sabato 11 aprile 2009

Mons. Fisichella: Parola chiave Pasqua (Liberal)


Vedi anche:

Notte tranquilla in Abruzzo. Il bilancio sale a 291 morti accertati. Si scava ancora...

Omaggio a Paolo VI: Papa Ratzinger a Brescia

Via Crucis: il Papa unisce il dolore del mondo al dolore di Cristo

Il Papa: "Abbiamo rivissuto la vicenda tragica di un Uomo unico nella storia di tutti i tempi, che ha cambiato il mondo non uccidendo gli altri, ma lasciandosi uccidere appeso ad una croce" (Parole del Santo Padre al termine della Via Crucis)

Le sofferenze del mondo nella Via Crucis del Papa al Colosseo (Marroni)

Venerdì Santo: se Dio esiste, il non credente perde tutto. Predica di padre Cantalamessa nella celebrazione della Passione del Signore (Zenit)

VIA CRUCIS 2009: MEDITAZIONI E PREGHIERE DI MONS. THOMAS MENAMPARAMPIL

Predica per il Venerdì Santo di padre Cantalamessa: “Fino alla morte, e alla morte di croce”

Il Papa, scalzo a San Pietro, adora la Croce ed ascolta una invettiva sul profitto (Izzo)

Benedetto XVI si inginocchia scalzo alla croce in San Pietro

Via Crucis: Gesù continua a soffrire e morire anche oggi (AsiaNews)

Migliaia di persone hanno partecipato ai funerali mentre le scosse di terremoto continuano (Osservatore Romano)

Funerali all'Aquila. Il Papa: Dio doni a tutti il coraggio di continuare a sperare. Card. Bertone: Gesù crocifisso trasformi questa morte in amore

La Sacra Sindone, storia del testimone silenzioso della Resurrezione (Zaccone)

Il Papa nella Messa in Coena Domini: «Questa è l’ora dell’amore donato senza limiti» (Muolo)

Il messaggio di Benedetto XVI in occasione dei funerali delle vittime del sisma in Abruzzo

Anno Sacerdotale, Mons. Bagnard: Giovanni Maria Vianney, la santità che nasce nell'oblio del mondo (Osservatore Romano)

Stamattina i funerali delle vittime del sisma in Abruzzo. Bilancio: 287 morti accertati. Il Presidente Napolitano striglia i media: «Non rompete!»

FESTIVITA' PASQUALI 2006-2009: LO SPECIALE DEL BLOG

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DEL SANTO PADRE AI VESCOVI CATTOLICI SULLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA AI QUATTRO VESCOVI "LEFEBVRIANI"

Parola chiave Pasqua

di Monsignor Rino Fisichella

[11 aprile 2009]

