venerdì 15 maggio 2009
Magister: così l’impolitico Benedetto XVI ha posto le condizioni della pace e deluso i laicisti (Sussidiario)
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Su segnalazione del nostro Scenron leggiamo:
TERRA SANTA/ Magister: così l’impolitico Benedetto XVI ha posto le condizioni della pace e deluso i laicisti
INT. Sandro Magister
venerdì 15 maggio 2009
L’occasione è ghiotta e l’Economist non se la lascia sfuggire. “Un capitolo di gaffe: la visita del papa in Terra Santa - titola il settimanale britannico - ha aggiunto un altro disastro nelle pubbliche relazioni alla lista già esistente”.
Anche ammesso che le ragioni profonde che hanno indotto Benedetto XVI ad andare in Terra santa per sostenere la speranza e la testimonianza dei cristiani siano riconducibili ad un panel di “pubbliche relazioni”, cosa sulla quale, se non altro per onestà intellettuale, è lecito nutrire qualche dubbio, è sul “disastro” che l’autorevole settimanale si lascia sfuggire la mano. “Disastro” perché il Papa è andato allo Yad Vashem e “ha parlato di ‘milioni’ di ebrei vittime dell'Olocausto e non di sei milioni”: “un’omissione - secondo l’Economist - che ha avuto l'effetto di riaprire la questione appena chiusa dei lefebvriani e del vescovo Richard Williamson che aveva negato l'esistenza dell'Olocausto”.
«Ma se l’Economist fosse stato più attento - commenta Sandro Magister - si sarebbe accorto che l’omissione non c’è stata affatto, perché di sei milioni di ebrei uccisi il Papa ha parlato, appena sbarcato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la mattina dell’11 maggio».
È vero. Può testimoniare il presidente Shimon Peres. «È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele - ha detto il Papa, e ci scuseranno i lettori la lunga citazione - io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e dipregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile».
Siamo al ridicolo, dice Magister, al quale ilsussidario.net ha chiesto un primo bilancio del viaggio apostolico di Benedetto XVI, che partirà oggi stesso da Tel Aviv per far ritorno a Roma.
Ma la realtà è ben più seria, ed è l’esistenza di un «copione» - spiega Magister - da soddisfare sempre e comunque, quando si cita il dramma della persecuzione ebraica.
Quel copione “scritto” in anticipo, ancor prima che il papa parlasse, sulla questione ebraica. Un canovaccio non esente da rischi, se ha impedito a molti - ma non a tutti - di cogliere la portata, la reale portata, di quello che Benedetto XVI ha detto nel Memoriale della Shoah.
Magister, il pellegrinaggio di Benedetto XVI volge al termine. Tentiamone un bilancio. Ieri il Custode dei luoghi santi padre Pizzaballa, faceva notare che tutto quello che ha un significato religioso, o anche semplicemente umano, in Terra santa diventa politica. Lei cosa pensa?
In un certo senso concordo: è un viaggio che inesorabilmente ha effetti e contraccolpi politici. La questione capitale a mio giudizio è capire se il terreno politico è quello principale sul quale Benedetto XVI ha voluto collocare il senso del suo viaggio. Non lo credo. Ciò non toglie che il papa sia perfettamente consapevole degli effetti politici del suo gesto. Lo si è visto anche mercoledì, quando Benedetto XVI è andato nei territori: sia a Betlemme che nel campo dei rifugiati ha detto cose politiche molto esplicite, che però non rappresentano una novità nella linea della Santa Sede sul conflitto israelo-palestinese. Il Papa è andato oltre la sfera prettamente politica.
Si riferisce per esempio al tema del muro spirituale e a quello, ad esso legato, del perdono?
