giovedì 7 maggio 2009
I nuovi guardiani del Papa tra fede e nostalgia di casa (Ambrogetti)
Vedi anche:
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PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE IN TERRA SANTA: LO SPECIALE DI MISSIONLINE
PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009): LO SPECIALE DEL BLOG
Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
l'intervista
I nuovi guardiani del Papa tra fede e nostalgia di casa
Il comandante degli Svizzeri: un servizio unico che fa crescere i giovani
Angela Ambrogetti
ALLE 7 DI MATTINA la basilica di San Pietro è quasi deserta.
Tranne il 6 maggio.
Ogni anno una trentina di ragazzi svizzeri cattolici, celibi, sotto i 30 anni partecipano alla messa nelle loro sfolgoranti divise. Si preparano a offrire la loro vita al servizio del Romano Pontefice. La data è quella del Sacco di Roma quando 147 soldati elvetici difesero il Papa con la vita. Dopo la messa, l'omaggio ai caduti e il giuramento nel Cortile di San Damaso davanti ai vertici della Segreteria di Stato.
Le reclute, gli alabardieri, giurano sulla bandiera del corpo, nel segno della Trinità. Per tutta la vita, anche se la maggior parte di loro rimane in Vaticano solo un paio d'anni. Qualcuno magari ritorna per diventare comandante dei poco più di 110 militi.
Come è successo a Daniel Anrig, attuale guida della Guardia Svizzera Pontificia. Trentasette anni, è tornato in Vaticano il primo dicembre del 2008, con la moglie Bernadett e quattro figli, e alle spalle una brillante carriera militare. Riservato e discreto, il 34° comandante della Guardia ha le idee chiare. «In una società versata all'individualismo - ha detto nella privatissima cerimonia di insediamento - la vita di comunità del "quartiere degli svizzeri" può offrire a tutti noi un'esperienza unica».
Tornare come comandante dopo 15 anni che effetto fa?
«Come alabardiere si vive un'esperienza speciale nel servizio al Papa, e in caserma c'è molto cameratismo. È davvero molto bello. Come comandante la cosa è diversa. Si perde un po' il senso della vita comune tra camerati. Diventi responsabile di un Corpo, della disciplina, dello svolgimento del servizio. Ci sono problemi da affrontare e risolvere, ma non ho trovato grandi cambiamenti nell'atmosfera generale. Certo il mio compito è totalmente cambiato. Ho studiato Giurisprudenza, una buona base di preparazione per la carriera militare, e per imparare a gestire la disciplina. Poi sono entrato nella Polizia Giudiziaria del mio cantone e sono diventato capo della Polizia Cantonale che si occupa non solo di crimini ma anche di sicurezza».
Come è cambiata la Guardia?
«Negli ultimi 15 anni, il periodo della mia assenza, credo che il cambiamento più significativo sia dovuto alla facilità delle comunicazioni. Oggi i giovani che arrivano in Vaticano non sono più così capaci di prendere le distanze da casa, dalla famiglia, dalle abitudini. Quando sono arrivato io vivevo al cento per cento la vita della Guardia. Non mi interessava "restare a casa". Ero qui per un'esperienza e un servizio speciale, meraviglioso. Oggi con internet, i cellulari, è fin troppo facile mantenere le solite abitudini. In questo ci sono aspetti positivi e negativi. Poi, in questi ultimi anni, la Guardia si è adeguata velocemente alle nuove necessità di sicurezza. È facile cambiare e aggiornare i metodi di lavoro. Sarebbe più grave dover cambiare lo spirito del servizio».
Ai ragazzi che giurano oggi cosa consiglia?
«Li invito a non concentrarsi solamente sul lavoro e sulla carriera personale. Attraverso tutte le esperienze che ci sono offerte arricchiamo la nostra vita. Il giuramento è un segno importante per i giovani e per il mondo, per rafforzare la fedeltà che la GSP ha verso il Santo Padre».
E il suo rapporto con il Papa?
«In servizio mi concentro più su quello che succede attorno al Papa piuttosto che su quello che fa il Papa. Il mio impegno è curare la sua sicurezza personale. Naturalmente poi approfitto della presenza del Santo Padre quando non devo concentrarmi sul servizio, e fortunatamente ci sono anche questi momenti, incontri davvero belli».
E la famiglia?
«Non si può essere un buon comandante senza una buona moglie. È la condizione per affrontare bene il lavoro. È anche grazie a mia moglie che posso fare questo servizio». angela ambrogetti
© Copyright Il Secolo XIX, 6 maggio 2009
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