domenica 17 maggio 2009

Padre Pizzaballa: «Dal Papa una nuova speranza per noi cristiani di Terra Santa. La franchezza con la quale si è pronunciato è stata molto apprezzata»


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BILANCIO DEL VIAGGIO

«Dal Papa una nuova speranza per noi cristiani di Terra Santa»

Pizzaballa: basta vittimismi, collaboriamo a costruire ponti di pace Con gli ebrei legame inscindibile, la ragione al centro del dialogo con l’islam

«La franchezza con la quale si è pronunciato è stata molto apprezzata sia dagli israeliani sia dai palestinesi»

DAL NOSTRO INVIATO A GERUSALEMME

LUIGI GENINAZZI

Il Papa ci ha aperto la strada. E adesso tocca a noi, cristiani di Terra Santa. Ba­sta con il vittimismo, diamoci da fare». Padre Pierbattista Pizzaballa è noto per i suoi giudizi netti e spesso taglienti. 44 anni, da cinque Custode francescano della Terra San­ta, è stato una delle presenze più discrete ma al tem­po stesso più vicine al Santo Padre nel suo lungo pel­legrinaggio. La persona giusta, dunque, con cui trac­ciare un bilancio di questa memorabile visita.

Padre Pizzaballa, incominciamo dalla fine: il di­scorso di congedo pronunciato da Benedetto XVI al­l’aeroporto di Tel Aviv è stato un forte richiamo per­ché la soluzione dei due Stati diventi presto realtà. Molti sono rimasti sorpresi, qualcuno l’ha giudica­to un discorso troppo politico. Lei che giudizio ne dà?

Mi lasci dire prima di tutto che il cuore di questo viaggio è stato religioso e la visita al Santo Sepolcro ne ha rappresentato il culmine. Ma certamente il Pa­pa non si è mai tirato indietro di fronte alle implica­zioni politiche del suo messaggio. Le ha dette appe­na arrivato in Israele e le ha ribadite alla partenza. E le ha sostenute con forza durante la visita a Betlem­me. Ha mostrato un grande coraggio ma per me non è stata una sorpresa.

Un conto è dire che il muro è una trage­dia parlando ai pa­lestinesi che ne sof­frono le conseguen­ze, ben diverso è ri­petere lo stesso con­cetto davanti al pre­mier israeliano Ne­tanyahu che il muro l’ha voluto...

È vero, il che ci con­ferma che Benedetto XVI non è un personaggio ac­comodante. Il suo garbo e la sua delicatezza non possono essere scambiate per remissività. Quel che ha da dire lo dice con grande chiarezza. E per quan­to ho potuto notare questa sua franchezza è stata molto apprezzata, sia da parte palestinese che da parte israeliana. Anche da coloro che non sono d’ac­cordo.

Sui giornali sono apparsi vari commenti critici a proposito del discorso tenuto dal Papa al memo­riale di Yad Vashem...

Per la visita di Benedetto XVI a Yad Vashem c’erano molte aspettative intrecciate a pregiudizi ed a rancori.
Insomma il copione era già stato scritto, solo che il Papa non l’ha rispettato.
Ha svolto una bellissima riflessione sul nome, in senso biblico. Invece molti s’aspettavano le sue scuse come tedesco, come Ca­po della Chiesa cattolica e così via. Un clima di pre­tesa emotiva che ha perso di vista il fatto più impor­tante, e cioè che il Papa in più occasioni, prima e du­rante il viaggio in Israele, ha fatto dichiarazioni mol­to nette contro l’antisemitismo ed il negazionismo.
Dopo le prime reazioni però i toni sono cambiati. Ad esempio l’ultimo editoriale del quotidiano 'Yediot Ahronot' sottolinea che la Chiesa cattolica ha già fatto mea culpa e che non è giusto chiedere ogni volta che si scusi con il popolo ebreo.

Che effetto avrà questo viaggio sui rapporti tra cristiani ed ebrei?

Le posizioni erano già molto chiare ma è importante che il Papa le abbia ribadite. L’affermazione fatta sul Monte Nebo secondo cui «c’è un le­game inscindibile tra cristianesimo ed ebraismo» non è nuova ma l’a­verla ripetuta in modo così pubbli­co e solenne ha un grande significa­to. Finora il dialogo tra cristiani ed e­brei era una cosa di specialisti, di rab­bini e teologi. Con questo viaggio il Papa si è assunto, per così dire, un compito di divulgazione.

E nei rapporti con l’islam?

