venerdì 21 novembre 2008

Il nuovo Messale delle domeniche e delle feste (Inos Biffi per l'Osservatore Romano)


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Il nuovo Messale delle domeniche e delle feste

Il libro che guida la preghiera della Chiesa e risveglia la memoria della Pasqua

Venerdì 21 vengono presentati a Roma tre volumi editi da Città Nuova, Libreria Editrice Vaticana e Jaca Book: Messale delle domeniche e delle feste; L'anno di Dio. Una corona di grazia. Commento al nuovo Lezionario festivo anni A, B, C; Preghiere del cristiano.
Pubblichiamo la presentazione ai primi due volumi, a firma rispettivamente di Inos Biffi - autore del secondo e curatore degli altri due - e di Stefano Maria Malaspina.


di Inos Biffi

Tra tutti i libri liturgici il Messale, col Lezionario, tiene il primo posto. Esso ispira e guida la preghiera della Chiesa che celebra l'Eucaristia. Le sue formule, antiche e nuove - a cominciare da quella più veneranda che è il canone, o anafora - risvegliano nella Chiesa la memoria della Pasqua. Anzi, tramite la grande prece e in virtù dello Spirito Santo, nell'Eucaristia diviene presente il Corpo e il Sangue del Signore, e la comunità cristiana - la plebs sancta - entra in comunione col sacrificio della croce.
Il Messale appare così un libro vivo. La Chiesa lo apre per ricordare con fedeltà sponsale l'opera della salvezza; per rendere grazie; per implorare Dio con umiltà e confidenza; per dire la propria speranza; per onorare i santi, che via via incontra come amici e intercessori lungo l'anno sacro; per aprire alla redenzione di Cristo le varie circostanze; per offrire l'ultima purificazione ai fratelli di fede già morti nel Signore.
In tale maniera, giorno dopo giorno, santifichiamo il tempo, che è tutto ormai sotto la forza e la grazia dell'immolazione del Calvario e che tutto va inserito nella carità di Gesù - che si è consegnato per noi - in attesa della sua venuta (cfr. 1 Corinzi 11, 26).
A questo ci aiuta il Messale con le sue orazioni, i suoi canti, i suoi riti, illuminati dalla Parola di Dio: gli accenti passano sulle labbra, i segni si svolgono all'esterno, i gesti appartengono al mondo sensibile, ma dal cuore e dalla fede interiore della Chiesa tutto viene ravvivato. E così il Messale - o Liber Sacramentorum - diventa il libro della pietà cristiana, insieme con quello della Liturgia delle Ore, che prosegue per fissi appuntamenti durante la giornata il rendimento di grazie dell'Eucaristia. Il Messale rappresenta la grande espressione della preghiera oggettiva della Chiesa, sulla quale è misurata l'orazione personale, e a cui sono attinti l'ispirazione e l'alimento per i pii esercizi e le varie forme dell'orazione popolare. Nel Messale sono dettati i temi e suscitati i sentimenti in sintonia con gli avvenimenti o misteri della salvezza, perché vengano interiorizzati e applicati al proprio spirito e alla propria storia.
Senza dubbio, perché il Messale sia efficace fonte della pietà e ausilio attivo dell'azione eucaristica, non basta che sia ascoltato nei rapidi tratti della celebrazione. Occorre farne materia di studio attento e di illuminata meditazione, dal momento che i suoi testi sono per lo più pregnanti, sintetici, ricchi di dottrina.
Esso sarà per eccellenza il libro del pastore d'anime, chiamato a presiedere la liturgia rappresentando Gesù Cristo - "in persona Christi" -: "La familiarità con i libri liturgici nutrirà l'anima del pastore posto in mezzo al popolo di Dio in virtù dell'ordine sacro, e lo aiuterà giorno per giorno a plasmare una comunità ecclesiale che si edifica nella celebrazione dei santi misteri e testimonia nella carità la speranza che splende sul volto di Cristo Signore" (Conferenza Episcopale Italiana). Tutti i fedeli, però - chiamati a prendere parte all'azione liturgica "consapevolmente, piamente e attivamente" per mezzo dei riti e delle preghiere (Sacrosanctum Concilium 48), sono interessati all'intelligenza e alla pratica del Messale. Essi lo assumeranno e lo useranno secondo la varietà dei ministeri e dei ruoli nella liturgia, che, nella coralità armonizzata dei servizi, "offre un'immagine della Chiesa che, in tutte le sue esperienze, si costruisce con l'apporto di tutti" (Conferenza episcopale italiana).
