sabato 23 maggio 2009
L'abate di Montecassino ricorda il suo primo incontro con il cardinale Ratzinger (Buongiorno)
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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE A CASSINO E MONTECASSINO (24 MAGGIO 2009): LO SPECIALE DEL BLOG
«Da Montecassino la Regola ricorda: anche nella diversità si può fare unità»
di VITTORIO BUONGIORNO
Il Santo Padre arriva pochi giorni dopo il viaggio in Israele.
«Arriva in un momento particolare del suo pontificato, dopo un viaggio importantissimo in cui ha predicato l’importanza di pace, dialogo, diplomazia. Mi mi piace pensare che a Montecassino possa trovare anche un po’ di ristoro e di quell’accoglienza festosa di chi torna in famiglia».
Cosa ricorda dell’ultima visita dell’allora cardinal Ratzinger a Montecassino?
«Rimasi molto colpito della sua attitudine monastica, del suo pieno inserimento nel ritmo e nella vita del monastero, della capacità di concentrarsi per ore su un lavoro non sempre facile. Passò qui una settimana per scrivere il suo libro “Dio e il mondo”, ebbi l’incombenza e l’onore di assisterlo. Era rapito da questa atmosfera. E poi ricordo il tratto bonario del suo carattere, quasi timido, rispettoso di tutti, dell’abate ma anche del monaco portinaio o del sacrista».
Cosa chiederete al Papa?
«In occasioni come questa si pensa più a cosa dover dare. E’ già tanto quello che porta».
Il momento centrale della visita sarà l’inaugurazione della casa della carità.
«Anche questo è un sogno per me. Quando radunammo il tavolo delle solidarietà, mai avrei immaginato che il frutto di quel lavoro sarebbe stato benedetto dal Papa. A pensarci ora, ci vedo il segno della benedizione di Dio. Ma questo è solo l’inizio, da oggi in poi dovremo sostenerla perché abbia un futuro e lo abbiano coloro che vi troveranno accoglienza».
Come è nata l’idea?
«Poco dopo la mia elezione la Caritas dovette ospitare una mamma africana con il suo bambino in un pulmino perché gli alberghi non li volevano, e non c’erano altre soluzioni. Mi indignò, fu un Natale triste, per questo pensai al vecchio ospedale inutilizzato e ne parlai con il presidente della Regione per adibirne una parte a centro di accoglienza. Gli stranieri, ma anche quei detenuti che escono dal carcere e non sanno dove andare».
Il tema degli immigrati è centrale nel nostro paese in queste settimane.
«E’ un’emergenza alla quale la Chiesa è chiamata a dare una risposta credibile, anche a fronte di alcune derive un po’ xenofobe, di posizioni non sempre cordiali di fronte a chi vive momenti difficili, a chi è costretto abbandonare il proprio paese. E’ una questione delicata, come ogni volta che tendi la mano a chi ha bisogno c’è il rischio che la rifiuti o che l’azzanni, ma come cristiano, come uomo e cittadino non possiamo non dimostrare al mondo quanto cammino è stato fatto da una civiltà fortemente marcata dal segnale evangelico. Dobbiamo dimostrare quali sono i frutti della crescita anche culturale, che non dice chiusura ma accoglienza, che ha la capacità di pazientare anche davanti a chi ancora non sa rispettare pienamente regole dell’umana convivenza e delinque».
E cosa significherà la ”casa della Carità” per Cassino?
«Vorrei che tutte le nostre realtà diocesane possano collaborare ad un unico progetto. La carità è una delle virtù che ogni cristiano è chiamato a perseguire».
Lei ha invitato in particolare i giovani a darsi da fare.
«A dare sostanza alla loro gioventù, a non perdersi solo dietro play station e tv, che pure sono cose importanti a quell’età, ma non possono essere l’aspetto più significativo di una vita. Li ho sfidati a venire a vedere come si lavora e come si vive con gli emarginati, con i poveri, con gli stranieri.
Hanno risposto?
«Una risposta c’è stata, non grande come avrei voluto. Ma è importante anche che solo alcuni si impegnino e che se possibile facciano tendenza. Sogno però che la ”casa della carità” non sia solo di aiuto per i poveri ma un’opportunità di crescita per i nostri giovani e per i nostri formatori».
Quale messaggio partirà domani da Montecassino dove intorno al Papa saranno riuniti tutti gli abati e le abbadesse del mondo?
«Che anche nella diversità si può fare unità. Tutti gli abati e le abbadesse non necessariamente vivono la regola nello stesso modo, ma la forza della regola è proprio questa, è adattabile a qualsiasi popolazione, in qualsiasi parte del mondo perché tiene fermo un unico punto: che la verità viene da Gesù, per chi la vive qui o in Africa, in Colombia o in Argentina. Così rende possibile la convivenza pacifica e l’unità di fronte a valori universali, per chi crede e per i non credenti, valori come il rispetto della vita, la convivenza civile, il diritto allo studio, alla salute. Su questi valori qualunque etnia può fare unità.
Cambierà qualcosa per l’Abbazia dopo questa visita?
«Difficile dirlo per una abbazia che ha 1500 anni di storia e che ha visto salire una serie numerosa di papi. Certamente la visita di un Papa che ha preso il nome di San benedetto ci impegnerà di più a esprimere la nostra vita monastica, secondo le indicazioni della chiesa che ci saranno rivolte per bocca del Papa. Ascolteremo cosa avrà da dirci e poi saremo umili attuatori».
E da lunedì?
«Torneremo dolcemente nella secolare quiete dell’abbazia, per riprendere la vita monastica fatta di silenzio, preghiera, lavoro, ospitalità».
© Copyright Il Messaggero, 23 maggio 2009 consultabile online anche qui.
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