venerdì 24 aprile 2009
Baget Bozzo: Vito Mancuso usa la sua teologia in chiave di critica politica dei testi papali (Studi Cattolici)
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TEOLOGISMI ESISTENZIALI DI VITO MANCUSO
Gianni Baget Bozzo
Vito Mancuso è divenuto il teologo politico di Repubblica ed è un grande acquisto per il giornale fondato da Eugenio Scalfari. Con ciò la critica laicista alle posizioni della Chiesa si arricchisce della contestazione di esse in chiave teologica.
Perché Mancuso conosce bene la teologia, l’ha assimilata e sa usarla con una penna efficace sul piano della comunicazione di stampa. La sua strategia di attacco consisterà nel ridurre tutte le questioni a un solo termine, quello della decisione umana come unica soluzione. Qualunque posizione comporti un riferimento di criteri non subordinati alla scelta dell’uomo viene ridotta da Mancuso al principio che nelle cose del mondo conta la forza, e la libertà umana è anch’essa una forza.
USO POLITICO DEL PENSIERO TEOLOGICO
Questa posizione teologica conviene al laicismo di Repubblica, secondo cui la Chiesa non ha diritto a intervenire sul piano del dibattito pubblico, perché i suoi dogmi non sono razionali. Sicché Mancuso offre argomenti a coloro per cui la migliore Chiesa è quella del silenzio.
L’obiettivo centrale è papa Ratzinger, cioè proprio colui che fa della differenza ecclesiale il presupposto del suo magistero e del suo ministero e, quindi, è portato a incrociare il laicismo diffuso ogni qualvolta parli.
Il compito di Mancuso è dunque molto semplice; gli basta dimostrare che il Papa parla da Papa e suppone pertanto il dogma cattolico. Egli può censurare il fatto che il discorso papale contraddice ciò che è comunemente accettato dai mezzi di comunicazione sociale. Su Il Foglio Mancuso parlava ancora da teologo; oggi usa la sua teologia in chiave di critica politica dei testi papali. Si tratta di dimostrare che il fattore X, cioè l’evento spirituale nella sua densità, non è un fenomeno né un assioma e quindi è condannato alla insignificanza. Mancuso è giunto all’uso politico del pensiero teologico, e questo pone il problema. È possibile uno sviluppo ulteriore del Mancuso teologo dopo che egli ha invalidato l’impianto stesso del discorso teologico proprio della Chiesa? Avendo criticato l’edificio dogmatico, c’è ancora spazio nei pensieri di Mancuso per la teologia?
DARWIN, OVVERO DELLA NON CASUALITÀ
L’efficacia di Mancuso sta nell’aver pensato di costruire una teologia sul principio che vi sia una forza unica nella realtà e che essa si svolga solo su sé stessa. Già spiegare il concetto di evoluzione nel quadro di questo monismo è un problema. Di fatto, coloro che hanno filosofato a partire dall’evoluzione di Darwin, e hanno dedotto una metafisica dalla sua concezione delle origini della specie, hanno fondato la loro teoria sulla contingenza e non sulla causalità; hanno cioè espunto ogni concetto di finalità e quindi quello stesso di evoluzione, tutto riducendo al mero effetto di cause contingenti non aventi in sé alcuna ragione, scopo o fine. È interessante quindi vedere Mancuso in dialogo come un filosofo che interpreta l’implicito del pensiero di Darwin come successione di mere contingenze, senza causalità intenzionale e senza finalità. Cioè, senza ragione.
Il darwinismo non è la sua metafisica, ma la può produrre se esso viene pensato in modo metafisico: gli rimane l’unico spazio della pura contingenza come pura casualità.
Micromega ha dedicato un numero al centenario della nascita di Darwin. In questo numero ha ospitato un dialogo tra un filosofo della scienza, Telmo Pievani, e Vito Mancuso. Il dibattito comincia con l’assunzione di Darwin a maestro della teologia, perché Mancuso dichiara: «Se non ci fosse stato Darwin io probabilmente adesso sarei ateo, non credente». È evidente che Darwin viene qui assunto come un’interpretazione che trascende i suoi testi e quindi collegato a una visione generale della vita. Pievani è incerto nel seguirlo su questa strada, perché ritiene che rendere coeso il pensiero di Darwin all’idea di contingenza storica, significa diminuirne il contenuto scientifico. Tende, cioè, a distinguere Darwin dalle sue interpretazioni metafisiche, sia da quelle di Mancuso sia dalle proprie, sebbene riconosca che l’opera di Darwin ha un significato anche filosofico e culturale. Ma è proprio su questo tema filosofico che si svolge il dialogo, perché Pievani mantiene fermamente l’idea che la mera contingenza, la non causalità e la non finalità, sono l’unica strada per fare della rivoluzione darwiniana, come egli la chiama, appunto una «rivoluzione».
