mercoledì 1 aprile 2009

Giovanni Paolo II. Papa bianco e africano (Robert Sarah e Padre Lombardi)


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Presentati alla Radio Vaticana due volumi di Jean-Baptiste Sourou

Giovanni Paolo II
Papa bianco e africano


Sono stati presentati lunedì 30 marzo, nella sala Marconi della sede romana della Radio Vaticana i volumi di Jean-Baptiste Sourou, Jean-Paul ii: Pape blanc e Africain (Paris, L'Harmattan, 2009, pagine 162, euro 18,50), ed "Ecclesia in Africa" à la lumiere de l'"Esprit d'Assise" - Essai de lecture du premier synode pour l'Afrique en marche vers le second (Paris, L'Harmattan, 2009, pagine 130, euro 13) Pubblichiamo l'intervento dell'arcivescovo segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli durante la presentazione dei volumi, e la prefazione al volume Jean-Paul ii: Pape blanc et Africain. Alla presentazione dei volumi ha partecipato padre Gianfranco Grieco capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

di Robert Sarah

Il titolo del libro: Giovanni Paolo II: Papa bianco e Africano colpisce subito i lettori. Effettivamente, Giovanni Paolo II, ha amato e s'è lasciato coinvolgere, e per così dire, integrare dal e nel continente africano.
Il successore di Pietro e vescovo di Roma, appartiene a tutte le Chiese sparse in ogni continente e ne presiede la "comunione". E Jean-Baptiste Sourou lo sa in quanto impegnato alla Radio Vaticana, dove il respiro della Chiesa cattolica è più che altrove universale e, d'altra parte, l'amore dell'autore stesso per l'Africa ha trovato un terreno ideale per crescere in maniera nuova, anche a contatto con la figura di Giovanni Paolo II.
Infatti, precedentemente egli aveva scritto un altro volumetto: La Chiesa in Africa alla luce dello spirito di Assisi, dove presenta la via maestra del dialogo, interreligioso ed ecumenico, a partire dalla povertà che Assisi ispira. Cioè, un distacco da tutto e da tutti che permetta di abbracciare in Cristo, tutto e tutti. Con un'attenzione, in Giovanni Paolo II, "quasi materna".
Giovanni Paolo II, dice l'autore, andò quattordici volte in Africa visitando 42 nazioni in 22 anni. In verità, a me risulta che ci andò non 14 ma 16 volte, dal 1980 al 2000; e in 7 nazioni ci è andato più d'una volta. E questo dimostra un interesse, addirittura un affetto preferenziale, una immedesimazione crescente nello stile di vita del mondo africano.
"L'Africa stava al centro del suo cuore" come ebbe a dire il cardinale Gantin. Ma possiamo affermare che anche Giovanni Paolo II stava al centro del cuore degli Africani. A ogni sua visita, il calore della loro accoglienza si traduceva, "in danze e canti di fede" di cui le liturgie, in particolare, sono impregnate. Cordialità e spontaneità erano il filo rosso d'una sintonia reciproca. E di gesti spontanei Giovanni Paolo II ne fece molti. L'autore ne ricorda alcuni: la partecipazione improvvisa del Papa a qualche danza, visite a sorpresa a famiglie scelte a caso, con attenzioni affabilissime verso i bambini, a gente povera, ma anche a luoghi non rinomati come l'isolotto di São Tomé, correndo rischi anche per la sua "incolumità fisica".
Giovanni Paolo II rispondeva: "Il Papa non può che ripetere i rischi cui i missionari, i vescovi, i nunzi apostolici vanno incontro quotidianamente". Così facendo, incoraggiava chi soffriva o veniva perseguitato a causa della fede o della carità, come in Sudan e altrove nell'irruzione di tante guerre civili.
Giovanni Paolo II si sentiva "pastore"; a ogni costo, egli voleva rendersi conto delle situazioni; e con questo ruolo, voleva che le Chiese locali da lui visitate, fossero coinvolte in prima persona per il recupero della carità e della pace e la propagazione della fede cristiana. Desiderava che le rispettive gerarchie e anche le rispettive autorità civili cogliessero il suo stile di servizio.
Anche in Africa il "potere" per chi ce l'ha e la voglia nascosta di potere per chi non ce l'ha, possono causare tante sofferenze; forse più che le malattie tipiche di certe zone. E per sottolineare, tali abusi di potere, passati e presenti, causati da presenze coloniali esterne o da modi autoctoni di gestire le democrazie nazionali, Giovanni Paolo II ha compiuto diversi gesti significativi; dalla visita ai "Forti dove si consumava la tratta degli schiavi", alle terre desertiche, per un'acqua mal distribuita, fino a promuovere una Fondazione per l'acqua nel Sahel!
