venerdì 21 novembre 2008

La Biblioteca Apostolica e l'Archivio Segreto all'inizio del pontificato di Giovanni XXIII (Osservatore Romano)


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La Biblioteca Apostolica e l'Archivio Segreto all'inizio del pontificato di Giovanni XXIII

Le arche vaticane del sapere sotto la guida dei fratelli Mercati

Il 20 e il 21 novembre si svolge a Bergamo, presso la Sala dei Giuristi, il convegno "Angelo Roncalli - Giovanni XXIII. "L'ora che il mondo sta attraversando"". Pubblichiamo un estratto di una delle relazioni, svolta dal direttore del Dipartimento dei manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana.

di Paolo Vian

Per quasi cinquant'anni tutti gli studiosi che sono entrati in Biblioteca Vaticana attraverso la porta inaugurata da Pio xi nel 1929 si sono trovati di fronte la statua di una figura maschile barbuta seduta su uno scranno. Sul parallelepipedo marmoreo sottostante un'iscrizione latina, datata al 17 luglio 1959, ricorda che fu Giovanni XXIII a volere la collocazione in aditu Bibliothecae Vaticanae della statua che, prima delle ricerche su fronti diversi di Pierre Nautin e di Margherita Guarducci, era pacificamente ritenuta quella dell'ecclesiasticus vir doctissimus Ippolito, teologo orientale attivo a Roma nella prima metà del Terzo secolo, entrato in conflitto con i vescovi Zefirino e Callisto, ma poi alla fine riconciliatosi, anche attraverso la dura prova della comune deportazione in Sardegna, col Papa Ponziano e con lui morto martire; certo, il "primo antipapa" della storia, ma solo per motivi disciplinari, perché l'allievo di Ireneo di Lione, ascoltato persino da Origene, si era schierato contro le eresie adozioniste e monarchiane che allora affliggevano la Chiesa di Roma. La collocazione della statua, che per comodità continueremo a definire di Ippolito, era un gesto simbolico di recupero e valorizzazione di una reliquia storica protocristiana additata a esempio e patrono delle scienze ecclesiastiche, come una settantina d'anni prima Leone XIII aveva fatto per la colossale statua di Tommaso d'Aquino posta all'ingresso della nuova Sala Leonina aperta con liberalità - la grande novità del suo pontificato - alla consultazione degli studiosi.
Se Papa Pecci si era rivolto alla Scolastica, Papa Roncalli guardava dunque ancora più lontano, all'era precostantiniana e, in qualche modo, anche a quell'umanesimo cristiano cinquecentesco e tridentino che gli era caro. La statua di Ippolito, scoperta dal sottosuolo romano sulla via Tiburtina nel 1551, era stata infatti subito acquistata da Marcello Cervini, il primo cardinale Bibliotecario, che l'aveva donata alla Vaticana ove era rimasta sino al XIX secolo, quando era stata trasferita al Museo Lateranense di recente costituzione. Il nuovo trasferimento in Vaticana della statua, anche nell'ambito del ripensamento giovanneo del Laterano, rappresentava così un'esemplare vicenda di ripristino dell'antico: di quella valorizzazione della più sana tradizione che il Papa andava contemporaneamente promuovendo su altri fronti nel suo primo anno di pontificato e che, proprio nell'annuncio dell'indizione del Concilio, avvenuto a San Paolo fuori le Mura il 25 gennaio 1959, aveva avuto il suo momento saliente.
Il 1959 era stato un anno importante anche per la Biblioteca Apostolica e per l'Archivio Segreto, che nel gergo curiale erano ancora annoverate nell'ambito delle "amministrazioni palatine". Il 22 febbraio, nella festa della Cattedra di San Pietro, il Papa aveva ricevuto il personale della Biblioteca e meno di quattro mesi dopo, nel pomeriggio del 19 giugno, si era recato in Biblioteca, dedicandole una visita di due ore che le cronache definiscono "minuziosa" perché aveva riguardato tutti gli uffici, dall'Economato all'Ufficio Accessioni, dal catalogo alle sale di consultazione, dai depositi ai laboratori