mercoledì 20 maggio 2009

Un intellettuale algerino commenta il viaggio del Papa in Terra Santa: «A Gerusalemme la voce della coscienza» (Missionline)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il Papa visto dall'islam

«A Gerusalemme la voce della coscienza»

di Mustapha Cerif

Il commento al viaggio in Terra Santa di un intellettuale algerino: «Da Amman fino a Tel Aviv ha chiamato ciascuno a correggere i propri elementi di cecità»

La visita del Papa in Terra Santa continua a essere analizzata anche dal mondo musulmano. Quella che segue è una nostra traduzione di un intervento dell'intellettuale algerino Mustapha Cherif apparso sul blog del quotidiano francese la Croix.

È stato un viaggio ricco di insegnamenti. Durante il viaggio spirituale e politico in Terra Santa - messo a rischio dall’arrivo al potere del nuovo governo di estrema destra in Israele, dal peggioramento della situazione nei Territori occupati e dal rinnovarsi del radicalismo - il Santo Padre è stato esemplare, agendo secondo la sua coscienza e non cedendo ad alcuna pressione o ricatto.
Tutti erano preoccupati e tutti sono stati sorpresi dal suo senso dell’equità, della misura e del coraggio. Come pellegrino e uomo di pace, con emozione, ha messo l’accento sulla riconciliazione con i nostri fratelli ebrei e sulla sua condanna ad ogni forma di negazionismo.
A livello di dialogo interreligioso, il Papa ha saputo con finezza mettere fine al malinteso con i musulmani, suscitato nel settembre 2006, in occasione della conferenza di Ratisbona.
Il principe Ghazi in Giordania gli ha reso un vibrante omaggio ben meritato.
Nel suo discorso nella moschea Hussein ad Amman e in quello della roccia a Gerusalemme, al-Quds, il Papa ha di nuovo espresso il suo rispetto per l’islam.
Non definisce più la ragione come la sola fonte di verità, ma parla di una ragione umile che deve lasciarsi illuminare dalla fede, per espletarsi pienamente. La sua critica si rivolge alle derive di coloro che manipolano la religione e non tanto alla religione in sé: «La manipolazione ideologica della religione ha talvolta dei fini politici».
Ha chiamato «musulmani e cristiani» alla testimonianza attraverso la loro «coerenza» nelle società secolarizzare per «essere conosciuti e riconosciuti come adoratori di Dio».
La questione della violenza non è più percepita come intrinseca a una o all’altra religione, ma va legata alle manipolazioni. Sul piano della giustizia, anche se non ha pronunciato la parola colonizzazione, ha detto ai palestinesi colonizzati, nostri fratelli cristiani e musulmani: «Avete diritto a una patria palestinese sovrana sulla terra dei vostri antenati».
Non si tratta di semplici parole, né di pii desideri, ma di una testimonianza che interpella le coscienze di tutti e in particolare di coloro che prendono le decisioni in Occidente, i quali mettono troppo spesso sullo stesso piano colonizzati e colonizzatori.
Certo, il governo israeliano rischia di raddoppiare la ferocia e di continuare la colonizzazione inumana.
Ma la falsificazione delle parole, gli sviamenti di senso e il clima di quest’epoca non scuotono l’immensa maggioranza dei cittadini del mondo che difendono la possibilità di «vivere insieme», sapendo, come Benedetto XVI, che non c’è pace senza giustizia.
Il Papa parla di due Stati, di due popoli e di pace per tutti. Non è un semplice ribadire le posizioni del Vaticano. Ha parlato di «terre dei vostri antenati», rivolgendosi ai palestinesi e ha qualificato il muro della vergogna come una «tragedia». È chiaro è oggettivo.
Anche nel suo ultimo discorso ha riaffermato il diritto. Anche noi ci collochiamo su questo piano «politico» in senso nobile, insieme a Benedetto XVI e non in una posizione faziosa, dogmatica o eufemistica. Questo dovrebbe incoraggiare Barack Obama e i potenti di questo mondo a passare dalla parole ai fatti, per costruire la pace in Medio Oriente, da cui dipende la sicurezza del mondo.
Il popolo, privato dei suoi diritti, è il popolo palestinese, che non ha uno Stato, né sovranità nazionale, né libertà, a causa del regime coloniale israeliano. Il Papa ha compreso molto bene che le reazioni cieche di giovani palestinesi di fronte all’oppressione sono gli effetti della disperazione e li ha invitati alla speranza. È una maniera franca di sollecitare ciascuno a correggere i suoi elementi di cecità.
Il Santo Padre non confonde le cause con gli effetti. Rifiuta con saggezza l’ingiustizia e la gerarchizzazione dei popoli, espressione dell’ideologia dell’esclusione. Con tutti, in questo viaggio che resterà storico, ha tenuto un linguaggio di rispetto e apertura.
Molti ebrei - credenti e non - non possono che approvare, tanto più che la maggior parte di loro, a giusto titolo, rifiuta che alcune lobby e il regime israeliano parlino a loro nome.
Allo stesso modo noi, in quanto musulmani, rifiutiamo che gli estremisti politico-religiosi e i regimi arabi arcaici parlino a nostro nome. Noi sogniamo una nuova Andalusia, dove nessuno monopolizzi la terra e la verità.
Benedetto XVI, che dall’inizio del suo pontificato ha inquietato molto credenti, progressisti e umanisti - e anche se non dispone di mezzi di grande potenza - ridà speranza a quanti sanno che il futuro non può che essere comune o non lo sarà affatto.

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