venerdì 7 novembre 2008
«Cattolici e islamici chiamati a costruire un futuro comune» (Mazza)
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CREDERE IN DIALOGO
«Cattolici e islamici chiamati a costruire un futuro comune»
Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i partecipanti al seminario sul tema «Amore di Dio, amore del prossimo» svoltosi a Roma su iniziativa del Forum cattolicomusulmano.
Un secondo «forum» si dovrà tenere entro due anni in un Paese a maggioranza musulmana
DA ROMA
SALVATORE MAZZA
Dialogare. Riconoscendo le differenze, certo, ma ascoltandosi reciprocamente senza pregiudizi.
Perché solo così ci si potrà sempre meglio comprendere, e offrire «un servizio autentico di pace e riconciliazione» a tutta l’umanità, incrollabilmente consapevoli «che il nome di Dio può essere solo un nome di pace e fratellanza, giustizia e amore». Dialogare, come una sfida «a dimostrare, con le parole e soprattutto con le azioni, che il messaggio delle nostre religioni è di armonia e di comprensione reciproca».
Compito «essenziale», se non si vuole «indebolire la credibilità e l’efficacia non solo del nostro dialogo, ma anche delle nostre stesse religioni». Facendo in modo, allo stesso tempo, che «ciò che di positivo emerge» dal dialogo non resti «confinato a un gruppo ristretto di specialisti ed esperti, ma venga messo al servizio di tutti, per goderne i frutti nella vita di ogni giorno».
È Benedetto XVI che si rivolge in questo modo all’Islam , andando oltre il tendere la mano, e affermando per questo: «Dio ci chiama a lavorare insieme» per «costruire un futuro comune». Lo fa ricevendo, ieri mattina nella Sala Clementina, i partecipanti al primo Seminario del Forum cattolico-musulmano, al termine della due giorni di riflessioni sul tema «Amore di Dio e amore del prossimo: la dignità della persona umana e il rispetto reciproco».
Un incontro, come noto, scaturito dalla Lettera aperta di 138 personalità musulmane indirizzata il 13 ottobre 2007 a Benedetto XVI e ad altri capi di Chiese e comunità ecclesiali, e dalla risposta che, a nome del Papa, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone aveva dato il 9 novembre successivo.
La convivenza pacifica, aveva sottolineato nel salutarlo Seyyed Hossein Nasr, rappresentante dell’islam sunnita – quasi anticipando la denuncia del Papa circa il fatto che «la discriminazione e la violenza che ancora oggi i credenti sperimentano sono atti inaccettabili e ingiustificabili», specie «quando vengono compiuti nel nome di Dio» – deve essere l’obiettivo comune, perché «solo attraverso questa pace sarà possibile stabilire la pace fra popoli e nazioni».
D’altronde, aveva aggiunto lo sciita Mustafa Ceric, va preso atto della «inevitabilità storica dell’incontro fra cattolicesimo e islam », e quel che serve, allora, è una stagione di dialogo «per guarire il cuore, non per uccidere la mente». Significativo in questo senso, e impegnativo, quanto affermato nella «Dichiarazione comune» conclusiva del Seminario, nella quale inoltre si annuncia un secondo Forum, da tenere, entro due anni, in un Paese a maggioranza musulmana, e apre alla possibilità di creare un Comitato misto permanente. In essa infatti si affermano il rispetto per la vita e per la dignità di ogni persona, uomo o donna, il che comporta, tra l’altro, rispetto per la libertà di coscienza e di religione.
Insieme, si ribadisce il rifiuto di discriminazioni a causa della fede e l’importanza di testimoniare con la preghiera, in un mondo sempre più secolarizzato, la dimensione trascendente della vita. E, infine, si definisce come 'dovere' la sana educazione morale, civile e religiosa dei giovani, informandoli sulla fede degli altri.
Nel suo discorso di ieri, aperto dai saluti dei due esponenti musulmani e da quello del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Benedetto XVI ha affermato di aver «seguito nella preghiera i progressi del vostro incontro, consapevole che esso rappresenta un ulteriore passo avanti nel cammino verso una maggiore comprensione tra musulmani e cristiani», mettendo in evidenza come «il messaggio delle nostre religioni è indubbiamente un messaggio di armonia e di comprensione reciproca». Di qui l’invito del Papa a «promuovere il rispetto autentico per la dignità della persona umana e per i diritti umani fondamentali», pur avendo sempre presente che «le nostre visioni antropologiche e le nostre teologie giustifichino ciò in modi differenti».
L’importante, per papa Ratzinger, è non lasciare spazio né alle recriminazioni, da un lato, né dall’altro a generalizzazioni che semplifichino la complessità delle questioni. La tensione, al contrario, dev’essere a «superare i pregiudizi» e a «correggere l’immagine spesso distorta dell’altro che ancora oggi può creare difficoltà nei nostri rapporti».
E dunque, se appunto permangono «differenti modi di approccio» soprattutto sulla concezione di Dio, nonostante le diversità, «possiamo – ha detto il Pontefice – adorare l’unico Dio che ci ha creato e che si prende cura di ogni persona sulla faccia della terra. Insieme dobbiamo mostrare, attraverso il reciproco rispetto e solidarietà, che ci consideriamo membri di una sola famiglia». Da qui può scaturire allora un impegno sempre maggiore «per promuovere un rispetto genuino per la dignità della persona umana e i diritti umani fondamentali». «Solo partendo – ha detto Benedetto XVI – dal riconoscimento della centralità della persona e della dignità di ogni essere umano, rispettando e difendendo la vita che è dono di Dio, sacra sia per i cristiani che per i musulmani, possiamo trovare un terreno comune per costruire un mondo più fraterno, un mondo in cui i conflitti e le differenze sono risolte nella pace e in cui viene neutralizzato il devastante potere delle ideologie».
© Copyright Avvenire, 7 novembre 2008
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