Sì. Nei discorsi “politici” questa dimensione ulteriore è chiaramente visibile. Quando ha detto, a proposito del muro così contestato e controverso, che la questione vera è abbattere i muri che si creano nei cuori degli uomini, tra un uomo e il suo prossimo. È un compito che mette in gioco delle scelte personali, che in quanto tali sono in grado di cambiare le cose a livello pubblico. Lo stesso è avvenuto nell’omelia di Betlemme, come nell’omelia della Messa nella valle di Giosafat: Benedetto XVI ha lanciato messaggi molto espliciti ai cristiani, invitandoli a non abbandonare la loro terra.
È comprensibile che il Papa chieda ai cristiani di rimanere: quella è anche la loro terra, al pari di ebrei e musulmani…
Certo, il Papa ha chiesto loro di restare ed era nelle aspettative, ma l’argomento con cui lo ha fatto è eminentemente teologico. Ha detto: restate, perché avete il privilegio unico di essere a contatto diretto con la memoria storica della salvezza. Siete in grado, come gli apostoli, di vedere e di toccare i luoghi in cui la salvezza si è innestata, e quindi avete una missione di testimonianza eccezionale di fronte al mondo. E li ha esortati a restare fedeli a questa missione. L’approccio con cui Benedetto XVI guarda a cose molto concrete, e quindi anche molto politiche - come la permanenza dei cristiani in Terra santa - è sostanzialmente profetico, religioso.
Questo viaggio segna un’evoluzione nel rapporto tra Santa Sede e Stato di Israele?
Più che il rapporto con lo Stato di Israele politicamente inteso, sul quale le parole di Benedetto XVI sono state molto misurate e molto sobrie, direi che il capitolo del rapporto tra ebraismo e cristianesimo è uno dei grandi assi portanti di questo viaggio. Anche per quanto riguarda la storia dell’ebraismo e quindi la Shoah il Papa ha detto delle cose molto originali. Che proprio per questo hanno disorientato parte degli osservatori.
Allude alle polemiche che hanno seguito la visita al Memoriale di Yad Vashem?
Persino lo Ha’aretz, il giornale più liberal in Israele, ha pubblicato parole dure, un attacco impietoso nei confronti delle parole di Benedetto XVI. Perché molti intellettuali israeliani sono rimasti così sconcertati?
Perché avevano in mente un copione - che era poi il loro - e vigilavano per vedere se e come il Papa rispettasse questo copione. E il Papa non lo ha fatto.
Ha aperto delle pagine di riflessione ancora in parte inedite sul mistero della persecuzione di Israele, centrando la sua riflessione sul nome, sul valore biblico fortissimo che ha il concetto di nome.
Dunque il Papa ha tradito le aspettative: quelle di chi si era ostinatamente preparato a sentire altro.
Infatti quelli rimasti attaccati al “manoscritto” - preparato da loro - non hanno più saputo da che parte voltarsi. Ma è una riflessione che è stata moltissimo apprezzata, in campo ebraico, da chi l’ha colta. Il nome è l’identificazione della persona e l’identificazione della missione che la persona ha, tanto è vero che il Papa ha ricordato come Dio abbia dato un nome nuovo ad Abramo dopo la chiamata e lo stesso è avvenuto con Giacobbe. Il nome nuovo corrisponde a una missione. E questi nomi sono incisi indelebilmente nel pensiero e nel cuore di Dio. Anche quando il male assoluto arriva a voler togliere tutto all’uomo, non può però togliergli il nome, perché questo è difeso per l’eternità da Dio.
E per quanto riguarda i rapporti col mondo musulmano?
Si sono giocati nella prima parte del viaggio, perché il Regno di Giordania è un po’ il cenacolo culturale da cui è uscita la Lettera dei 138: uno dei frutti più promettenti generati dalla lezione di Ratisbona, che a mio parere ha segnato un tornante straordinario nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’islam, da cui è partito un dialogo faticoso, incipiente ma portato finalmente sulle questioni reali: il rapporto fede, ragione e violenza. Al capitolo aggiunto da Papa Ratzinger in Giordania ha fatto riscontro l’ampio e interessante discorso tenuto dal principe GhaziBin Talal, in occasione della visita alla moschea di Amman.
