venerdì 24 aprile 2009
Quattro anni fa Benedetto XVI iniziava il suo Ministero Petrino (Radio Vaticana)
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Quattro anni fa Benedetto XVI iniziava il suo Ministero Petrino
Quattro anni fa, il 24 aprile 2005, Benedetto XVI presiedeva in Piazza San Pietro la Santa Messa per l’inizio del Ministero Petrino. Ripercorriamo in questo servizio di Sergio Centofanti alcuni passi dell’omelia di quel giorno:
Le prime parole del Papa ci ricordano che la fede sconfigge la solitudine. “Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella morte”: con questa convinzione Benedetto XVI inizia il suo Pontificato:
“Io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano”.
La fede non è un’ideologia: per questo “la Chiesa è viva” ancora oggi dopo 2000 anni. E’ viva – afferma il Papa “perché Cristo è vivo” perché Gesù “è veramente risorto”. Verità e umiltà sono due dimensioni chiave di tutto il Pontificato. La fede è vera solo se c’è l’umiltà. Benedetto XVI, come tanti, può avere molte idee sul suo programma. Ma altro è ciò che importa:
“Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”.
Altra parola del Pontificato è prossimità. Il Vicario di Cristo deve seguire il Maestro alla ricerca della pecorella smarrita:
“La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto”.
Una prossimità minacciata dall’avidità e dall’ipocrisia del potere che promette la liberazione: “Non è il potere che redime, ma l’amore!” – afferma il Papa - “Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”.
“Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”.
Benedetto XVI sa che Gesù ha detto a Pietro: “Pasci le mie pecore”:
“Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento. Cari amici … pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.
L’uomo crede spesso di essere libero. Il Papa ricorda invece che “viviamo alienati” nel buio della sofferenza e della morte. Ecco allora il compito dei cristiani:
“Noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui”.
“Solo in quest’amicizia – afferma il Papa - noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera”. Le ultime parole dell’omelia sono un appello ai giovani:
“Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen”.
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