domenica 17 maggio 2009

Il Papa in Terra Santa: Sfida vinta a Nazareth (Mondo). Mia riflessione...


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Leggiamo e poi commentiamo:

Sfida vinta a Nazareth

LORENZO MONDO

Ho la netta sensazione che il Papa abbia vinto la sfida rappresentata dal suo viaggio, per più versi cruciale, in Israele e in Palestina. Se ne è avuta la conferma con il gesto quasi liberatorio compiuto a Nazareth, dove tutto, per i cristiani, ha avuto inizio.
Quando, invocando la pace e la riconciliazione davanti a 40 mila fedeli, ha preso per mano un rabbino e un imam, associandoli alla sua preghiera. È l’immagine più incisiva che resterà a documentare il suo pellegrinaggio. Per un momento quest’uomo, riservato e quasi sopraffatto dalla timidezza, è sembrato scoprire l’estro comunicativo di Wojtyla, il grande predecessore.
È stata una solenne smentita al malanimo pregiudiziale di certi commenti, come quello dell’Economist, che si attendeva da lui un’ennesima gaffe.
Ma lungo tutto il percorso, ha avuto ragione del fazioso esame filologico cui sono state sottoposte le sue parole. Gli imputavano di non avere pronunciato l’aggettivo nazista, di avere indicato genericamente in milioni, e non in sei milioni, gli ebrei finiti nei campi di sterminio, di non avere chiesto un’altra volta scusa per non si sa bene quali omissioni. Gli estremisti della parte avversa avrebbero voluto invece che denunciasse a chiare lettere il colonialismo e le stragi perpetrate da Israele.
In realtà, Benedetto XVI non ha eluso, con placida fermezza, nessuno dei temi forti che riguardano la Terrasanta. Ha difeso il diritto dei palestinesi ad avere una patria, ha chiesto l’abbattimento del vessatorio e anacronistico muro eretto da Israele e la fine del blocco di Gaza. Ma al Museo dell’Olocausto ha manifestato il suo turbamento davanti al memoriale delle vittime, ha ribadito con parole inequivocabili la condanna dell’antisemitismo e il «vincolo inseparabile» che unisce cristiani ed ebrei.
E ha esortato tutti a respingere la tentazione dell’odio e della violenza, la manipolazione della fede religiosa per fini politici. Non occorre essere credenti per consentire a queste esortazioni che ogni uomo in buona fede trova ragionevoli. Da chi si propone come messaggero di pace nella martoriata terra di Gesù e si trova, per fortuna, sprovvisto di armate (come argomentava Stalin) e di poteri decisionali non si può francamente aspettarsi di più.

© Copyright La Stampa, 17 maggio 2009 consultabile online anche qui.

Molto bello questo articolo, ma non sono d'accordo con la prima parte nel senso che non e' l'immagine del canto (non della preghiera!) comune per la pace che caratterizza questo viaggio.
Ovviamente si tratta di un'opinione personale, ma quel canto, mano nel mano, costituisce un bellissimo gesto ma, come tale, ha poco valore se non seguito dal rispetto reciproco e soprattutto dal dialogo reale e da fatti concreti.
E' un meraviglioso gesto mediatico che ha fatto la felicita' dei fotografi e dei giornalisti, ma io do' poca importanza ai gesti.
Sono molto piu' importanti, a mio avviso e per come sono fatta, i discorsi e le dimostrazioni di sincero affetto e rispetto verso le altre fedi e verso i popoli.
Un gesto sembra rivoluzionario oggi e ridotto a feticcio televisivo domani.
I discorsi, le parole, i fatti, invece, restano!
Nessun gesto, nessun canto mano nella mano e nessuna fotografia valgono come il discorso di congedo di Benedetto XVI da Israele! O come quello allo Yad Vashem sul nome che nessuno potrai mai cancellare!
Non a caso ieri l'ultimo intervento del Papa in Terra Santa e' stato pubblicato per intero dal Corriere della sera.
In quale altra occasione abbiamo visto una simile decisione?
E' quella riflessione all'aeroporto che caratterizza il viaggio in Israele e nei Territori palestinesi. Sono quelle parole fortissime, incisive e coraggiose, che resteranno nei libri di storia, non una immagine televisiva o una foto.
C'e' poi l'immagine che caratterizza la visita a Gerusalemme dal punto di vista religioso e che mi ha toccato profondamente il cuore: il Papa in preghiera, commosso fino alle lacrime, al Santo Sepolcro.
Li' non servivano discorsi, perche' eravamo al fondamento della nostra fede. Non c'era alcun confronto interreligioso: eravamo tutti li', dove tutto per noi Cristiani e' iniziato.
Cio' che caratterizza invece il viaggio in Giordania e' il "duello a colpi di fioretto" fra Joseph Ratzinger (teologo e Papa) ed il principe Ghazi di Giordania.
Che bello quel botta e risposta, che grande esempio!
Ecco! Questa e' la mia idea di dialogo proficuo fra fedi: non la mano nella mano, ma il dirsi tutto in faccia, affrontare le difficolta', le controversie, non nascondersi nulla mantenendo sempre il massimo rispetto per l'altro.
Il principe Ghazi ha detto chiaramente in faccia al Papa che la frase di Manuele II Paleologo, citato nel discorso di Ratisbona, e' sbagliata.
Benedetto XVI ha ribadito, chiaro e tondo, i concetti espressi in quella memorabile lectio.
Ho particolarmente apprezzato, poi, il complimento del principe-teologo al Papa che non si lascia influenzare dalle mode.
E' questo confronto aperto (anche polemico) che mi piace moltissimo e che ho visto in Giordania fra il Papa ed un autorevole esponente del mondo islamico.
Ed e' proprio questo rispetto per il Santo Padre che, a mio avviso, e' mancato in piu' occasioni in Israele e nel confronto con il mondo ebraico: grandi sorrisi, grande strette di mano e poi critiche feroci riversate sul Papa non appena si sono presentati i giornalisti.
Ecco la ragione della mia profonda delusione: si e' sprecata una grande occasione ma non da parte di Benedetto XVI
.
R.

