venerdì 10 luglio 2009

Il “cattolico” Obama (Marilisa Palumbo)


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Il “cattolico” Obama

Marilisa Palumbo

Incontrando la stampa cattolica prima di partire per Mosca, Barack Obama ha parlato per la prima volta del suo colloquio telefonico con papa Benedetto dopo le elezioni. «Una conversazione meravigliosa», l’ha definita.
Parole di circostanza, si dirà, ma c’è di più.
Apparentemente, i due leader che si incontreranno oggi pomeriggio in Vaticano non si potrebbero immaginare più diversi.
Il presidente americano viene dalla scuola filosofica americana del pragmatismo, lontanissima dall’approccio della chiesa cattolica. Eppure, con i dovuti distinguo, come Ratzinger è un intellettuale.
«Hanno preoccupazioni simili e probabilmente simili interessi intellettuali.
Non mi stupirei se arrivassero alle stesse conclusioni pur partendo da punti di vista diversissimi », ci dice Paul Baumann, direttore di Commonweal, una delle riviste più influenti del cattolicesimo liberal americano.
Senza contare quanto la biografia di Obama lo avvicini alla chiesa cattolica. «È indubbio che il presidente abbia un legame particolare e sia sempre stato affascinato dal cattolicesimo – nota E.J. Dionne, columnist della Washington Post e autore di Souled Out: Reclaiming Faith and Politics After the Religious Right –. Il suo primo lavoro come community organizer era finanziato dalla Catholic campaign for human developement, la sua sede era nel seminterrato di una chiesa cattolica».
Una fascinazione personale, quindi, in particolare per il cattolicesimo sociale. Lo stesso Obama ha raccontato più volte quanto abbiano contato per lui in quel periodo i discorsi sulla giustizia sociale dell’allora cardinale di Chicago Joseph Bernardin.
«Penso ci sia una forte tradizione di giustizia sociale nella chiesa cattolica che ha avuto una profonda influenza su di me», ha detto Obama nel colloquio con la stampa cattolica. Baumann, che era tra i giornalisti selezionati, racconta di aver avuto l’impressione di un presidente molto familiare con gli insegnamenti della chiesa e di un uomo che ha avuto esperienze positive nel lavorare con le parrocchie sui temi della povertà e del razzismo. «Mi sembra che capisca molto bene quali sono le cose che interessano ai cattolici», afferma il direttore di Commonweal. Non è un caso che, come dice Dionne, in campagna elettorale Obama abbia saputo parlare loro meglio di qualsiasi politico democratico del passato recente. E ne ha conquistato la maggioranza, ottenendo un risultato di sette punti superiore a quello di John Kerry nel 2004.
«Naturalmente – spiega il columnist del Post – parte di questo sostegno non ha nulla a che vedere con il credo ma si spiega con il trend nazionale di scontento per il disastroso stato dell’economia, ma non solo di questo si è trattato». «La mia lettura del voto cattolico – prosegue Dionne – è che è per un 40 per cento è solidamente democratico, per un 40 repubblicano, ma c’è un grosso 15-20 per cento che è volatile. Bene, Obama è molto attento a quel segmento che può cambiare posizionamento di elezione in elezione: lo si vede da tutte le cose che fa».
Al presidente, aggiunge Baumann, sono molto chiare anche le divisioni all’interno della comunità cattolica americana: «È consapevole di quanto i cattolici liberal siano eccitati da questa amministrazione e di quante speranze ripongano nella creazione di un dialogo proficuo con il Vaticano. Ma sa che i cattolici conservatori, d’altra parte, sono molto scettici e preoccupati dal fatto che l’amministrazione possa instaurare ottimi legami con la Santa sede».
E non è un caso che ci sia marcato nervosismo tra i cattolici pro-life per il fatto che il papa abbia addirittura accettato un inusuale incontro pomeridiano pur di vedere il presidente.
L’American Life League (All), la più grande organizzazione pro-life degli Stati Uniti, ha scritto una petizione per “avvertire” il pontefice delle vere posizioni di Obama sull’aborto.
Alla All, come ad altre organizzazioni simili, non è andata giù nemmeno la nomina ad ambasciatore in vaticano di Miguel Diaz, considerato troppo tiepido nell’opposizione ai matrimoni omosessuali e all’aborto, una nomina che invece sembra essere stata la chiave del buon avvio delle relazioni tra Washington e Oltretevere.
«C’è una grande differenza tra l’atteggiamento del Vaticano nei confronti di Obama e quello della parte più “rumorosa” e conservatrice della chiesa cattolica americana», spiega Dionne, che all’incontro di oggi pomeriggio ha dedicato una column sulla Washington Post nella quale scrive che il nunzio papale a Washington, l’arcivescovo Pietro Sambi, ha privatamente “ripreso” i vescovi americani avvertendoli che i duri attacchi al presidente rischiano di far sembrare la chiesa troppo partigiana.
E spesso viene anche sopravvalutato il peso della gerarchia ecclesiastica più intransigente.
Prendiamo il “caso Notre Dame”, la prestigiosa università cattolica che a maggio ha causato enormi polemiche e la pubblica abiura del vescovo locale per aver conferito una laurea ad honorem ad Obama. Molte ricostruzioni fanno notare come una maggioranza silenziosa dei vescovi statunitensi non abbia espresso alcuna condanna, almeno in pubblico.
Tornando a oggi, è probabile che nella dichiarazione finale della santa sede ci siano riferimenti alle divisioni sul tema dell’aborto e della ricerca sulle staminali, ma è ancor più probabile che si sottolineeranno i tanti terreni di convergenza. A partire dalla lotta alla povertà e dal governo della globalizzazione, dopo un’enciclica che, come scrive Dionne, «mette il papa ben a sinistra di Obama sui temi economici».
Ma non solo.
Secondo il direttore di Commonweal, Obama potrebbe e dovrebbe usare questo incontro per fare del papa un alleato vitale in quella che è una delle sue battaglie più sentite: il disarmo. «Obama – nota Baumann – è forse il primo presidente a parlare di eliminazione degli arsenali nucleari.
È una issue che sta molto a cuore al papa e che però va un po’ contro l’opinione comune: a maggior ragione la chiesa potrebbe rivelarsi un compagno di strada importantissimo per l’amministrazione».

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