di restauro e fotografico. Nella sala di consultazione degli stampati il Papa aveva cercato un libro nello schedario a dizionario, allora orgoglio della biblioteconomia vaticana fecondata ai tempi di Pio XI dalla library science nordamericana - una fotografia ritrae il Papa intento nell'esame delle schede - e, dopo averlo individuato, Giovanni XXIII se lo era fatto portare "sperimentando così direttamente, come fanno gli studiosi durante le loro ricerche, il funzionamento del catalogo stesso e della distribuzione". Entrato dal cortile del Belvedere e uscito in quello di San Damaso, il Papa aveva visitato anche il Medagliere e il Gabinetto delle Stampe. Per garantire quegli equilibri che in Curia non devono mai essere turbati, meno di un mese dopo, nel pomeriggio del 13 luglio, quindi solo quattro giorni prima della datazione del trasferimento della statua di Ippolito, il Papa aveva poi visitato l'Archivio; e anche qui aveva percorso le sale più antiche e i grandi depositi moderni con scaffalature metalliche, soffermandosi nelle sale adiacenti allo studio del Prefetto su una piccola mostra con documenti relativi a san Carlo Borromeo, ai concili di Trento e Vaticano i, alla città e ai vescovi di Bergamo e poi, in altri locali, su un'esposizione dei tesori più celebri dell'Archivio, dal Liber diurnus al registro di Gregorio VII.
Ancora non pago del tempo dedicato alle due antiche istituzioni, Giovanni XXIII tornò un anno dopo in Biblioteca, nel pomeriggio del 3 luglio 1960. Si trattò questa volta di una visita privata non registrata dalle cronache, guidata dal prefetto benedettino catalano Anselm Albareda e in compagnia di Loris Capovilla; riguardò probabilmente solo il Museo Sacro, evidentemente trascurato, per motivi topografici, nella visita del giugno 1959, colmo di memorie e di reliquie provenienti dalle catacombe romane che forse ricordarono al Papa l'amico Giulio Belvederi da poco scomparso. Dopo il commiato al mattino al cardinale Pietro Fumasoni Biondi morente, fu quella del pomeriggio occasione di una "grande gioia per me - annotò il Papa nelle sue agende - che non mi stancai per nulla, e rivedevo quelle camere da 60 anni".
Giovanni XXIII tornò solo un'altra volta, nel breve periodo che gli rimaneva da vivere, in Biblioteca, per l'inaugurazione il 22 febbraio 1962 di alcuni locali; altri impegni e preoccupazioni, in primo luogo il Vaticano ii, dovettero completamente assorbirlo nei tre anni residui di pontificato. Ma le visite degli anni 1959-1960, soprattutto quella del luglio 1960 che sembrava rinverdire gli anni in cui Gregorio XVI scendeva quotidianamente a passeggiare nei corridoi della Biblioteca col prefetto Gabriele Laureani, mostrano un interesse particolare per le due amministrazioni palatine, peraltro prevedibile e scontato in un uomo che dai primi decenni del secolo aveva insegnato, sotto l'egida di Cesare Baronio commemorato nel 1907, la storia ecclesiastica, e che si era sempre dilettato di studi storici, soprattutto relativi alla nativa diocesi di Bergamo nel Cinquecento.
Scopo di queste note è comprendere se e in che modo quella che è stata definita la "bibliofilia" di Giovanni XXIII, il suo innegabile interesse per la ricerca storica, per i suoi luoghi e i suoi strumenti, si sia tradotto in un piano organico di rinnovamento e di valorizzazione della Biblioteca e dell'Archivio, se e in che modo essi siano entrati in quella che si può definire la politica culturale del pontificato, segnata da altre espressioni come la costituzione Veterum sapientia (22 febbraio 1962) sull'uso del latino.
