giovedì 7 maggio 2009

Il Papa in Israele e la pace difficile (Carlo Jean)


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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Il Papa in Israele e la pace difficile

Carlo Jean

Sua Santità, Benedetto XVI, si recherà in Terra Santa dall'11 al 15 maggio, dopo essere stato in Giordania per due giorni.
Sarà al tempo stesso un pellegrinaggio nei luoghi in cui ha avuto origine il Cristianesimo e una visita di Stato. È la terza volta che dalla sua costituzione, lo Stato di Israele viene visitato da un Pontefice. La prima fu quella, di un solo giorno, effettuata da Paolo VI.
Fu informale e dominata dalla preoccupazione di non destare sospetti che la Santa Sede riconoscesse implicitamente lo Stato ebraico. La seconda fu quella «trionfale», effettuata nel 2000 da Giovanni Paolo II. Essa assunse un significato anche politico. Il Vaticano aveva riconosciuto formalmente Israele già nel 1993. Dal dicembre di quell'anno fu firmato dai due il cosiddetto «Accordo Fondamentale». Esso avrebbe dovuto trasformarsi in una specie di Concordato.
Esistono però ancora difficoltà ad accordarsi su diversi punti: esenzione degli enti religiosi dalle tasse; concessione di «visa» ai cristiani degli Stati arabi che non riconoscono Israele; definizione delle proprietà della Chiesa. Quest'ultimo punto è sensibile soprattutto per il Cenacolo, prima cristiano, poi musulmano e oggi appartenente allo Stato di Israele.
L'accordo è gestito da una Commissione bilaterale Israele-Vaticano. Nella sua riunione del 30 aprile sono stati annunciati grandi progressi. Viene così neutralizzato un contenzioso che avrebbe potuto incidere negativamente sulla visita del Papa. Benedetto XVI era stato invitato a recarsi in Israele dal presidente Simon Peres all'inizio dell'anno, cioè prima delle elezioni di febbraio. La visita non ha quindi nulla a che vedere con il loro risultato, che ha visto la vittoria della destra. Non può essere criticata perchè volta a migliorare l'immagine del governo Netanyahu. C'è da dire che la Santa Sede - soprattutto dopo il riconoscimento di Israele - si è sempre sforzata di mantenere una posizione di rigida neutralità nelle vicende politiche del Medio Oriente.
Ha puntato soprattutto sul dialogo interreligioso. Prima del 1993, le cose erano diverse. Il problema centrale era quello di Gerusalemme. Il Vaticano - soprattutto ai tempi di Paolo VI, dopo che Gerusalemme era stata unificata da Israele con la guerra del 1967 - auspicava uno status internazionale per la città sacra alle tre grandi religioni monoteiste. L'altra preoccupazione della Santa Sede consisteva nel declino della presenza cristiana in Medio Oriente, regione di origine del Cristianesimo. Una difficoltà nei rapporti con lo Stato ebraico derivava dal fatto che la pratica totalità dei cristiani sono arabi e vivono anche negli Stati che non lo riconoscono. Gli accordi di Oslo, l'inizio del processo di pace tra Israele e i Palestinesi, le ottime relazioni di Giovanni Paolo II con gli ebrei e anche le pressioni americane su Israele consentirono di migliorare notevolmente i rapporti fra la Santa Sede e lo Stato ebraico. Influenti membri del Congresso e del Senato americano intervenirono a tal fine. Ad esempio per sbloccare situazioni di stallo, quale fu il ritiro nel 2004 dei membri israeliani della Commissione mista. La visita che Benedetto XVI voleva fare in Palestina sin dall'inizio del suo Pontificato aveva trovato vari ostacoli.
Diverse incomprensioni e tensioni l'hanno ritardata. Intanto, la canonizzazione di Pio XII era avversata da molti ebrei che gli rimproveravano di non essersi opposto al nazismo. Poi, l'aver tolto la scomunica al vescovo Richard Williamson, che negava l'entità dell'Olocausto e l'esistenza delle camere a gas. Poi ancora, il fatto che nel Museo della Shoà esistano scritte di condanna di Pio XII per non aver protetto gli ebrei dai nazisti. L'ultima disputa riguardava il ripristino della messa in latino, senza che fosse stata eliminata l'invocazione del riconoscimento di Gesù da parte degli ebrei. Tutte queste difficoltà sono state superate con grande buona volontà da parte di tutti. Benedetto XVI - pur continuando a difendere l'operato di Pio XII - ha rallentato il processo di canonizzazione, subordinandolo all'accessibilità di tutti i documenti esistenti negli archivi vaticani. In pratica, l'ha ritardato di sette anni. Il vescovo «negazionista» è stato violentemente rimproverato dal Papa e ha riconosciuto il proprio errore. A Gerusalemme il Papa visiterà i monumenti del mausoleo di Yad Vashem, che circondano il museo dell'Olocausto, dove però non entrerà, dato che le scritte contro Pio XII non sono state tolte. Infine, il Papa ha precisato che la messa in latino esprime un auspicio fraterno, non una richiesta di convertire gli ebrei. A complicare le cose sono poi intervenuti: la divisione dei palestinesi tra Hamas e Al-Fatah; l'uso eccessivo della forza da parte d'Israele a Gaza; e anche il rischio che la visita venisse manipolata a suo favore dal nuovo governo israeliano. Ma anche queste complicazioni sono state superate. La visita di Benedetto XVI ricalca il programma di quella fatta da Giovanni Paolo II. Prevede cerimonie religiose, incontri con le comunità cristiane e colloqui con le autorità politiche e religiose, eccezion fatta per Hamas. Ha tutte le probabilità di essere un grande successo, simile a quello avuto nel 2000 dal suo predecessore. Lo dimostra anche il fatto che governo israeliano e media israeliani si riferiscono ad essa con lo slogan «un ponte verso la pace».

© Copyright Il Mattino, 6 maggio 2009 consultabile online anche qui.

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