venerdì 8 maggio 2009
Il ritorno di Pietro in Terra Santa. Mons. Salim Sayegh, vicario episcopale per la Giordania (Sir)
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Mons. Salim Sayegh, vicario episcopale per la Giordania
Abiti tradizionali, una giara di terracotta, fatta a mano dai disabili del centro "Regina Pacis" di Amman, riportante un disegno del sito battesimo e una scritta in latino di ringraziamento, lavori in madreperla di artigiani di Betlemme e Beit Sahour e un mosaico che ricorda la moltiplicazione dei pani. Sono i doni che Benedetto XVI riceverà nel corso della visita in Giordania (8-11 maggio), prima tappa del suo pellegrinaggio in Terra Santa che lo porterà anche in Israele e Territori Palestinesi (11-15 maggio). A raccontarlo al SIR è mons . Salim Sayegh, vicario episcopale per la Giordania del patriarca latino di Gerusalemme, il quale non nasconde tutta la sua attesa per l'arrivo del Pontefice. Primo atto di Benedetto XVI in Giordania è la visita ai disabili del centro "Regina Pacis". "Un gesto significativo - sottolinea il vicario - in Giordania si stima che il 10% della popolazione sia disabile".
Nelle strade di Amman bandiere e striscioni, con le figure del Papa e del re Abdallah II, incorniciano quello che per la Giordania verrà ricordato come "un nuovo evento storico" insieme alle visite di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Anche loro entrarono in Terra Santa dalla porta giordana.
Anche Benedetto XVI ha scelto di cominciare il suo viaggio dalla Giordania: quale importanza riveste questa visita per tutto il Paese e per la Chiesa locale?
"L'importanza è squisitamente pastorale. Il Papa viene come successore di Pietro, pastore della Chiesa universale e in questa veste il popolo cristiano e cattolico lo accoglie con tanta gioia. È esemplare che, dopo il suo arrivo, egli abbia voluto visitare un centro per disabili, Regina Pacis di Amman, per la cui costruzione tanto ha contribuito la Conferenza episcopale italiana. Nel centro incontrerà le persone disabili e alcuni giovani che sono la speranza della Chiesa e del nostro Paese. La dimensione pastorale di questo viaggio è presente anche nella messa allo stadio di Amman (domenica 10 maggio) e nel successivo pellegrinaggio al sito del battesimo sul Giordano. Da qui, dove fu battezzato da Giovanni, Gesù iniziò la sua vita pubblica. Qui incontrò cinque dei suoi primi apostoli, qui incontrò Pietro. È San Pietro che torna in questo luogo per confermarci nella fede".
Alla dimensione pastorale se ne aggiunge una strettamente legata al dialogo interreligioso...
"Certamente, ed è caratterizzata dall'incontro, il 9 maggio, con i capi musulmani nella moschea al-Hussein bin-Talal. Questo incontro riflette veramente la situazione in Giordania, dove cristiani e musulmani vivono insieme pacificamente da tantissimi secoli. Il Papa, e con lui la Chiesa, persegue la pace e la convivenza dei popoli e delle religioni; lo scopo principale delle religioni è rendere l'uomo migliore e sincero verso Dio e gli altri. Se mettiamo in opera questo principio vivere insieme in pace e giustizia è possibile. La Giordania rappresenta un esempio in questo senso per tutto il Medio Oriente".
Nel suo Paese sono presenti migliaia di rifugiati iracheni, tra i quali anche cristiani e cattolici. È previsto un loro incontro con Benedetto XVI nel corso della visita?
"Per il momento posso dire che il Papa incontrerà il patriarca caldeo di Baghdad, il card. Emmanuel III Delly, con una delegazione irachena, mentre fedeli iracheni contribuiranno alla liturgia con canti e alla processione offertoriale. È possibile anche la presenza di una rappresentanza ufficiale del governo iracheno che incontrerà il Papa ad Amman. Credo che dal Pontefice ascolteremo parole esortanti alla pace, alla concordia e alla riconciliazione in Iraq e Palestina".
Tra i punti che Benedetto XVI toccherà nel suo pellegrinaggio, uno dei più sentiti dalla Chiesa cattolica e non solo è l'emigrazione dei cristiani mediorientali. Che messaggio vi attendete dal Papa a questo riguardo?
"Fortunatamente in Giordania non sentiamo come in altri Paesi, penso all'Iraq e ai Territori palestinesi, il peso di questo dramma. È indubbio che a causa delle difficili condizioni sociali, politiche ed economiche della regione, molti pensano di emigrare per costruirsi un futuro migliore. Tuttavia, stiamo assistendo anche a dei ritorni in patria. Chi emigra, infatti, non trova più facilmente il lavoro. Molti, in particolare iracheni, emigrati nel nord America, stanno ritornando. All'estero hanno trovato sicurezza ma non lavoro ed ecco la decisione di rientrare. Alla luce di questo credo che Benedetto XVI ricorderà che essere cristiani in Terra Santa è una vocazione che si può realizzare solo rimanendo qui, nei luoghi resi santi dalla presenza di Gesù. Sta ai cristiani evitare che diventino dei musei. La vocazione dei cristiani è quella di essere pietre vive di pace, perdono e riconciliazione".
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