di cordialità e di fiducia. Se un seminarista sa mettersi in una situazione del genere, mostra di avere la disposizione fondamentale per una formazione. Certo sono necessari formatori all'altezza del compito educativo: ritengo che la formazione dei formatori sia uno dei capitoli più urgenti dei seminari, perché anche nei seminari si vive un'"emergenza educativa": i nostri giovani spesso sono segnati dal soggettivismo, che rende difficile la docilità e la docibilità.

Considera il seminario un'istituzione al passo con i tempi o potrebbero essere possibili altre strutture o modalità per la formazione dei candidati al sacerdozio?

Credo che si possa dire che la formazione al sacerdozio ha una struttura che non si può cambiare ed è la formazione comunitaria, anche perché deve portare a saper vivere in quella "fraternità sacramentale" che è il presbiterio. Il modello cui si fa riferimento è la comunità dei dodici apostoli costituita da Gesù: "Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli - perché stessero con lui e per mandarli a predicare". Questo è il nucleo della formazione al sacerdozio: attorno a esso si possono trovare delle varianti che corrispondano di più ai tempi e ai luoghi. Ma al momento non vedo alternative valide allo schema di seminario indicato dal concilio vaticano II.

È possibile presentare alle nuove generazioni l'esempio di santità sacerdotale di san Giovanni Maria Vianney senza cadere nella semplice devozione?

Abbiamo accolto molto volentieri l'indicazione del Papa a guardare al curato d'Ars come modello del sacerdote. È vero che la sua vita si è svolta in un contesto culturale molto diverso dal nostro, ma la sua santità mette in luce i valori fondamentali della vita sacerdotale (la preghiera, la dedizione completa, la predicazione semplice ed efficace, la confessione e la direzione spirituale, l'attenzione anche ai bisogni materiali delle persone) e questi colpiscono i seminaristi in modo forte. Lo scorso anno siamo andati ad Ars con gli ordinandi diaconi per gli esercizi spirituali in preparazione all'ordinazione: sono stati giorni molto belli e intensi. La figura del santo ha favorito in tutti, sacerdoti e seminaristi, un autentico momento spirituale. Quest'anno la nostra comunità sarà accompagnata da una icona con il volto di san Giovanni Maria Vianney e da una sua frase: "Il sacerdozio è l'amore del Cuore di Gesù".

Secondo lei i recenti scandali che hanno colpito alcuni sacerdoti rilanciati dai mass media hanno influito negativamente sui giovani che vogliono diventare preti? Come ricostruire nell'opinione pubblica l'immagine autentica del presbitero?

Certamente quei fatti continuano a colpire e a far riflettere. Rendono più pensoso e attento il discernimento vocazionale. I giovani lo sanno, ma quando scelgono di entrare in seminario prevale in loro la luce e la bellezza della chiamata; sono a volte gli altri, parenti e conoscenti, a volerli contrastare dicendo che "i preti sono tutti così". A me sembra che l'opinione della gente che frequenta le parrocchie e le comunità, sia nella stragrande maggioranza molto positiva nei confronti dei loro sacerdoti. Per ricostruire l'immagine del prete nell'opinione pubblica non vedo altra strada che far conoscere figure valide di sacerdoti. A noi sacerdoti il compito e la responsabilità di condurre una vita coerente con la nostra vocazione.

(©L'Osservatore Romano - 2- novembre 2009)

2 commenti:

mario ha detto...

Per noi è abbastanza naturale pensare al Papa come ultimo riferimento della nostra realtà di Seminario

ultimo o primo...? questo è il nodo del problema dei nostri seminari!

Raffaella ha detto...

Non posso che concordare!
R.