Se le varie povertà suscitano la carità, la fede la domanda; innanzitutto come dialogo tra modi così diversi nel concepire Dio e la religione, presenti nel continente. Essi vanno a toccare l'essenza stessa dell'uomo; e perciò, possono sfociare in posizioni fondamentaliste in cui ognuno rivendica di possedere tutta la verità o l'ultima rivelazione della verità, con la coscienza di doverla difendere fino al martirio.
Il martirio più grande consiste, innanzitutto, nell'ascolto dell'altro e delle sue ragioni religiose e nel manifestargli, poi, le proprie convinzioni. Il dialogo non è mai solo ascolto e accettazione passiva. Il cristiano deve rendere ragione della propria fede. Ed essere convincente. Anche se rischia di venire ucciso. Questo non è fondamentalismo cieco, ma luminosità d'una città posta sopra il monte nel rispetto dell'altro. E porta alla pace intesa come coesione sociale delle diversità anche religiose, anche tribali, anche minoritarie.
Giovanni Paolo II sentiva il divario tra il nord Africa e l'Africa subshariana. L'una, sopraffatta da una maggioranza islamica dopo 7 secoli di cristianesimo, l'altra a maggioranza cristiana o polireligiosa non dinamica - per usare un eufemismo - quanto la prima. Giovanni Paolo II percepiva la profonda influenza delle religioni tradizionali africane e delle culture che ne sono maturate, a monte del cristianesimo e dell'islam; e ne voleva il rispetto. Ma sentiva pure l'imperativo di Cristo, anzi del Figlio di Dio stesso fattosi anche uomo, alfa e omega di ogni rivelazione e di ogni profeta: andate voi cristiani in tutto il mondo e fate vostri discepoli tutti i popoli, predicando, battezzando, eccetera.
Pensando a quanti in Africa non conoscono il Cristo a quanti potrebbero anzi dovrebbero far conoscere il Cristo, Giovanni Paolo II, ha sollecitato dei Sinodi per l'Africa stessa, come coesione di forze autoctone per uno slancio missionario o meglio, per un rilancio della missione nel continente stesso così che il Vangelo raggiunga e, se possibile, penetri nel cuore di ogni africano. Anche in quelle terre dove il cristianesimo è stato fatto sparire. Ma il Vangelo non viene annunciato se chi l'annuncia non lo approfondisce per sé, vivendolo con radicalità.
Il documento "Ecclesia in Africa" - come dice l'autore - sottolinea una mancanza d'approfondimento, di formazione degli operatori pastorali; una carenza d'inculturazione genuina che riviva il messaggio di Cristo senza mai tradirlo.
In sintonia con la cultura africana, si insisteva sulle comunità diocesane come "famiglie di famiglie", purificando il concetto africano stesso di famiglia, arrivando a costruire un Regno di Dio che portasse al risanamento di quelle malattie morali e fisiche, dovuto a un modo errato di gestire i rapporti sponsali, genitoriali, clanistici, tribali, etnici, politici, economici. Facevano sanguinare il cuore del Papa il genocidio consumato in Rwanda e Burundi e altri genocidi a tutti noti!
Il testamento di Giovanni Paolo II, per l'Africa riassume tutte queste istanze, tra dolore e speranza. E l'Africa non poteva che partecipare alla sua agonia e alla sua morte come nessun altro continente.
Le aperture di Giovanni Paolo II non potevano che essere accolte e sviluppate dal suo successore; e lo sta facendo con la promozione di "cantieri di teologia e di solidarietà" che, d'altra parte, non devono svilupparsi che a partire da ciascuna Chiesa locale africana!
Da ciascuna di esse, devono a poco a poco maturare risorse umane, intellettuali ed economiche per una autosufficienza tale che possa in breve diventare dono a chi è o ha ancora meno di loro. Allora la speranza, - a cui accenna l'autore nel capitolo conclusivo - diventa fiducia e coraggio a dispetto della scarsità dei mezzi economici e la non sovrabbondanza delle persone. Fiducia e coraggio delle persone e nelle persone già disponibili a rischiare tutto. Persone pronte a essere adulte; non più "oggetto da assistere o da sostenere" ma "soggetti responsabili" che si slanciano in nuove avventure missionarie innanzitutto nello stesso continente africano là dove il Cristo non è ancora conosciuto o il cristianesimo è stato fatto sparire, là dove non ci sono ancora comunità cristiane e si comincia da zero.