Il dibattito si svolge dunque tra due filosofie opposte: quella di Mancuso tende a fondare il concetto di causalità e di finalità di evoluzione dal semplice al complesso; Pievani, invece, rimane fedele alla pura contingenza come implicito metafisico dell’opera dello scienziato. Per questo Pievani è particolarmente interessato a respingere la teoria di Herbert Spencer del pensiero di Darwin come una grande filosofia del progresso universale. Pievani è convinto che dall’assenza totale di una direzione del processo cosmico sia possibile fondare un’etica umana ben argomentata radicata nella libertà e nella responsabilità. In realtà, questa etica della libertà e della responsabilità è proprio quella in base a cui Mancuso critica le posizioni cattoliche. Conseguentemente, Pievani nega il concetto di natura che «non può essere un serbatoio dal quale attingere i princìpi in grado di orientare direttamente la vita morale».
UN DIO/ENERGIA SOLIDALE AL COSMO
Mancuso serba un concetto classico di natura, tolto dalla metafisica tradizionale, Pievani coerentemente lo nega. Mancuso introduce concetti metafisici che negano il suo materialismo, per cui lo spirito «non è qualche cosa che si oppone alla materia, ma il frutto del lavoro stesso della materia». Di qui il dibattito si sposta nella ricerca di Mancuso di trovare nel divenire della specie tracce di dualità, di differenze, di relazioni. La differenza umana dalle altre forme di vita sta nella capacità di compiere atrocità ed eroismi. Questa è la prova della discontinuità dell’essere umano rispetto alla sfera naturale della vita. Ma come trovare in questo una differenza tra le grandi stragi che l’evoluzione della specie comporta?
Il problema interessante del dibattito sta, però, nella concezione di Dio. Mancuso usa il concetto che egli ha introdotto nell’universo darwiniano, quello di natura «se Dio esiste anche lui va pensato come natura». Se lo spirito è una costruzione della materia, Dio è solidale al cosmo e non può essere pensato che come energia, la stessa materia del mondo. La ricerca del teologo non può essere allora che l’esame della storia dell’evoluzione per trovarvi tracce del superamento dell’idea di forza in quello di relazione per introdurre una diversità dopo aver supposto l’unità della forza. Come togliere al darwinismo il concetto che siano la selezione e la competizione il criterio della vita? Mancuso cerca di introdurre un’idea di solidarietà e comunione nel cammino collettivo di bilanciare il concetto di forza con quello di relazione. Ma è la relazione così introdotta una forma diversa dalla forza o non è invece un semplice esercizio di essa? Le forme di solidarietà collettive del mondo animale non avvengono anch’esse sulla spinta dell’adattamento all’ambiente conducendo al sacrificio della vita di un animale per il bene del branco e della specie?
La relazione non introduce alcuna alternativa al concetto darwiniano, secondo cui è la necessità della sopravvivenza la causa del mutamento. Non introduce altro concetto che quello di adattamento all’ambiente sotto la spinta dei fattori costrittivi. E il caso e la necessità rimangono il criterio darwiniano per spiegare l’evoluzione. Introdurre nell’evoluzione il concetto di natura che suppone una identità, una razionalità e un ordine della soluzione darwiniana, lascia aperto il problema se vi può essere il superamento umano della forza. Cioè, se il linguaggio etico dell’uomo non rappresenta di fatto una trascrizione della forza nei rapporti sociali. Certo, occorre spiegare perché l’uomo non accetta il principio che solo la forza sia il criterio di ordinamento della vita. Ma ciò potrebbe provare soltanto che l’uomo rappresenta una deviazione da una logica della vita fondata sulla forza e che la coscienza infelice è solo il sintomo di un mancato adattamento della specie umana alle leggi della vita.