Ha tenuto ben distinto il dialogo con l’ebraismo, che riguarda le nostre ra­dici ed ha un carattere teologico, da quello con il mondo musulmano che ha definito come alleanza di civiltà.
Con il discorso pronunciato alla mo­schea di Amman il Papa ha fatto fa­re un passo in avanti al dialogo tra cristianesimo ed islam, richiaman­do il concetto di razionalità della fe­de religiosa. In Giordania questo di­scorso è stato capito. Qui a Gerusa­lemme invece tutto viene politiciz­zato, come si è visto durante l’in­contro interreligioso a Notre Dame durante il quale c’è stato un intervento decisamen­te fuori luogo da parte di un leader islamico.

Per i cristiani di Terra Santa cosa ha significato il pellegrinaggio del Papa?

Ha spazzato via le perplessità e i timori che qualcu­no aveva manifestato alla vigilia. Benedetto XVI non ha perso occasione per incoraggiarci facendo senti­re tutta la sua personale vicinanza. Ha celebrato tre messe solenni che hanno fatto scoprire al grande pubblico d’Israele la realtà della Chiesa locale. Adesso spetta a noi, cristiani di Terra Santa, mettere da parte la tendenza al lamento ed al vittimismo per dare un contributo positivo alla società, costruendo ponti di pace. Il fatto d’essere som­mersi da tanti problemi non vuol di­re che ci dobbiamo annegare. Il Pa­pa ha avuto parole di grande com­prensione per le sofferenze dei cri­stiani ma al tempo stesso ci ha invi­tato a rialzare la testa, ci ha ridato speranza.

I problemi della Chiesa locale sono al centro di una trattativa che va a­vanti da oltre dieci anni fra la San­ta Sede e lo Stato d’Israele. Dopo la visita del Papa le cose si sono sbloc­cate?

La questione centrale del negoziato riguarda sei luoghi sacri. È un pro­blema che tocca la libertà religiosa, non la proprietà che è già nostra. Noi chiediamo alcune garanzie allo Sta­to d’Israele, ad esempio l’impegno che non ci verranno confiscati. Il viaggio del Papa non ha portato a risultati concreti ma ad un chiarimento di fondo. L’impressione è che anche il governo israeliano sia interessato finalmente a chiudere la vicenda. Credo che dopo la visita di Be­nedetto XVI i rapporti con Israele diventeranno più fluidi.

Lei è stato vicino a Benedetto XVI durante tutti gli otto giorni della visita papale. Ci può dire con qua­li sentimenti il Santo Padre ha vissuto questo suo pellegrinaggio?

È una persona molto schiva e riservata ma ha la­sciato trapelare in più occasioni la sua grande gioia per gli incontri che ha avuto.
Ha una grande libertà in­teriore, non si è lasciato spaventare dai tanti condizionamenti e dalle dif­ficoltà oggettive della situazione. Standogi vicino ho capito che aveva un grande bisogno interiore di fare questo pellegrinaggio. Lo ha fatto prima di tutto per sé. Ma è riuscito a farlo diventare un segno di grande speranza per tutti.

© Copyright Avvenire, 17 maggio 2009

FOTO: Il Papa a pranzo con i frati della Custodia a Betlemme.

3 commenti:

mariateresa ha detto...

Mi hanno colpito molto le ultime righe.La grande libertà interiore, (sì questo è un uomo molto molto libero) e il suo bisogno personale di fare il viaggio. E' fine e occhiuto padre Pizzaballa. Pensate cosa ha dovuto passare questi 4 o 5 mesi papa Benedetto e ditemi voi che forza deve avere per non lasciarsi condizionare e per continuare a sorridere.Il minimo che potesse desiderare è proprio un viaggio alle radici della nostra fede.
Non ho mai provato tenerezza per un papa, ve lo confesso: questa è la prima volta.
Ho provato stima, affetto, compassione, ma tenerezza è un sentimento inedito.E nasce dal fatto che nonostante la riservatezza della persona, la sua umanità grande viene fuori a tutto tondo.

Raffaella ha detto...

Bellissime riflessioni, quella del padre e la tua, carissima amica :-))
R.

euge ha detto...

Già mariateresa. Vorrei aggiungere qualcosa anch'io. Io per esempio ho sempre provato rispetto e quando ero piccola, forse anche timore di quella figura vestita di bianco. Ma, con Benedetto XVI, è non stò esagerando, è come se parlassi di un membro della mia famiglia per la quale si prova rispetto prima di tutto, affetto, stima e come hai detto tu una profonda tenerezza. Ecco perchè, ancora una volta, non riesco a capacitarmi di coloro che provano per questa persona, tanto odio e cattiveria del tutto gratuita e sicuramente immeritata.
Devo tantissimo a Benedetto XVI come persona e come Papa; e quello che faccio per lui, mi sembra sempre poco.