Solo quattordici mesi prima dell'inizio del pontificato era morto, il 22 agosto 1957, Giovanni Mercati, la veneranda figura del cardinale Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa. Due anni prima, il 3 ottobre 1955, era scomparso anche il fratello minore, Angelo, prefetto, dal 1925, dell'Archivio Vaticano. Con la morte dei due Mercati - superstite rimaneva il fratello bizantinista Silvio Giuseppe, che a sua volta sarebbe scomparso nel 1963 - si chiudeva davvero, e non retoricamente, un'epoca. Furono loro, nella prima metà del Novecento, a dare il tono alla Biblioteca e all'Archivio, al punto che se, per la prima, è lecito parlare di epoche dei Ranaldi, il primo Seicento, e degli Assemani, la metà del Settecento, è altrettanto possibile e opportuno parlare di un'"epoca dei Mercati".
Nella Roma ecclesiastica Giovanni fu, insieme a Louis Duchesne, l'erede migliore e più fedele di Giovanni Battista De Rossi. E furono i Mercati, almeno a partire dalla nomina di Giovanni nella Commissione storico-liturgica della Congregazione dei Riti (1902), a tenere alto il vessillo della ricerca storico-critica in Vaticano e da lì, quasi simbolicamente, nell'orbe cattolico. Sia Giovanni che Angelo avevano vissuto ed erano anzi cresciuti nell'esaltante temperie, così ben descritta nelle memorie di Salvatore Minocchi, che per gli studi ecclesiastici avevano rappresentato le decisioni e gli interventi di Leone xiii, in particolare, ma non solo, la Providentissimus Deus (1893) sugli studi biblici. Molti dei loro iniziali compagni di strada furono coloro che sarebbero poi stati definiti "modernisti"; e fra i corrispondenti dei due giovani fratelli vi fu Alfred Loisy, allora ancora docente all'Institut Catholique di Parigi.
Il cammino dei Mercati fu invece sempre e rigorosamente nel solco dell'istituzione e dell'ortodossia, ma al tempo stesso fedele a quelle esigenze della ricerca storico-critica che avevano scoperto nella Roma degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo. Ancora non valutabile, ma certo profondo e duraturo, fu, per esempio, il ruolo di Giovanni, cardinale dal 1936, in numerose congregazioni e commissioni della Santa Sede, come decisivo fu il congiunto sforzo dei fratelli di servire gli studi durante la duplice, per alcuni anni contemporanea prefettura in Biblioteca (1919-1936) e in Archivio (1925-1955): Giovanni più con l'approfondimento delle ricerche in svariati campi, dalle scienze bibliche alla storia dell'umanesimo, e con un approccio eminentemente filologico; Angelo con lavori soprattutto di storia della Chiesa, ma con più spiccato senso di responsabilità verso l'educazione del clero italiano, da avviare, anche attraverso numerose traduzioni, al sano esercizio della critica storica in un'ottica fondamentalmente sempre apologetica. Certo è che i fratelli Mercati furono sino alla metà degli anni Cinquanta i veri protagonisti della politica culturale della Santa Sede nel campo delle ricerche storiche. Furono essi i promotori e gli attori principali di iniziative come la bibliografia internazionale dell'Archivio Vaticano - dagli anni Trenta agli anni Cinquanta - il censimento degli archivi e delle biblioteche ecclesiastiche dal 1942, il salvataggio dei beni culturali ecclesiastici fra il 1943 e il 1945; e ancora, nel dopoguerra, furono i fratelli Mercati a essere se non i promotori - l'età e una nativa diffidenza per questo genere di imprese lo avrebbero impedito - almeno gli augusti mallevadori della nascita della "Rivista di storia della Chiesa in Italia" nel 1947, della costituzione del Pontificio Comitato di Scienze Storiche nel 1955 e, per mezzo di essa, della partecipazione della Santa Sede al Comité International de Sciences Historiques.
Insomma attraverso i fratelli Mercati passa, nella prima metà del Novecento, buona parte del rapporto, dal modernismo - ma anche prima - in poi mai scevro di problemi, fra Santa Sede e scienze storiche. La loro scomparsa, alla vigilia del pontificato roncalliano, fu davvero in questo ambito la perdita di una guida e, per il complesso mondo della Biblioteca e dell'Archivio, di una sorta di chiave, di via di accesso, di mediazione e di rappresentazione simbolica. Come riconosceva il Sostituto Montini che, rievocando i suoi frequenti incontri con Giovanni, affermava che non si sarebbe mai stancato di ascoltarlo. Definendo così un rapporto esemplarmente felice fra l'apparato curiale e le due amministrazioni palatine.