Questo dice subito la finalità dell'edizione di un "messalino". Essa non mira a indurre i membri dell'assemblea eucaristica a compiere indifferentemente tutte le parti, di lettura e di azione, contemplate dal Messale e dal Lezionario: non invita a operare nella liturgia in senso indistinto e sovrapposto, così che risultino confusi i ruoli differenziati che compaginano il rito; come sarebbe deplorevole se i singoli partecipanti col "messalino" si isolassero in una usufruizione solitaria del libro liturgico. Il suo uso invece è felice e costruttivo quando favorisce un'operosa unanimità, una concordia che proviene dallo svolgimento della propria funzione.
L'identità di intenzione e di risultanza della celebrazione eucaristica si ottiene col rifrangersi articolato nelle varie e proprie funzioni degli "attori".
Però l'uso del "messalino" non si limiterà allo spazio delle celebrazioni. Esso offre lo stimolo e la possibilità di preparare la celebrazione stessa, e di mettersi prima in consonanza con i suoi testi di lettura e di preghiera, con le differenze, le singolarità e i caratteri conformi al tempo liturgico e all'indole particolare che la messa ne riceve. Allo stesso modo, il "messalino" suggerirà di rivisitare quella preghiera, e di rimeditare sulla Parola e sui gesti già compiuti in più tranquilla e agiata riassunzione. Sono testi e segni da riscontrare e da far entrare a poco a poco nella memoria e nella sensibilità.
Un altro rilievo. Se la liturgia deve preoccuparsi di avere un linguaggio perspicuo per chiarezza e accessibilità, e diciamo anche attualità, tuttavia non ogni linguaggio chiaro è per ciò stesso liturgicamente valido. Occorre anzitutto che il linguaggio liturgico esprima l'ortodossia della fede, che manifesti l'accoglienza e il consenso della Chiesa al mistero della salvezza. Non è priva di ingenuità e di ambiguità una certa preoccupazione per un linguaggio adeguato alla cultura dell'uomo d'oggi. Potrebbe avvenire che un linguaggio sia sì trasparente, ma non proclami compiutamente il Credo; che ridondi per esempio nell'elogio della promozione umana, ma sottaccia il Vangelo e diluisca la grazia facendola coincidere con traguardi ricondotti alla dimensione dell'uomo.
La condizione prima per vivere efficacemente la liturgia, per dare ispirazione alle formule e animare i segni determinati dal Messale, è la fede; è il senso del mistero. Dalla fede e dall'affinità al mistero nasce ed è vivificata l'espressione liturgica. E proprio questo è ciò che più di tutto è urgente oggi. Diversamente, anche l'Eucaristia perde la sua identità: non è il sacrificio della croce che si fa disponibile; non è il convito pasquale dove Cristo è colui che presiede e ci fa partecipi del suo Corpo dato e del suo Sangue sparso. La nostra fraternità è generata dalla sua carità. L'Eucaristia fa la Chiesa, perché è Gesù Cristo con il suo Spirito che la rende possibile e la edifica.
E un altro equivoco va superato, se non si vuole che le assemblee eucaristiche siano sterili: quello di ritenere che debbano diventare più secolarizzate, meno sacrali, meno tese a evidenziare l'assoluto di Dio per fare spazio maggiore ai bisogni dell'uomo.
La liturgia proclama il primato di Dio; è adorazione e rendimento di grazie. È servizio di Dio, come lo fu il sacrificio della croce, dove Gesù ha portato a compimento la volontà del Padre. La carità fraterna ne consegue in proporzione alla verità dell'adorazione, poiché l'amore è una grazia che viene dalla croce, cioè viene da Dio. Nell'Eucaristia impariamo a vedere l'uomo, ma a partire da Cristo e dal Padre, dal quale nasce la nostra fraternità di figli di Dio. Né sarà tanto la ripetizione del tema della fraternità, o la ricorrenza del servizio ai poveri nelle orazioni a dare consistenza vera alla carità fraterna. Saremmo sempre e solo nello spazio delle "voci" e delle intenzioni. La vita incomincia o meglio si conferma dopo: nella carità concreta, dove dimostriamo che l'Eucaristia è riuscita, e dove il linguaggio si presenta "reale", facilmente comprensibile a tutti. A questa coerenza invita da sempre la liturgia, per esempio quando chiediamo "di testimoniare nella vita il mistero che celebriamo nella fede". Ma ce ne avvertiva espressamente anche il concilio Vaticano ii: "La rinnovazione dell'alleanza del Signore con gli uomini nell'Eucaristia conduce e accende i fedeli nella pressante carità di Cristo" (Sacrosanctum Concilium 10).

(©L'Osservatore Romano - 21 novembre 2008)

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