mercoledì 8 luglio 2009
Presentata la «Caritas in veritate»: L'enciclica più attesa (Osservatore Romano)
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Presentata la «Caritas in veritate»
L'enciclica più attesa
Sala stampa affollata come nelle grandi occasioni per la presentazione della Caritas in veritate, l'enciclica sociale di Benedetto XVI. Oltre duecento inviati di testate internazionali, una ventina di emittenti televisive, altrettante radiofoniche, decine di fotografi, cardinali, arcivescovi e vescovi in prima fila oltreché al tavolo della presentazione. Senza ombra di dubbio la Caritas in veritate un record lo ha già stabilito: è l'enciclica più attesa della storia recente della Chiesa.
Attesa non solo in ordine di tempo di pubblicazione - della sua uscita si parlava ormai da quasi due anni - ma anche per quanto riguarda i contenuti, nonostante le indiscrezioni dei media - "a volte molto fantasiose" come ha detto proprio questa mattina monsignor Crepaldi - e i numerosi accenni fatti dal Papa stesso in varie occasioni.
Sta di fatto che questa mattina, martedì 7 luglio, l'aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, era gremita. I cardinali Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor unum, l'arcivescovo-vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, sino alla vigilia segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all'università di Bologna, hanno presentato ufficialmente l'enciclica.
Dei loro interventi preordinati pubblichiamo ampie sintesi in questa pagina.
Tuttavia le domande poste successivamente dai giornalisti presenti hanno chiamato i relatori a ulteriori approfondimenti su alcune questioni: le più ricorrenti quelle relative alla possibile identificazione dell'enciclica come pro o contro il capitalismo, all'individuazione delle organizzazioni internazionali da rifondare come destinatarie del documento papale, ai motivi che avrebbero indotto a non citare mai l'indebitamento dei Paesi più poveri, le situazioni di guerra, ai possibili presupposti etici del capitalismo, sino all'evoluzione complessiva dell'enciclica.
Alternandosi, i relatori hanno sostanzialmente ribadito intanto che nessun documento pontificio si può considerare pro o contro qualcosa o qualcuno. Dunque non sarebbe corretto definire questa enciclica più o meno anticapitalista; e ciò non cambia anche se nel testo non si usa mai la parola capitalismo. Secondo Zamagni il documento è da interpretare come un qualcosa che invita ad andare oltre queste categorie. Così come non si parla esplicitamente di Paesi indebitati perché - come ha sottolineato il cardinale Cordes - il Papa chiede di cambiare quelle regole finanziarie che inducono l'indebitamento dei Paesi poveri: abbattere i loro debiti rientrerebbe nella logica degli interventi umanitari per l'immediato, i quali non risolvono il problema di fondo. Inutile dunque continuare a chiedere l'abbattimento del debito se non si cambiano le regole; se così non fosse dopo un certo numero di anni si ripresenterebbe la situazione dell'indebitamento.
In questo senso la richiesta anche di una riforma delle Nazioni Unite. L'enciclica - ha spiegato il cardinale Martino - non chiede un supergoverno mondiale. Ma non lo chiede neppure la Santa Sede quando auspica un cambiamento dell'Onu, "invocandone anzi una maggiore autorità e una maggiore rappresentatività". Un atteggiamento - ha fatto notare monsignor Crepaldi - non nuovo nella storia della Chiesa "poiché già Giovanni XXIII, prima di scrivere la Pacem in terris, auspicò proprio un cambiamento nelle organizzazioni internazionali".
Quanto alla genesi dell'enciclica è stato spiegato che la stesura non ha richiesto più di due anni di lavoro. Per quanto riguarda il sopraggiungere della crisi economico-finanziaria "quello che è accaduto - ha spiegato il cardinale Martino - era stato definito come possibile se le cose non fossero cambiate. E non sono cambiate. E avrebbero detto che l'encliclica sarebbe stata profetica".
(mario ponzi)
(©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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