Dove sta, a suo avviso, il valore della riflessione papale?
Il rapporto tra cristianesimo e islam è centrato non su un impossibile “negoziato” tra le due fedi - cosa semplicemente impensabile - ma sulla consapevolezza che dall’unica fede nell’unico Dio creatore derivi l’uguaglianza di natura di tutti gli uomini. Quindi i diritti dell’uomo sono esattamente quelli scritti nella creazione stessa e questo è il terreno comune su cui islam e cristianesimo possono servire l’unità della famiglia umana, secondo quanto detto dal Papa non solo in Giordania ma anche a Gerusalemme, dopo aver visitato la Cupola della roccia.
© Copyright Il Sussidiario, 15 maggio 2009
Sono assolutamente e completamente d'accordo con Magister: il Papa ha "violato le regole", non si e' attenuto al copione che era gia' stato scritto dai media.
Ha detto all'aeroporto parole forti e al Mausoleo ha affrontato la shoah in chiave completamente inedita.
Ecco perche' i media israeliani hanno reagito con tanta violenza.
Ci sarebbe da ridere se la cosa non fosse seria.
Questo, pero', rende ancora piu' grave la responsabilita' dei rabbini e di tanti esponenti del mondo ebraico che hanno cavalcato la tigre dell'invettiva contro il Santo Padre.
Persino il rabbino della sinagoga di New York, visitata da Benedetto XVI lo scorso anno, si e' detto deluso!
Salvo lodevoli eccezioni (e non mi pare ci siano rabbini fra di esse), non ho letto prese di posizione importanti nei confronti del discorso del Papa allo Yad Vashem se non altro per manifestare rispetto verso il contenuto di quel capolavoro teologico.
Di qui la mia delusione e la mia amarezza.
R.
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4 commenti:
Cara Raffaella non dobbiamo essere amareggiati più di tanto..... e te lo dice una che davanti a certe assurdità e commenti patetici ascoltati da certi giornalisti in questi giorni, soffre per questi muri alzati contro il nostro Pontefice. E sì perchè caro dott. Valli non è il Papa che alza i muri ma, sono tutti coloro che si rifiutano di capire e di apprezzare il lavoro di Benedetto XVI. Un lavoro unico fuori da qualsiasi dictat di protocollo e di falsa diplomazia. Evidentemente, come ho già detto più volte, il Papa offre il dialogo ma, non a pacche sulle spalle e probabilmente quando si affrontano temi spinosi mai affrontati prima, si scopre come il vero dialogo non coincida necessariamente con la diplomazia che, troppo spesso ormai, viene confusa con lo zerbinaggio.
Grazie al nostro Pontefice che ha la semplicità, il coraggio e la perseveranza, di andare al di là degli schemi preordinati che tanto piacciono alla stampa ed alla televisione ma, che non portano da nessuna parte.
Non devi essere né delusa, né amareggiata, Raffa. Chi pensi rappresenti The Economist? I poteri forti, ai quali Benedetto (vedi Africa) sta pestando e non poco i piedi. Benedetto, che snobba la scena, è political incorrect, impolitico. Tutte straordinarie doti per un pontefice, ritenute da una certa vulgata nmolto interessata difetti. Eppoi, qualcuno crede veramente che abbiano letto il discorso allo Yad Vashem, a Ratisbona, sull'aereo che lo portava in Africa e perché insistere sulla vicenda della bimba brasiliana MAI scomunicata?
ALessia
C'è sapienza e Sapienza. Il Papa é nella stratosfera, quei Rabbini sono sdraiati per terra.
In quel tempo Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Si sa che gli Ebrei sono le persone pià intelligenti del mondo.
"Padre ti ringrazio perchè hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli". Come è vero! Avete visto la festa di accoglienza a Nazareth?( per citarne una sola) Maria Pia
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