lunedì 11 maggio 2009

Il Papa: «Serva della violenza la religione è sfigurata» (Bobbio)


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«Serva della violenza la religione è sfigurata»

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nostro servizio

Alberto Bobbio

Amman (Giordania)

Entra nella moschea dedicata alla memoria di re Hussein, sulla collina più alta di Amman.
Ammira il museo hashemita che possiede una collezione straordinaria di memorie della dinastia che regna in Giordania. È la seconda volta che Papa Ratzinger entra in una luogo di culto islamico dopo la memorabile visita alla Moschea Blu di Istanbul nel 2006. È la terza volta che un Papa visita una moschea, se si considera quella di Giovanni Paolo II nella moschea di Damasco nel Duemila.
Benedetto XVI non si toglie le scarpe e nemmeno lo fa il principe Ghazi Bin Talal, cugino di re Abdallah, suo consigliere per le questioni religiose.
Il principe è una delle 138 personalità religiose che firmarono nel 2007 il messaggio degli ulema e intellettuali islamici al Papa sulla pace nel mondo e il ruolo delle religioni.
È un uomo impegnatissimo nel dialogo tra islam e cristianesimo, che in Giordania procede spedito ed è esempio per tanti altri Paesi dell'area.
Il Papa si ferma un attimo davanti al Mihrab, orientato verso la Mecca, in «raccoglimento», spiegherà poi padre Federico Lombardi portavoce della Santa Sede, «come segno di rispetto della fede e della preghiera di tanti che nella moschea si raccolgono davanti a Dio». Sul pavimento hanno steso pesanti stuoie per ricoprire i tappeti e permettere al Papa e ai suoi accompagnatori musulmani di camminare con le scarpe.
Poi all'esterno, il principe Ghazi in un lungo discorso in inglese fa il punto sullo stato dei rapporti tra Islam e cristianesimo tre anni dopo il famoso discorso di Ratisbona.
Comincia in modo tradizionale con «la pace sia con voi», ma lo dice in arabo e in latino: «Pax Vobis».
Ringrazia il Papa per i «chiarimenti» seguiti al discorso di Ratisbona, denuncia che in Occidente vi sono troppe «interpretazioni sbagliate» dell'Islam, ma aggiunge che anche ai musulmani spetta spiegare «i veri valori della propria fede» e assicura circa l'impegno da parte dei musulmani giordani di portare avanti il dialogo con la Chiesa cattolica.
E al termine loda il Papa per il suo «coraggio» a prendere anche «decisioni controcorrente», definendo il suo pontificato «marcato dal coraggio morale di dar voce e di tenere fede alla propria coscienza, indipendentemente dalla moda del giorno».
Sorprendono le parole del principe hashemita quando definisce «storiche» le due encicliche di Papa Ratzinger sull'amore e la speranza e soprattutto quando ricorda il suo coraggio anche per aver «liberalizzato la tradizionale messa in latino per coloro che la seguono».
Benedetto XVI ringrazia per gli sforzi del governo e della corona giordana nel dialogo interreligioso «esempio incoraggiante e persuasivo per la regione» e per «il mondo» e «contributo positivo e creativo che la religione può e deve dare alla società civile».
Contesta chi sostiene che «la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo» e chi ritiene che «quanta minore attenzione viene data nella sfera pubblica alla religione, tanto meglio è».
Ammette l'esistenza «purtroppo» di «tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose», ma fa rilevare che spesso è la «manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici» a fare da «catalizzatore non di rado anche nelle violenze nelle società». Musulmani e cristiani insieme devono opporsi a chi tenta non solo di «tacitare la voce della religione», ma anche di «sostituirsi a essa», dando testimonianza in modo coerente «di tutto ciò che è giusto e buono, memori della comune origine e dignità di ogni persona umana».
Non cita mai il suo discorso di Ratisbona, ma ne riprende i concetti circa «il potenziale della ragione umana» nella sfida di coltivare «il bene nel contesto della fede e della verità»: «Sappiamo che la ragione umana è essa stessa dono di Dio». E quando, rimarca il Papa, «umilmente consente a essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita», anzi viene «rinvigorita nel suo nobile scopo di servire l'umanità».
Cristiani e musulmani insieme devono impegnarsi, secondo Benedetto XVI, a «cercare ciò che è giusto e retto», a «oltrepassare gli interessi particolari», a «incoraggiare gli altri», in particolare modo «i leader sociali» a «perseguire il bene comune anche a spese personali».
In mattinata il Papa nella città di Madaba, appena sceso dal monte Nebo, un'antichissima città cristiana citata anche nella Bibbia, benedicendo la prima pietra della futura università cattolica giordana, aveva osservato che ogni «religione può corrompersi», denunciando che la «religione viene sfigurata quando è costretta a servire l'ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l'abuso».
Eppure qui, ha precisato il Papa, «non vediamo solo la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana e il restringersi della mente». È per questo motivo che è importante l'educazione. È una tema sul quale il Papa ha più volte espresso le sue preoccupazioni. Nella nuova Università cattolica, come avviene sempre in Medioriente, studieranno insieme cattolici e musulmani e ciò è un «passo per lo sviluppo personale e per la pace e il progresso nella regione», ma servirà anche a «disperdere l'ignoranza, il pregiudizio e a spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove».

© Copyright Eco di Bergamo, 10 maggio 2009

Leggo:

Sorprendono le parole del principe hashemita quando definisce «storiche» le due encicliche di Papa Ratzinger sull'amore e la speranza e soprattutto quando ricorda il suo coraggio anche per aver «liberalizzato la tradizionale messa in latino per coloro che la seguono».

Perche sorprendono? Anche io penso che si tratti di documenti e decisioni storiche (insieme ad altri ed a altre...).
R.

1 commento:

azzeccagarbugli ha detto...

forse il giornalista è sorpreso dal fatto che parole come quelle dette dal principe hashemita non si sentano spesso a casa nostra e che le dobbiamo ascoltare da una persona di diversa cultura e religione.