lunedì 4 maggio 2009

Il Papa invita a pregare per il suo viaggio in Terra Santa (Sir)


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Invito a pregare per il viaggio in Terra Santa

Fabio Zavattaro

Se, domenica 3 maggio, in basilica vaticana, la preghiera del Papa era per le vocazioni sacerdotali e per i nuovi presbiteri, in piazza San Pietro, alla recita del Regina Cæli era per il suo prossimo viaggio in Terra Santa.
A pochi giorni dalla sua partenza per la Giordania e Israele – il viaggio si svolgerà dall’8 al 15 maggio – lui stesso ha voluto spiegare quali sono le aspettative di questa visita in Medio Oriente, forse la più impegnativa tappa per i suoi risvolti e intrecci politici, storici, religiosi; una Terra Santa per le tre religioni monoteiste e nello stesso tempo una terra che da troppi anni non conosce la parola “pace”.
Diverse le realtà del Regno hascemita giordano dalla Repubblica di Israele che ha appena festeggiato i 61 anni di vita. Due le motivazioni che il Papa mette in evidenza, ai fedeli che affollano piazza San Pietro, in questo pellegrinaggio che vuole ripercorrere i passi dei suoi predecessori Paolo VI, che per primo tornò da Papa sui luoghi di Gesù nel 1964; e Giovanni Paolo II che si fece pellegrino nell’anno del Giubileo. Andare in Terra Santa, “sui luoghi santi della nostra fede”, è per Benedetto XVI motivo e occasione per confermare e incoraggiare i cristiani, “che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà”. E poi “farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa”. Quindi “pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco”.
Ma è indubbio che il viaggio ha anche una valenza ecumenica e inter-religiosa. Sappiamo che sarà nella Moschea al-Hussein, ad Amman, e alla spianata delle moschee di Gerusalemme, la cupola della Roccia. Ci saranno incontri con i capi religiosi musulmani. A Gerusalemme sarà poi presso il Muro Occidentale e avrà colloqui con i rabbini della città. Non meno importante, infine la visita al mausoleo dell’Olocausto Yad Vashem, là dove una contestata didascalia, torna sui presunti silenzi di papa Pio XII sulla Shoah.
Nel sottolineare la valenza ecumenica e inter-religiosa del viaggio, il Papa dice: “Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi”.
Parlando quindi in lingua francese e inglese, Benedetto XVI ha sottolineato anche la volontà di pregare per il “dono prezioso dell’unità e della pace per il Medio Oriente e per il mondo intero”, così come ha ricordato la “grande sofferenza del popolo palestinese”.
Gerusalemme è città santa per ebrei, cristiani e musulmani. Yerushalayim in ebraico; al-Quds, cioè la santa, in arabo. È la città che possiede settanta nomi d’amore e di desiderio. Tornano alla mente le parole del Midrash, il commento rabbinico alla Bibbia: “Dieci porzioni di bellezza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di scienza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di sofferenza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove”.
Pochi giorni fa papa Benedetto, parlando ai membri della Papal Foundation – un ente americano che sostiene la carità del Papa – diceva circa il suo viaggio in Terra Santa: “Da più di 60 anni, questa regione – la terra nativa di nostro Signore, morto e risorto, un posto sacro per le tre grandi religioni monoteistiche – è stato luogo di violenze e ingiustizie. Questo ha portato una generale atmosfera di incomprensioni, incertezze e paura, mettendo vicini contro vicini, fratelli contro fratelli”.
Un viaggio che non potrà non essere letto anche politicamente, soprattutto alla luce dei lavori della Commissione bilaterale sugli accordi fondamentali tra Israele e Vaticano, lavori che procedono a rilento. Non meno delicato è il momento politico che attraversa Israele dopo la formazione del nuovo governo con esponenti dell’estrema destra; e le tensioni gravi e irrisolte all’interno del popolo palestinese, diviso tra Hamas e Fatah. Tutti aspetti che se da un lato potevano suggerire un rinvio del viaggio – anche il patriarca latino Fuad Twal manifestava simili timori – dall’altro offriranno a Benedetto XVI l’occasione per riproporre con forza l’urgenza del dialogo e del processo di riconciliazione per dare alla regione una vera pace e per chiedere la fine delle violenze.

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