domenica 2 novembre 2008

All'Angelus il Papa invita a guardare alla morte alla luce dell'amore eterno di Dio, senza cadere in susperstizioni e sincretismi (Radio Vaticana)


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"Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus)

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Commemorazione dei defunti. All'Angelus il Papa invita a guardare alla morte alla luce dell'amore eterno di Dio, senza cadere in susperstizioni e sincretismi

Occorre oggi più che mai evangelizzare la realtà della morte, così soggetta a credenze superstiziose, perché sia vissuta alla luce del Cristo Risorto e dell’eterno amore di Dio: è quanto ha detto Benedetto XVI oggi all’Angelus, in Piazza San Pietro, nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Il servizio di Sergio Centofanti.

La domenica odierna unisce due misteri: il ricordo dei fedeli defunti e la memoria della risurrezione di Cristo. E Benedetto XVI esorta a vivere il rapporto con i defunti nella verità della fede, guardando alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione:

“Già l’apostolo Paolo, scrivendo alle prime comunità, esortava i fedeli a ‘non essere tristi come gli altri che non hanno speranza’. ‘Se infatti – scriveva – crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti’ (1 Ts 4,13-14). E’ necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”.

Il Papa, sulla scia della sua Enciclica sulla speranza cristiana, si è chiesto se gli uomini e le donne di questa nostra epoca desiderino ancora la vita eterna o se forse l’esistenza terrena sia diventata “l’unico loro orizzonte”:

“In realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la ‘vita beata’, la felicità. Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa. E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi. L’espressione ‘vita eterna’ vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile: non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia: è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo (cfr ivi, 12)”.

“Rinnoviamo quest’oggi – ha affermato il Pontefice - la speranza della vita eterna fondata realmente nella morte e risurrezione di Cristo”:

“Sono risorto e ora sono sempre con te, ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce”.

“La speranza cristiana – ha concluso il Papa - non è però mai soltanto individuale, è sempre anche speranza per gli altri”. Infatti, “le nostre esistenze sono profondamente legate le une alle altre ed il bene e il male che ciascuno compie tocca sempre anche gli altri”:

“Così la preghiera di un’anima pellegrina nel mondo può aiutare un’altra anima che si sta purificando dopo la morte. Ecco perché oggi la Chiesa ci invita a pregare per i nostri cari defunti e a sostare presso le loro tombe nei cimiteri. Maria, stella della speranza, renda più forte e autentica la nostra fede nella vita eterna e sostenga la nostra preghiera di suffragio per i fratelli defunti”.

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