giovedì 14 maggio 2009

Andrea Riccardi: Il Papa teologo e un dialogo non scontato (Corriere della sera)


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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

L’intervento

Il Papa teologo e un dialogo non scontato

Andrea Riccardi

fondatore della Comunità di Sant’Egidio

Caro direttore, il Papa è in Israele.
L’opinione pubblica del Paese scanda­glia le sue parole con la consueta vivacità. Per Israele, il Pa­pa e la Chiesa non sono quantité négligeable. Certo Benedet­to XVI non è venuto solo per gli ebrei, ma per i Luoghi Santi, i cristiani e i palestinesi. La visita a Israele non è però contor­no e cortesia. Paolo VI andò in Terra Santa nel 1964 solo per i Luoghi Santi. È stata ricordata la sua riservatezza verso Isra­ele. Non c’erano rapporti diplomatici tra Vaticano e Israele, stabiliti solo nel 1993. Spingevano al riserbo anche il mon­do arabo e i vescovi arabo-cristiani, ostili alla cancellazione (voluta da Montini) dell’accusa di deicidio agli ebrei. Un in­tellettuale ebreo, André Chouraqui, si lamentò con Mari­tain: «La voce del nostro popolo non è sentita a Roma dove il tumulto di coloro che non amano gli ebrei è spesso così grande». Dopo quarant’anni Chouraqui, morto nel 2007, non lo direbbe più. In questi giorni ho la sensazione che, da Gerusalemme, Benedetto XVI manifesti un grande disegno di dialogo. Forse non tutti se ne sono accorti. Ci sono alcune nubi. Si ricorderà la polemica sul vescovo negazionista Wil­liamson. Qualche nube è di questi giorni: alcuni rimprovera­no al Papa di non aver toccato la sensibilità ebraica sulla Shoah.
Soprattutto è invalsa ormai l’abitudine (in parte del­l’opinione pubblica) di guardare sempre a quel che manca al messaggio di Benedetto XVI, per paragonarlo a suo svan­taggio con il predecessore.
È invece da considerare che Be­nedetto XVI ha fortemente voluto il viaggio in Terra Santa, pesante per i suoi 82 anni. Avrebbe avuto motivi per restare a Roma. Inoltre ha già annunciato la visita alla sinagoga di Roma. Il Papa tiene agli appuntamenti con l’ebraismo.
Benedetto XVI viene a visitare Israele e gli ebrei. Lo fa do­po Giovanni Paolo II che, dal 1986, alla sinagoga di Roma, ha segnato una svolta, dichiarando la fraternità intrinseca tra fede cristiana e ebraismo. Nel 2000 dopo il suo viaggio in Terra Santa, parlando dell’ac­coglienza degli ebrei, mi disse: «In quei giorni è successo qual­cosa! ». Benedetto XVI si è mos­so su questi passi. Forse molti non sanno quanto il teologo Ra­tzinger abbia approfondito i rapporti ebraico-cristiani. Non è senza conseguenza nel cam­mino di un Papa teologo. La meditazione a Yad Vashem sui nomi delle vittime s’iscrive nel­la riflessione di un Papa che non fa discorsetti d’occasione.
Benedetto XVI dice quel che crede e sente, radicandolo in una visione teologica. Così dif­ferisce da molti leader del nostro tempo che dicono quel che la gente si aspetta e poi lo dimenticano rapidamente. Chi era a Yad Vashem, come chi scrive, ha percepito la com­mozione del Papa. A un certo punto Benedetto XVI ha parla­to dei bambini assassinati nella Shoah mettendosi dalla par­te dei loro genitori: «Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati a un destino così lacrimevole?». Ieri, al rabbinato d’Israele, ha insistito su un’amicizia fon­data sulla fiducia. In una terra di diffidenze cementate tra mondi religiosi, ha insistito sulla fiducia: la «sicurezza», te­ma caro a Israele, deriva dalla fiducia, creatrice di calma e confidenza — ha ricordato al presidente Peres.
Gli ebrei hanno un posto speciale nel dialogo fin dal Con­cilio. Ma il Papa ha voluto parlare anche con l’islam. Mi sem­bra che, a Gerusalemme, abbia tracciato per il futuro un di­segno ambizioso di dialogo religioso e culturale tra le reli­gioni. Sarebbe un errore sottovalutare questa proposta, per­ché non espressa da gesti spettacolari. Le parole del Papa vanno lette e non solo ascoltate alla ricerca di una frase a effetto. Benedetto XVI propone una paziente tessitura tra le religioni per «proclamare con chiarezza — dice — ciò che noi abbiamo in comune». Il pluralismo religioso gli sembra inquietare la monocultura piatta della globalizzazione. La vi­sione del Papa è, con il dialogo, «creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio».
In un mondo globalizzato e stordito, che cerca rassicurazione nel solito politically correct (per non cambia­re niente), non è una proposta originale, fatta con le medita­te parole e i passi di un Papa, carico di anni e di storia?
Il messaggio In una terra di diffidenze cementate il Pontefice ha insistito sulla fiducia. Le sue parole si radicano in una visione teologica.

