giovedì 2 aprile 2009
Anno sacerdotale: il destino di essere preti. Quei volti lasciano trasparire un altro volto (Corradi)
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IL DESTINO DI ESSERE PRETI
QUEI VOLTI LASCIANO TRASPARIRE UN ALTRO VOLTO
MARINA CORRADI
«Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote».
Nelle parole con cui il Papa ha annunciato alla Congregazione per il Clero l’ «anno sacerdotale» che inizierà a giugno, c’è questo passaggio perentorio.
Quasi un «memento» ai suoi, con l’autorevolezza del successore di Pietro: Dio, è la sola ricchezza che gli uomini cercano in voi.
Non sapienza o raffinata dottrina e nemmeno solo opere di carità, o umana compagnia: ciò che davvero gli uomini, anche oggi, cercano in un prete, è Dio.
Monito forte, e radicalmente esigente. Ma quasi, si direbbe, angolato nella prospettiva dei fedeli, immedesimato nell’animo di chi entra, o vorrebbe entrare, in una chiesa, o si inginocchia in un confessionale: ricordatevi, dice il Papa, che in voi cercano Dio – nulla di meno. Non a caso quest’anno sacerdotale nasce nella memoria del curato d’Ars, uno che nella cura dei fedeli si sfiniva: dieci, quindici ore al giorno in confessionale, conscio che la sua gente domandava a lui, povero prete cresciuto in campagna, il segno di un’altra misericordia.
La forte sottolineatura dell’essenza del sacerdozio si ripercuote in una seconda esortazione: a essere, i sacerdoti, 'presenti, identificabili e riconoscibili' sia per il giudizio di fede che per l’abito. Identificabili e riconoscibili: un sacerdozio che non si confonda con i giudizi e i modi del mondo, quasi a mimetizzarsi, ma che nell’essere, nel dire, nel mostrarsi si dichiari per ciò che è: figura di Cristo.
È netta la parola di Benedetto XVI ai suoi preti, ma sembra riflettere anche qui la domanda dei comuni fedeli – del popolo cristiano navigante nella modernità, ai suoi sacerdoti: portateci Cristo, portatecelo in modo chiaro, riconoscibile, audace. Portatecene il volto misericordioso, perché la più perfetta giustizia non guarisce gli uomini: ne occorre una più grande, che li faccia rinascere. Dai giorni degli apostoli, gli uomini hanno bisogno, per credere, di altri uomini. Di facce che portino e incarnino, nelle loro giornate di fatica oscure o banale, Cristo («Nel fatto che Dio si è fatto uomo sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano », ha detto Benedetto XVI). Dunque, Dio ha bisogno di uomini per farsi presente tra loro, e gli uomini hanno bisogno di sacerdoti, in cui trovare il volto e la misericordia di Dio. «Senza il sacerdozio ministeriale non ci sarebbe né l’Eucarestia né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa», ammonisce il Papa. Senza il sacerdote, non ci sarebbe Chiesa. Solo lui può spezzare il pane e versare il vino; solo lui può dire 'Io ti assolvo', dove quel perdono è di Cristo. Quasi il parlare, quello del Papa, di un condottiero ai suoi uomini, mentre la battaglia si fa aspra e dura; come un ricordare loro cosa hanno scelto, chi sono, e cosa cercano in loro milioni di persone – che magari non entrano in una chiesa, e però senza ammetterlo vorrebbero incontrare, nella faccia di un uomo, Dio. La storia antica del curato d’Ars, è emblematica. Il ragazzo nato alla vigilia della Rivoluzione, che ricevette la Comunione in un granaio, in clandestinità, è il testimone di tempi per la Chiesa drammatici.
Nella Francia delle chiese spogliate Giovanni Maria Vianney fu mandato in un villaggio dove, a detta del suo vescovo, a Dio si pensava ben poco. Eppure, quel paese di 230 anime si trovò come travolto da un turbine di decine di migliaia di pellegrini l’anno. Dall’una di notte si mettevano in coda, aspettando. Non era stato un seminarista brillante, faticava, l’ex contadino, col latino. Ma ripeteva, a messa, additando il tabernacolo: 'Lui è qui'. E ne era così visibilmente certo, e raggiante, che la gente non chiedeva altro. Bastava. Era, davvero, la sola ricchezza che cercavano, in un povero prete.
© Copyright Avvenire, 17 marzo 2009
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