Pasqua: un nome antico e sempre nuovo.
Antico per la sua origine; nuovo perché porta con sé la speranza racchiusa nel cuore di ogni uomo. L'antico popolo di Israele la celebrava come ricordo della liberazione dalla schiavitù, un nuovo popolo, quello dei cristiani, fa memoria del mistero di amore di Gesù di Nazareth. Questo termine è carico di significato e condensa in sé una storia che ha segnato intere generazioni, portando a pieno sviluppo una promessa che era stata annunciata come sorgente di genuina liberazione.
Perché, in effetti, se ognuno riflette sulla propria esistenza giunge a comprendere che ha bisogno di fare esperienza di libertà come di una liberazione. Il popolo di Israele viveva l'esperienza della schiavitù in Egitto. Non fu l'unica, ma quella era paradigmatica per la sua storia. Con «forti grida» aveva fatto sentire la sua voce a Dio perché lo liberasse. E Dio ascoltò la sua voce. Non gli uomini avrebbero liberato dalla schiavitù egiziana, ma solo Dio. Passò l'angelo sterminatore - come racconta il libro dell'Esodo - per convincere il faraone a lasciare partire il suo popolo; venne immolato ogni primogenito d'Egitto, ma neppure un figlio di Israele perì. L'angelo aveva «colpito» l'Egitto, ma aveva «saltato» le case degli israeliti. Questa esperienza fu chiamata pasqua; pashâ nella lingua aramaica per indicare il passaggio di Dio che libera e che salva. Da quel giorno, la notte di luna piena dell'equinozio di primavera, si celebra la liberazione con l'offerta di un agnello o capretto maschio, senza difetto, a cui non si deve spezzare alcun osso, mangiato in fretta con erbe amare e pane azzimo. Il rito ha sempre bisogno di segni per indicare una realtà più profonda che da questi viene evocata.
La stessa cena pasquale venne celebrata da Gesù con i suoi discepoli. In quella notte si compì la promessa antica di una nuova liberazione: dalla schiavitù della morte. Gesù chiedeva ai suoi apostoli di ricordare i segni che compiva: spezzava il pane perché lo mangiassero e distribuiva la coppa di vino perché lo bevessero. Le parole che pronunciava in quel cenacolo rimarranno per sempre come testamento del suo amore fino alla fine dei tempi. «Questo è il mio corpo offerto », «questo è il mio sangue versato», parole che i discepoli non riuscivano immediatamente a capire; il loro significato sarebbe diventato chiaro tre giorni più tardi. Nel cenacolo Gesù diventava il vero agnello che si doveva immolare, l'unico che Dio avrebbe accettato per restituire la vita a ogni persona che avrebbe creduto nel suo Figlio. Nel mistero dell'eucaristia si celebra la pasqua dei cristiani. Storicamente, il giovedì santo diventa l'inizio del passaggio che dovrà attestare per Gesù l'accoglienza della volontà del Padre fino al dono completo di sé. La sera, nel giardino degli ulivi il Figlio si mette davanti al Padre chiedendogli di liberarlo dalla morte; accetta però la sua volontà e si offre agli uomini per essere condotto sul Golgota.
Il venerdì santo l'amore che Gesù aveva annunciato diventa visibile nella sua crocifissione; l'innocente innalzato sulla croce diventa vera icona di come ama Dio: dando tutto ciò che ha. Qui comincia la storia di un amore che inonderà il mondo fino ai nostri giorni e non lo abbandonerà più. L'agnello innocente, a cui non viene spezzato nessun osso, alla stessa stregua dell'agnello antico, viene immolato per redimere l'umanità dalla disobbedienza del primo uomo. Il sacrificio diventa un dare tutto se stesso senza nulla chiedere in cambio. Gesù si dona al Padre che lo «abbandona» nell'atto estremo di rendere evidente il suo amore: dare tutto, senza trattenere nulla per sé. Solo Dio poteva offrire un segno d'amore come questo; ecco perché il mondo lo ha compreso subito come il punto oltre il quale non si può andare. Amare significa darsi, compiere il passaggio da sé alla persona amata, accoglierla in sé completamente perché ci si è svuotati totalmente. Tutto questo avveniva il 14 del mese di Nisan, la notte di luna piena dell'equinozio di primavera.
Il vero nome di pasqua, tuttavia, lo si coglie la domenica, di mattina presto, quando le donne vanno al sepolcro scavato nella roccia dove Gesù era stato frettolosamente sepolto, e lo trovano vuoto. Anche in questo caso, un angelo è presente per dare l'annuncio: «Non è qui. Voi cercate tra i morti colui che è vivo». Povere quelle donne! Dice l'evangelista che «fuggirono atterrite», non potevano neppure dire che era «risorto»; il verbo non esisteva, nessuno sapeva di cosa si trattava ... la prima reazione fu quella di pensare che avessero rubato il cadavere. Pietro e Giovanni corsero per verificare di persona, ma la tomba era davvero vuota. In quel luogo si era compiuta la pasqua, il passaggio dalla morte alla vita. Mai come in quel caso pasqua raccoglieva in sé tutto il suo valore e il suo significato: Dio era davvero passato di persona e aveva risuscitato suo Figlio dal sonno della morte. Il verbo greco dice: egheghertai, cioè ha ripreso la posizione del vivo e gli effetti di questo risveglio sono verificabili fino ai nostri giorni. È pasqua ciò che noi attendiamo e celebriamo; ciò significa credere che Dio è fedele e non ci abbandona nella morte. Oggi ci viene data la certezza che come per Cristo così anche per ciascuno di noi che crediamo in lui ci sarà il risveglio per la vita nuova. Non potremmo vivere senza pasqua, per questo la celebriamo ogni domenica, per dire a noi stessi che il mistero di cui viviamo è vero e reale. Questa speranza è diventata annuncio, testimonianza, letteratura, arte, musica ... viene espressa in tutto ciò che la mente riesce a comporre per dire a tutti che se si ama la morte è vinta e dinanzi a noi c'è solo e per sempre la vita.

© Copyright Liberal, 11 aprile 2009 consultabile online anche qui.

Nessun commento: