mercoledì 28 gennaio 2009

I Lefebvriani chiedono scusa al Papa ma al rabbino Di Segni non basta (Lorenzoni)


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I Lefebvriani chiedono scusa al Papa

Rodolfo Lorenzoni

Hanno provocato una vera e propria esplosione mediatica di polemiche, le parole di Richard Williamson, uno dei quattro vescovi della Fraternità di San Pio X a cui Benedetto XVI ha di recente revocato la scomunica. Ed era prevedibile che ciò accadesse, perché le tesi revisioniste e negazioniste del prelato lefebvriano, che in un'intervista ha affermato di non credere all'esistenza delle camere a gas, non potevano che suscitare le reazioni indignate del mondo ebraico, e non solo.
La replica della Chiesa Cattolica è subito arrivata, chiara e forte.
È stato il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei di lunedì, a precisare la posizione dell'episcopato. Il capo dei vescovi italiani ha espresso dispiacere per le dichiarazioni di Williamson circa la Shoah, aggiungendo però che si tratta di opinioni manifestate mesi fa, nonché ripudiate dalla stessa Fraternità di Pio X.
Ma ciò non è bastato a frenare lo scompiglio di dichiarazioni incrociate e risentite, poiché Bagnasco ha anche definito «ingiuste» le parole pronunciate dagli ebrei italiani nei confronti del Papa. Certo, la condanna delle affermazioni del vescovo lefebvriano da parte della Chiesa è stata netta. Tuttavia questo non ha impedito a molti osservatori di obiettare sul modo in cui la vicenda è stata gestita sotto il profilo diplomatico dalla Santa Sede, specialmente nei giorni in cui si ricorda l'Olocausto e si rende omaggio alle vittime dello sterminio nazista.
Per cercare di chiudere la vicenda la sala stampa della Santa Sede ha diffuso ieri sera una dichiarazione di monsignor Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, che stigmatizza le dichiarazioni di Williamson e chiede perdono «al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto».
«Benché noi riconosciamo l'inopportunità di queste dichiarazioni - si legge nella nota dei lefebvriani -, noi non possiamo che costatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione. Le affermazioni di monsignor Williamson non riflettono in nessun caso la posizione della nostra Fraternità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche».
Ma il gesto della Santa Sede non è bastato per placare gli animi. Immediata è arrivata infatti la replica del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: «Mi sembra che il termine "inopportuno" utilizzato da Fellay sia assolutamente improprio rispetto all'enormità della Shoah. Non basta mettere a tacere il singolo negazionista: vorrei sapere con molta chiarezza qual è il pensiero dei lefebvriani sulle affermazioni del Concilio Vaticano II a proposito degli ebrei. Il problema è costituito da quello che la Fraternità pensa effettivamente sulle dichiarazioni conciliari di apertura all'ebraismo e finché non si fa chiarezza resta aperto».

© Copyright Il Tempo, 28 gennaio 2009 consultabile online anche qui.

Con tutto il rispetto, caro Di Segni, il fatto che i Lefebvriani accettino o meno il Concilio e' affare interno alla Chiesa Cattolica.
Non e' un problema che riguardi altre fedi.
Forse che noi cattolici ci mettiamo a sindacare sulla scelta dei rabbini? Non mi pare..
.
R.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Forse è il caso che Di Segni impari a comprendere che questa decisione è un fatto interno alla chiesa come la beatificazione di Pio XII; che cosa direbbe Di Segni se un cattolico mettesse bocca nelle loro celebrazioni o nelle loro preghiere oppure nelle regole della loro comunità?
Finiamola di alimentare una polemica che non esiste.

Anonimo ha detto...

Anche nel mondo ebraico, come in quello cattolico, c'è chi rema contro qualsiasi atto di riappacificazione tra diverse fedi e credenti di diverse fedi. Illuminante è il commento di Giorgio Israel del 12 gennaio:

"E così è riemerso tutto il vecchio bagaglio delle diffidenze, in una confusa miscela che ha messo insieme le conversioni forzate con la questione di Pio XII e con la preghiera del Venerdì santo, e financo le diffidenze politiche nei confronti del Papa “di destra”. Come spiegare altrimenti l’indulgenza con cui furono accolte certe pesanti dichiarazioni circa «la necessità di giungere a superare le tradizioni religiose quando non sono più autentiche» (con esplicito e polemico riferimento all’ebraismo) quando venivano dal Cardinale Martini, ovvero dalla Chiesa “democratica” e “di sinistra”?"

Anonimo ha detto...

Ritengo, Raffaella, che bisognerebbe spiegare al Rabbino Capo Di Segni il valore di una antica massima: Ubi maior, minor cessat!
Se parla la Santa Sede vale per tutti!
Altra massima: Roma locuta, causa finita!
Tra l'altro nessuno ha titolo a chiarire ciò che il massimo ente ha chiarito se non lo stesso ente.
Nessuno può giudicare la prima sede.
Se il Rabbino continua rischia di offendere la Santa Sede: ma queste sottigliezze diplomatiche sono ignorate o volutamente tralasciate dal Rabbino?
Piero