© Copyright Corriere della sera, 13 maggio 2009

Molto bello questo intervento di Andrea Riccardi.
Constato che il continuo confronto fra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II sta diventanto "esplosivo" nel senso che comincio a registrare reazioni stizzite da parte di molte persone con cui vengo in contatto.
Attenzione al boomerang, cari giornalisti e cari amici ebrei! Credo che ci abbiate portato al punto di saturazione
.
R.

1 commento:

Anonimo ha detto...

IL MURO DI VETRO.
L’Italia delle religioni. Primo rapporto 2009
A cura di Paolo Naso e Brunetto Salvarani, EMI, Bologna 2009

Recensione
di Laura Tussi

Il muro di vetro è una fragile osmosi che divide le molteplici realtà, i pluralismi religiosi, composti di intersezioni e persino di familiarità ricorrenti, ma che non permettono il contatto e la relazione reciproca diretta, anche se sussistono eccezioni, perché tutti i muri innalzati dall'umanità e dalle conseguenti ideologie presentano fratture e pertugi che consentono a volte scambi e contaminazioni dialogiche, in un panorama ampio di multiculturalità religiosa sempre più significativo anche a livello nazionale, nell'incontro religioso e nel dialogo ecumenico.
La differenza è uno dei principi della cultura postmoderna, che insiste sulla diversificazione, sulla molteplicità e la complessità, contro i rischi della pianificazione e dell'omologazione sociale.
La finalità di riconoscersi in un'identità deve diventare sempre fonte di confronto con l'alterità, l'altro da sè e quindi con l'implicita diversità che l'identità altrui presenta, nel concetto di differenza individuale, soggettiva, esistenziale e, per esteso, di varietà interetnica e multiculturale.
La conoscenza di sé attraverso il percorso religioso di autoriflessione, di autonarrazione, di racconto di sé, permette di identificare ed approfondire una propria personalità in rapporto all'alterità di colui che si pone in dialogo.
Di conseguenza le molteplicità religiose, le complessità interetniche e multiculturali si incontrano e si incrociano trasversalmente con le diversità religiose, psicologiche, identitarie, soggettive, di genere ed intergenerazionali in un pluriverso di alterità sociali, all'interno di un tessuto sociocomunitario che dovrebbe sempre più aprirsi all'accoglienza, al confronto, al dialogo, nell'interscambio tra molteplici aspetti che permeano l'intera umanità e che non si possono classificare e attribuire esclusivamente al concetto di razza ed etnia, perché la differenza è ubiquitaria e trasversale al concetto stesso di umanità.
La considerazione e il riconoscimento dell'altro da sé permettono il reciproco confronto e la gestione educativa del conflitto dove spesso l'intesa e l'accordo si prospettano come una lontana utopia.
Il concetto di diversità sollecita riflessioni e associazioni di idee varie e complesse, dal dibattito sulle opinioni della democrazia, ai contesti e agli scenari economici e sociali.
Risulta spontaneo pensare alle diversità tra donna e uomo, tra generazioni, tra nazionalità, lingue e religioni dove è necessaria un'innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale.
Infrangere la discriminazione, lo stereotipo e il pregiudizio, rappresentati dal “muro di vetro” consiste nella motivazione alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valore fondante la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale, sanciti dalla carta costituzionale democratica.
Oltre “il muro di vetro” vi è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all'accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi, pregiudizi e conseguenti discriminazioni, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali, per costruire una coscienza di convivenza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza, il dialogo, l’ accoglienza, il confronto nelle comunità, nelle città, nel mondo…per un'utopia della convivenza realizzabile a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano, nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.

Laura Tussi