Ma anche Roncalli, dall'esterno delle mura leonine, conosceva e apprezzava i Mercati. Il 27 maggio 1936 il delegato apostolico in Turchia e Grecia era alla ricerca ad Atene, presso l'antiquario Kritkis, di un'iconostasi promessa a Silvio Giuseppe e destinata al Museo Sacro della Biblioteca in occasione del congresso internazionale dei bizantinisti; il 15 settembre, ancora a motivo dell'iconostasi, incontrò Fritz Volbach, Emanuele Musso "e lungo le scale quanto mai dimesso il cardinale Mercati". Poco dopo, il 26 settembre 1936 Roncalli aveva recato in dono ad Angelo Mercati - curiosamente per la Biblioteca Vaticana - il primo volume, fresco di stampa, de Gli atti della visita di san Carlo Borromeo a Bergamo. Dieci anni dopo, il 28 settembre 1946, il nunzio a Parigi visitò in Archivio Angelo, che gli mostrò il dossier cinquecentesco del nunzio in Francia Girolamo Ragazzoni. Il 28 luglio 1948 Roncalli partecipò alla commemorazione parigina dell'assunzionista Louis Petit e vi incontrò nuovamente Silvio Giuseppe, casualmente rivisto poco dopo a Roma, sul ponte Sant'Angelo, il 12 settembre. Cinque anni dopo, il 3 novembre 1953, il patriarca di Venezia andò a trovare in Biblioteca il cardinale Mercati che lo accolse "benissimo" e col quale si intrattenne a parlare "del cardinale Mai e di altre cose e questioni"; tornò da lui l'8 ottobre 1956 per una visita "memoranda". Oggetto specifico era la trasmissione di una preziosa edizione di un centinaio di lettere di Angelo Mai curata nel 1883 da Giuseppe Cozza Luzi e annotata dal Mercati che con la consueta generosità la cedette a Gianni Gervasoni, amico bergamasco di Roncalli, per un secondo volume - che poi non avrebbe visto la luce - dell'epistolario di Mai. Ma l'ultimo incontro fu occasione di una "conversazione molto amabile, istruttiva ed edificante" che rimase talmente impressa in Roncalli che la rievocò il 6 novembre 1957 inaugurando il primo convegno degli archivisti ecclesiastici italiani. Un ritratto per certi versi straordinario di Mercati alla vigilia della morte: "Lo trovai fra le cataste dei suoi libri in biblioteca. Ragionammo del mio illustre antico concittadino, il Cardinale Angelo Mai, il mago di Schilpario, famoso scopritore di palinsesti, a proposito di un volumetto di cento lettere di lui, raccolte da monsignor Cozzaluzi, e dal Cardinale Mercati annotate con molta cura e affidate alla mia custodia perché le passassi al prof. Gianni Gervasoni, mio amico, che preparava col contributo di quelle note il secondo volume del prezioso e completo epistolario dello stesso Mai. C'era nella voce affiochita e nell'occhio ormai opaco - diceva lui - alla distinzione degli oggetti materiali, del Cardinale, il richiamo ripetuto ai suoi novant'anni, e al suo caro fratello Mons. Angelo, che io avevo pure conosciuto, nonché un senso di nostalgia verso lassù, la patria, il premium mortis sacrae, inizio della gloria perenne che l'attendeva. Ecclesiastico insigne ed emerito, degno di figurare fra gli illustratori più distinti della dottrina e della vita della Chiesa, fulgido esempio di virtù sacerdotali".
Padre Albareda, incontrato la sera del 7 novembre in Biblioteca, lo ragguagliò della "tranquilla morte" del cardinale: "Gli venne incontro senza che per nulla se ne accorgesse. Si era confessato dal p. Albareda il giorno prima. Un pronipote ordinato sacerdote da pochi giorni lo assisteva: la parola gli si spense in bocca e il sangue si arrestò nel cuore. Anima piissima e santa. Aveva 91 anni".

(©L'Osservatore Romano - 21 novembre 2008)

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