martedì 11 novembre 2008

Il ricordo della "Notte dei cristalli": dal Papa l’invito a un diffuso impegno religioso nella società (Morpurgo)


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Su segnalazione della nostra Alessia leggiamo:

Il ricordo della "Notte dei cristalli": dal Papa l’invito a un diffuso impegno religioso nella società

Claudio Morpurgo

Dalla “Notte dei cristalli”, avvio della persecuzione nazista contro il popolo ebraico, sono passati settanta anni.

Con parole vibranti, fortissime, Benedetto XVI, nel corso dell’Angelus, ha ricordato una delle pagine più buie dell’umanità.
Sei milioni di ebrei sono stati massacrati, una cultura ed una tradizione costitutiva dell’identità occidentale (ed europea in primis) sono state pesantemente poste in pericolo, presenze sociali consolidatesi in secoli di contributi in grado di arricchire l’intera collettività sono state annientate, in pochi, pochissimi anni.
Da allora, nulla è uguale. L’umanità porta su si sé un marchio indelebile, come peraltro formidabile è stata la successiva capacità del popolo ebraico di ritrovare forza, coesione, anche attraverso l’esperienza straordinaria dello Stato di Israele.

Il Pontefice tedesco, che all’epoca della “Notte dei cristalli” aveva undici anni, non si è limitato, tuttavia, a fare memoria del passato, ma ha voluto lanciare un preciso messaggio per il futuro: bisogna impegnarsi, a tutti i livelli, contro ogni forma di antisemitismo e di discriminazione, educando soprattutto le giovani generazioni al rispetto e all’accoglienza.

Va detto, con chiarezza: Benedetto XVI è uscito, come spesso gli avviene, da ogni formalità, da ogni forma di ricordo istituzionalizzato, burocratizzato, ritualizzato.

Il mondo nel quale viviamo ha bisogno di appelli come questo: anche oggi, di fronte ad un persistente pericolo da “choc di multiculturalità”, ad un relativismo valoriale imperante, ad un utilizzo distorto della religiosità spesso strumentalizzata quale fattore di divisione e non di pace, il pericolo del razzismo, dell’antisemitismo e dell’esclusivismo (culturale, religioso, sociale) è quanto mai preoccupante.
E non è un caso che Benedetto XVI, dopo aver menzionato la barbarie della Shoah con le sue nefaste conseguenze, abbia posto il suo accento sulla incredibilmente miscononosciuta tragedia che, inquesti giorni, sta sconvolgendo la regione del Nord Kivu, in Congo. Anche in tale caso, distruzioni, saccheggi e violenze di ogni tipo hanno costretto altre decine di migliaia di persone ad abbandonare quel poco che avevano per sopravvivere. Senza forse che la maggioranza di noi ne sia minimamente al corrente, ora, ci sono bambini che muoiono, famiglie rovinate, genocidi che si realizzano con mostruose modalità. La storia si ripete, e tutto appare diverso, privo di valore e di un domani pacifico: la forza autodistruttiva dell’uomo non si è placata e si ripresenta di continuo, magari in forme nuove, ma sempre devastanti e non risarcibili.
Il ricordo del passato deve guidarci per il futuro, questo è, invece, il fortissimo monito del Pontefice.
Un messaggio che, prima di tutto, impegna gli uomini di fede. Senza timidezze, senza nascondimenti, bisogna, in altre parole, essere consapevoli che la religiosità deve sempre più diventare soggetto protagonista di civiltà.
Questo vale sotto ogni profilo, allorché si verifichino tragedie, quando sia necessario prevenirle, nei casi in cui l’umanità richieda prese di posizione forti rispetto a temi essenziali per tutti.
E’ finita l’epoca in cui le identità forti, le appartenenze potevano permettersi di vivere rinchiuse nel loro recinto, nei loro ghetti. Il laicismo che permea, subdolamente e con sempre maggiore forza devastatrice, la nostra struttura sociale e culturale chiama gli uomini di fede ad un impegno comune.
La base di questo lavoro condiviso è l’affermazione della centralità della persona. Tragedie come la Shoà, come quella del Nord Kivu, dimostrano proprio questo: quando l’uomo perde la sua centralità, quando l’umanità si lascia ammaliare dalla furia distruggente ed alienante delle ideologie e del potere, tutto può accadere.
La missione di ogni uomo di fede è, quindi, quella di portare nel mondo la concezione della sacralità della singola ed irripetibile vita umana. Ogni uomo è un valore in sé. E l’educazione, cioè la libera possibilità di formarsi nel rispetto dei propri valori e delle proprie scelte culturali (e religiose), costituisce la grammatica fondante di una società inclusiva, accogliente e pacifica.

© Copyright Il Sussidiario, 11 novembre 2008

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