martedì 11 novembre 2008

Suore rapite, Giovanni Maria Vian: «Prese di mira: gli integralisti temono le donne» (Accattoli)


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LE SUORE RAPITE, PARLA Il direttore dell’«Osservatore Romano» Vian

«Prese di mira: gli integralisti temono le donne»

«Tutti i missionari e i volontari sono a rischio»

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO

«Ancora una volta sono delle donne ad andarci di mezzo e a pagare il prezzo più alto.
In quella stessa regione tra Kenya e Somalia solo noi italiani abbiamo già avuto due missionarie martiri: Graziella Fumagalli nel 1995, Annalena Tonelli nel 2003. A esse va poi unita la memoria di Leonella Sgorbati uccisa nel 2006 a Mogadiscio.

Speriamo che non ci sia di mezzo la cristianofobia e che vengano rilasciate al più presto»: è il primo commento di Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano.

Direttore, che notizie ha potuto dare ai suoi lettori?

«Una notizia di sola cronaca, in seconda pagina, perché non disponevamo di nostre informazioni. Né le consorelle delle rapite né il nunzio a Nairobi hanno saputo dire qualcosa sulla matrice del gesto ed è bene mantenere la massima prudenza».

Lei accennava alla frequenza con cui le vittime di aggressioni al mondo missionario sono donne...

«Sono colpito da questo fatto. Tutti i missionari e i volontari sono a rischio, ma si direbbe che le donne siano le più esposte e le più inermi. Non solo perché è più facile rapinare, sequestrare o uccidere delle donne piuttosto che degli uomini, ma perché la figura femminile in contesti fondamentalisti è vista come provocatrice e portatrice di sovvertimento sociale. Anche perché sono vicine alle donne del posto e viene temuto il contagio che ne può venire. La Tonelli ha parlato più volte della cattiva accoglienza di cui era fatta oggetto negli ambienti in cui operava».

Lei qualificava come «martiri » le missionarie uccise in Kenya e in Somalia negli ultimi tempi...

«Certo che sono martiri e nel senso pieno della parola che vuol dire "testimoni" con la vita del Vangelo che sono andate a portare. C’è da tener conto della consapevolezza del rischio della vita con cui scelgono di partire e di restare in una certa regione anche quando le ambasciate o le agenzie internazionali segnalano il massimo pericolo. Ci sono momenti in cui si invitano gli stranieri a lasciare il campo, ma i missionari restano sul posto e restano solo per fare del bene».

Chissà che non abbiamo a che fare con un nuovo caso di cristianofobia...

«C’è da augurarsi che no, ma certo non si possono chiudere gli occhi sul fatto che l’odio contro la presenza cristiana viene crescendo in varie regioni del mondo. Il responsabile vaticano dei rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Mamberti, l’ha più volte denunciato. Come il mondo ha imparato a combattere l’antisemitismo e come si preoccupa di evitare atteggiamenti che incrementino l’islamofobia, così bisogna imparare a fare fronte alla crescita della cristianofobia. C’è un grande ritardo su questo fronte ».

© Copyright Corriere della sera, 11 novembre 2008 consultabile online anche qui.

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