giovedì 6 novembre 2008

Noi contro il silenzio sui cristiani perseguitati (Andrea Sarubbi)


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Noi contro il silenzio sui cristiani perseguitati

ANDREA SARUBBI

«Gesti significativi ed espliciti», aveva chiesto il papa ai responsabili civili dei vari paesi.
Gesti «di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze »: i cristiani perseguitati nel mondo, certo, ma anche i fedeli di altre religioni che vedono minacciata la libertà di culto.
E così, in maniera sobria ma sentita, mercoledì scorso abbiamo deciso di rispondere all’appello: un’ora strappata ai lavori parlamentari – o alle responsabilità istituzionali, a seconda dei casi – per leggere insieme, nel chiostro di San Gregorio al Celio, le testimonianze dei nuovi martiri. Gente abituata a morire in silenzio: il silenzio dei media e, soprattutto, dei governi.
In una lettera inviata a noi parlamentari sul pogrom anticristiano di Orissa, i missionari del Pime parlano espressamente di «perseguitati di serie B». Denunciano omicidi di civili, stupri di suore, rapimenti di sacerdoti, incendi di chiese; non usano mezzi termini contro il governo locale e la stessa polizia, «che ha fatto finta di non vedere», e ci chiedono di «formulare alle autorità indiane richieste di passi e garanzie concrete». Passano i giorni e il numero delle vittime cresce: proprio mercoledì è morto un altro sacerdote, padre Bernard Digal, aggredito il 25 agosto dai fondamentalisti indù.
Lo abbiamo ricordato, l’altra sera, e con lui i tanti cristiani uccisi in Iraq. Dove la caduta di Saddam Hussein ha ridato fiato a vecchie contrapposizioni: «La forza e la rabbia inespresse per tanti anni – ha ricordato monsignor Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede – sono venute violentemente alla luce».
Pur avendo manifestato contrarietà alla permanenza di truppe americane, i cristiani sono assimilati all’Occidente e la loro presenza è fortemente minacciata: da Mosul sono in fuga duemila famiglie, mentre le chiese vengono bruciate; l’arcivescovo Raho è l’ultima vittima di una lunga catena di omicidi, tutti senza processo.
Non avevamo altro fine che quello di manifestare vicinanza ai cristiani perseguitati. E lo abbiamo fatto senza retorica, in maniera semplice, mettendo da parte la politica e facendo parlare il cuore. Ecco, ora è arrivato il momento di fare un passo avanti: perché la solidarietà va bene, ma dietro le persecuzioni ai cristiani ci sono questioni che una forza politica come la nostra è chiamata a sollevare. Nella speranza che questo governo abbia il coraggio di prenderle sul serio (con tutto il rispetto per le mozioni presentate in questi giorni, ci vuole ben altro) per poi affrontarle in sede internazionale.
Partiamo dall’India.
Nella lettera a cui accennavo, i missionari del Pime denunciano la connivenza dei governi locali con i fondamentalisti indù e proprio il governo di Orissa – in mano a un partito che ha per slogan L’India agli indù – si candida a governare il paese, il prossimo maggio. La diocesi di Bhubaneshwar si è vista negare risarcimenti per le oltre 100 chiese bruciate, i testimoni chiamati a deporre nell’inchiesta sulle violenze sono stati minacciati apertamente. Ne conosciamo nomi e cognomi, abbiamo il dovere di impedire che vadano ad allungare la lista dei martiri.
Ma anche la situazione dei cristiani in Iraq ci chiama a un’azione più incisiva, perché accanto alla persecuzione religiosa viaggia parallela una strategia di annientamento politico. Penso alla riforma approvata in settembre dal parlamento di Bagdad, che ha cancellato l’attribuzione di seggi alle minoranze in 6 dei 14 consigli provinciali che andranno al voto a gennaio. La mediazione dell’Onu, affidata a Staffan De Mistura, è stata percepita dai vescovi come «un’elemosina»: si parla infatti di 3 province anziché 6 (Bagdad, Ninive e Bassora) e di 12 seggi (anziché 15) destinati alle minoranze, dei quali solo 7 ai cristiani. Nelle altre tre province, i cristiani non saranno rappresentati: il rischio di “curdizzazione” dell’area di Dohuk, Kirkuk ed Erbil è molto alto.

Sui quotidiani più diffusi nel nostro paese non si trova traccia di queste notizie, che la tv oscura perché non fanno ascolto: bisogna andarle a cercare nei mass media cattolici – dalla Radio Vaticana ad Avvenire, da Asianews alla Misna – come se fossero argomenti di nicchia.

Come se si trattasse dell’inaugurazione di un centro pastorale in una diocesi sperduta del sud del mondo. Stiamo parlando, invece, del rispetto dei diritti umani: argomento sempre buono per strappare applausi in un comizio, ma evidentemente troppo leggero di fronte ai numeri – quelli sì, pesantissimi – delle bilance commerciali.

© Copyright Europa, 5 novembre 2008 consultabile online anche qui.

Complimenti a Sarubbi ed a "Europa".
R.

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