(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2009)

L'«Ecclesia in Africa» alla luce dello spirito di Assisi

di Federico Lombardi

Se non mi sbaglio, fu il cardinale Thiandoum, a Nairobi, nel 1995, nell'ultima tappa del viaggio di Giovanni Paolo II per la presentazione al continente della grande esortazione apostolica "Ecclesia in Africa", a rivolgersi solennemente al Papa per la prima volta con l'appellativo "Jean Paul ii, l'Africain!". Ricordo che ne rimasi molto impressionato. Mi rendevo conto che era difficile per gli africani esprimere più efficacemente e più incisivamente la loro gratitudine per tutto ciò che il grande Pontefice aveva fatto per l'Africa, soprattutto per ciò che egli "era stato" per l'Africa.
Egli era veramente uno di loro, anzi, il più grande di loro.
Ciò non toglieva nulla a quanto Giovanni Paolo II aveva fatto per gli altri continenti, probabilmente si sarebbe potuto dargli altri quattro appellativi analoghi, uno per ogni continente, ma credo che chi sente più profondamente l'importanza del rispetto e della solidarietà da parte dell'altro sia anche capace di una gratitudine più intensa e profonda per chi glieli offre con sincerità e generosità.
Proclamare dunque "Jean-Paul ii, l'Africain!" aveva un sapore tutto particolare.
Che cosa avrebbe potuto fare un Papa per l'Africa più di quanto ha fatto Giovanni Paolo II? Ha voluto visitare ogni Paese, anche se si trattava di piccole isole in mezzo al mare (come São Tomé e Principe), ha voluto intrattenersi con le famiglie africane nelle loro capanne.
Nessun'altra personalità, non solo religiosa, ma anche politica di statura mondiale ha percorso l'Africa così a lungo in ogni parte, ha lanciato tanti appelli in suo favore, le ha parlato con tanta amicizia, ha cercato di darle tanta dignità e speranza.
Questo soprattutto gli africani hanno apprezzato. Troppe volte non solo sono stati sfruttati, ma sono stati anche feriti nella loro dignità da chi si poneva nei loro confronti in atteggiamento - consapevole o meno - di superiorità. Giovanni Paolo II invece non è mai stato per loro lo straniero, ma colui che testimoniava in mezzo a loro e in loro favore la comune e universale dignità di ogni persona umana, di ogni figlio di Dio. E in questo è riuscito spesso a scuotere il torpore della coscienza dell'umanità. Come si può dimenticare la sua riflessione dolorosa e profonda sulla tragedia della schiavitù nell'Isola di Gorée e il suo sguardo verso le onde dell'Atlantico un tempo solcate dalle navi cariche di sofferenza?
Questo libro è un atto di gratitudine e di omaggio da parte di un africano. Troppe sono le azioni e le parole di Giovanni Paolo II per l'Africa per poterle raccontare o anche solo ricordare in un unico libro. Ma anche l'inevitabile incompletezza avrà il valore di uno stimolo. Ognuno di noi, leggendolo, ricorderà probabilmente molte altre cose che si potrebbero aggiungere e concepirà un'ammirazione ancora più grande per questo Papa. Ma soprattutto - speriamo - rifletterà su come continuare, nella Chiesa e nella società, sulle vie aperte da Giovanni Paolo II anche e proprio in rapporto con l'Africa e con il suo futuro.

(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2009)

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