Mancuso, infatti, pensa che l’uomo rappresenti una evasione dalla legge della forza e raggiunga le figure dello spirito. Ma come è possibile configurare un salto di qualità che rappresenti una differenza ontologica tra il processo nella vita e la nuova qualità raggiunta con la coscienza umana? Se l’uomo è un’eccezione alle leggi della vita, occorre definire come questo si prova e come questo è possibile. E postula che vi sia qualcosa che renda possibile il salto ontologico. E questo contraddice il materialismo biologico su cui si fonda l’interpretazione del darwinismo fatto da Mancuso. Lo spirito umano è una differenza ontologica dello schema materialistico o esso non è che una trascrizione di esso in un altro linguaggio. L’evoluzione diviene così nel sistema di Mancuso una antropogonia che è una teogonia. La formazione della coscienza umana raggiunge la sua pienezza nell’idea di Dio concepita dallo spirito umano. Il sistema di Mancuso suppone una realtà divina che diviene autocoscienza di sé nella storia umana. L’uomo, per Mancuso, è l’autocoscienza dell’universo. L’uomo è la rivelazione del divino a sé stesso, la piena autocoscienza dell’uomo nella sua ragione è la rivelazione del processo di complessificazione della materia sino all’autorivelazione del divino che l’ha mossa. Ciò comporta una visione positiva della storia, la convinzione che l’antropogonia come teogonia non può che compiersi nella prassi umana e che essa è l’ultimo portato del processo dell’universo. Pievani chiede a Mancuso se si riconosca nel pensiero di Spinoza. Mancuso rifiuta, perché riconosce il problema del male come possibilità dell’uomo. Ma che cosa è il male in un processo di complessificazione che è interamente finalizzato e il cui fine diviene l’ultima necessità? La conclusione di Pievani è l’affermazione della sfiducia nella «natura cooperativa» teorizzata da Mancuso: «A ben poco può servire questo metodo per trovare una morale valida per gli esseri umani».
© Copyright Studi Cattolici, aprile 2009 consultabile online anche qui.
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5 commenti:
una cosa che mi ha stupito è che neanche Enzo Bianchi si esalta per Mancuso.
L'articolo è questo:
http://www.monasterodibose.it/index.php/content/view/2930/140/lang,it/
in realtà l'argomento principale è la tendenza di alcuni di stiracchiare le idee dell'interlocutore per i propri fini e il bersaglio è soprattutto Augias (che aveva scritto una recensione di un libro di Bianchi usando il violino in modo indecente). Ma ce n'è anche per Mancuso.
Devo dire che ho sentito un certo odore di onestà in questo articolo dove in pratica l'autore dice:guardate che non sono minchione anche se mi insaponate.
Mi gira un po' la testa, ma il principio mancusiano che "nelle cose del mondo conta la forza, e la libertà umana è anch'essa una forza", messo in chiaro da Baget Bozzo con la lucidità e la capacità di sintesi che gli sono proprie, è davvero la chiave di tutto quel che afferma e scrive il teologo del momento. Non c'è nulla di più aggressivo, oggi, della rivendicazione urlata della propria libertà personale, amplificata in tutte le salse dai media e, al livello più basso, continuamente asserita -per esempio- nelle dichiarazioni insulse e volgari dei concorrenti dei reality o di "Amici". All'opposto, c'è il principio, cristiano, ma anche proprio delle religioni orientali -punto di contatto che magistralmente approfondì von Balthasar- dell'annullamento dell'io, messo in pratica dai mistici occidentali e orientali. Non c'è da stupirsi se Mancuso è diventato il "teologo di corte" di Repubblica
In realtà la posizione teologica di Mancuso è vecchia: la filosofia massonico-idealista ottocentesca.
Mancuso probabilmente ha già abbondoanto da un pezzo la fede cattolica.
E il fatto che scriva per un quotidiano anti cattolico come "Repubblica", ne è la prova evidente. Preghiamo per lui.
Errata corrige: ho scritto von Balthasar, ma in realtà pensavo ad "Aspetti del buddhismo" di Henri de Lubac
Beh..
Enzo Bianchi resta sempre un "grande"!!! A me non ha stupito l'articolo su Famiglia Cristiana che cita Mariateresa...
Riguardo Mancuso la sua "teologia" (metto tra virgolette xkè di fatto teologia non è...) non è nient'altro ke una gnosi...!!! Grandi perplessità sulle sue idee le aveva espresse anke il card. Martini nella presentazione del suo libro "L'anima e il suo destino"...
Occorre riconoscere però che alcune domande poste nei suoi scritti sono urgenti e necessitano una risposta da parte delle teologia cattolica e della chiesa, ma le risoluzioni che propone Mancuso sono deboli e molto "gnostiche"!!!!
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