4 commenti:

mariateresa ha detto...

Non potevi dire meglio, cara.
Ma per quello che riguarda i media dobbiamo rassegnarci , contano solo le foto simboliche et similia.
Quante volte l'inviata della Croix, durante i viaggi papali, si è lamentata che non ci fossero occasioni da immortalare per poi sbrodolarci sopra con la solita retorica a vuoto pneumatico. Lei (l'inviata)lo chiama mancanza di senso pastorale, io lo chiamo in altro modo. Ed è proprio per questo altro modo di essere di Benedetto che lo rispetto tanto.

Raffaella ha detto...

Sottoscrivo :-)
R.

gianniz ha detto...

“Per un momento quest’uomo, riservato e quasi sopraffatto dalla timidezza”…
Voglio partire da questa frase che viene ripetuta fino alla noia dai giornalisti, ma che risponde, a mio parere, ad una analisi troppo leggera, facile e forse, anche, fuorviante: la timidezza di Papa Benedetto.
Ho riflettuto su questo. Per concludere che Benedetto, sì, sarà anche timido, ma questo non mi semra essere l’aspetto dominante della sua personalità. A me sembra che più che la timidezza in lui sia presente il rifiuto dell’apparenza. Questo sì davvero dominante!
La sua personalità ha un volto del tutto e profondamente autentico, essenziale, sostanziale. Tanto autentico, essenziale, sostanziale da portarlo e costringerlo al rifiuto di ogni gestualità, di ogni immagine, di ogni apparenza, di ogni icona. Oggetti così poco importanti, in fondo, da contare, per lui, meno di zero.

Non pensate che, se lo volesse, non gli sarebbe possibile essere più disinvolto? Non è così difficile! Basterebbe che si desse un insieme di piccole tecniche, piccole regole che, da sole, potrebbero risolvere o nascondere ogni incertezza, ogni titubanza, piccola o grande. Non è così difficile imparare a recitare un ruolo, almeno un po’. Non pensate?

Penso, invece, che anche su queste cose Benedetto ci voglia dare una lezione e ci voglia spiazzare.
Siamo così abituati a pensare che chi calca la scena deve “stare" come si deve sulla scena che non riusciamo nemmeno a guardare più in là. Siamo così intrisi di "immagine" che non riusciamo proprio ad accettare benevolmente un personaggio pubblico che non sia almeno un po’ teatrale, almeno un po’ "inautentico". Deve, perciò, essere trovata per forza una giustificazione: è tanto timido...

Ricordate quella che è una delle più conosciute leggi di Murphy? Per ottenere il successo ci vuole “un etto di professionalità e un chilo di immagine”. Ecco ricordiamocene, sì, ma per dimenticarla, almeno davanti al Papa.
“Professore”, anche in questo, e... “benedetto”, papa Benedetto.

Raffaella ha detto...

Caro Gianni, credo che tu abbia colto nel segno: il Papa non ama i fronzoli.
Evidentemente li considera inutili ed ha ragione!
Se insistesse troppo sulla disinvoltura i media si occuperebbero solo di quello (vedi canto mano nella mano).
E' un altro messaggio che il Papa vuole veicolare.
Senza fronzoli siamo tutti costretti a prestare orecchio a cio' che dice e non a cio' che fa.
R.