domenica 27 settembre 2009
Il Papa nella Praga atea: «Vedo una società ferita da 40 anni di comunismo» (Tornielli)
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Il Papa nella Praga atea: «Vedo una società ferita da 40 anni di comunismo»
di Andrea Tornielli
nostro inviato a Praga
«Non si deve sottovalutare il costo di quarant’anni di repressione politica. Una particolare tragedia per questa terra è stato il tentativo spietato da parte del governo di quel tempo di mettere a tacere la voce della Chiesa».
Benedetto XVI ha appena messo piede nella Repubblica Ceca, e di fronte al presidente Vaclav Klaus che lo ha accolto e salutato, rievoca immediatamente gli anni del regime comunista.
Praga è la capitale più scristianizzata dell’Europa cristiana, con una frequenza alla messa ridotta al lumicino. Non ci sono striscioni né manifesti che annunciano la visita papale nelle vie della città dove gli atei che si professano tali rappresentano il 60 per cento della popolazione, nel Paese dove la fine del comunismo non ha visto rinascere la fede, ma anzi l’ha vista diminuire.
La tredicesima trasferta internazionale di Ratzinger è una sfida difficile.
Il Papa, nel pomeriggio, durante i vespri in cattedrale, ricorda «il lungo inverno della dittatura comunista» e le «ferite causate dall’ideologia atea» che porta ancora la società.
Una società oggi «spesso affascinata dalla moderna mentalità del consumismo edonista, con una pericolosa crisi i valori umani e religiosi e la deriva di un dilagante relativismo etico e culturale».
Benedetto XVI rende grazie «per la liberazione» dalla dittatura. Ma alla Chiesa ceca chiede un balzo in avanti, un impegno rinnovato nella missione, perché non basta continuare ad attribuire ogni colpa della situazione attuale ai guasti dell’ateismo. Sono passati vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e da quella «rivoluzione di velluto» che portò il dissidente Vaclav Havel alla presidenza. Cambiamenti seguiti dall’euforia per la ritrovata libertà.
Oggi però - è la domanda che Benedetto XVI fa risuonare nella Sala Spagnola del palazzo presidenziale, di fronte alle autorità civili - bisogna chiedersi «per quale scopo si vive in libertà» e quali sono i «tratti distintivi di questa libertà».
Ratzinger aveva in qualche modo anticipato e sintetizzato tutti i temi del viaggio dialogando con i giornalisti sul volo che lo portava a Praga.
«La libertà – ha detto – non è arbitrarietà, libertinismo, ma è connessa e condizionata dai grandi valori della verità, dell’amore e della solidarietà, e del bene generale». E alla Chiesa divenuta così minoritaria e ininfluente, guardata con poca simpatia da un’opinione pubblica che la ritiene troppo interessata a rientrare in possesso dei beni confiscati negli anni del regime, Benedetto XVI lancia un messaggio inequivocabile: «Normalmente le minoranze creative determinano il futuro.
In questo senso – aggiunge nell’intervista in alta quota – direi che la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa e ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva e attuale e devono essere attualizzati e resi presenti nel dibattito pubblico».
Il primo compito che il vescovo di Roma intende affidare ai cattolici di Boemia e Moravia è «il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Entrambi hanno bisogno dell’altro. Gli agnostici non devono mai essere contenti di non sapere se Dio esiste o no, ma devono essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede. Il cattolico non deve essere contento di avere la fede, ma deve continuare ad essere in ricerca. E ancora di più, nel dialogo con gli altri, deve imparare Dio nel modo più profondo». Gli altri due compiti che il Papa indica sono quelli dell’educazione e della carità.
Rispondendo a una domanda sull’enciclica Caritas in veritate, Ratzinger si è detto contento del dibattito che ne è scaturito, invitando a «trovare nuovi modelli per una nuova economia responsabile».
Infine, con il sorriso sulle labbra, Benedetto XVI ha parlato dell’incidente al polso avvenuto in Val d’Aosta: «Non è ancora pienamente superato, ma vedete che la mano destra è in funzione, posso mangiare e soprattutto scrivere». Dato che il suo pensiero, «si sviluppa soprattutto scrivendo», è stata «una pena e una scuola di pazienza non poter scrivere per sei settimane».
Ora però il Papa è andato avanti con la stesura del secondo libro dedicato a Gesù: «Penso di terminarlo nella prossima primavera, ma questa è solo una speranza».
© Copyright Il Giornale, 27 settembre 2009 consultabile online anche qui.
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