lunedì 28 settembre 2009

Andrea Riccardi: "Il Papa non si lascia tirare per la giacca" (Galeazzi)


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Riccardi: non è avulso, né estraneo a chi incontra

Andrea Riccardi (storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio), il Papa a Praga fa il «tagliando» all’Europa a vent’anni dalla caduta del Muro?

«Benedetto XVI sente che la sua missione è parlare al cuore e alla ragione d’Europa. La battaglia di Wojtyla era rivolta all’Est comunista, la sua è impedire che il vecchio continente perda il suo sapore cristiano ed esca dalla storia per irrilevanza. Ratzinger non punta a un nuovo imperialismo, ma affida all’Europa una missione vitale di fede e umanesimo».

Il colloquio con Berlusconi alla partenza per Praga ha fatto discutere. Franceschini lo definisce un semplice saluto (“gli incontri importanti non avvengono davanti alle telecamere”), Di Pietro una “furbata del premier”. Qual è la sua opinione?

«Il Papa non si fa strumentalizzare, né tirare da una parte o dall’altra. Poi, certo, Ratzinger stringe la mano, ti fissa negli occhi, ma guarda lontano. Sa parlare al mondo, e in questi colloqui tocca problemi generali. Benedetto XVI non è l’uomo della cronaca, però non è avulso né estraneo alle persone che incontra. Non sta sull’ultimo avvenimento ed è concentrato sulle correnti profonde della storia. Come papa e come uomo, però, non è strumentalizzabile, non si fa coinvolgere in strategie altrui. Non è prigioniero del momento, mira oltre la situazione contingente per spingere a quello che conta, difendere i principi non negoziabili e comunicare il Vangelo».

E’ un Papa che teme il progresso scientifico?

«No. Vuole unire la scienza e l’economia all’umanesimo e al valore dell’elemento umano che non si compra e vende sul mercato. Il suo messaggio è un orizzonte unitario. Per questo scrive libri su Gesù, la porta d’accesso a tutto è l’annuncio, la passione cristiana. Sia parlando pubblicamente al mondo accademico sia conversando privatamente con un capo di governo, non lo preoccupa negoziare posizioni o fissare paletti, ma proporre la sua testimonianza. Non è un crociato, sa di parlare a società fortemente secolarizzate. Però è consapevole che a cercare di spingere Dio fuori dall’Europa sono stati il nazismo e il comunismo ieri e oggi la ricerca selvaggia del profitto. Non a caso ha scelto Praga per lanciare il suo monito e non Cracovia o Budapest».

Perché?

«Le contraddizioni dell’angolo più secolarizzato d’Europa consentono a Ratzinger di dimostrare quanto le questioni di fede e la dimensione spirituale incidano sulla qualità della vita. Lui chiama alla responsabilità, alla cooperazione internazionale contro la crisi, avverte che i destini sono legati e pone istanze a nome della Chiesa. Per questo ha voluto un incontro ecumenico a Praga: per dire che la costruzione del futuro non può riguardare solo l’economia e la politica».

E' troppo teologo e poco pastore?

«E’ un Papa teologo ma appassionato all’umano. Dopo la caduta del Muro, anche Ratzinger come Wojtyla, si è subito preoccupato della giustizia sociale e non ha mai pensato che bastasse il mercato per garantire la democrazia, la libertà e lo sviluppo. Non lo hanno mai sfiorato il provvidenzialismo mercatista e la cieca fiducia nell’accumulo della ricchezza che si autogoverna, come dimostrano i forti messaggi lanciati a Praga e l’enciclica sociale. Benedetto XVI si appella all’amore, al rispetto per l’altro e guida la Chiesa sulla strada del dialogo per favorire l’intesa tra diverse culture, tradizioni e sapienze religiose».

Qual è il senso dell’incontro a Praga con le altre confessioni?

«Confrontarsi con esponenti di diverse Chiese, comunità ecclesiali e religioni è già un gran segno di pace. Serve a parlare con realismo, a guardarsi in faccia, a superare le distanze, a fronteggiare l’allontanamento di Dio dalla vita dell’uomo. Incontrarsi non risolve miracolosamente i problemi, ma crea una prospettiva nuova per vederli. Trent’anni fa si pensava che magicamente le secolari lacerazioni tra cristiani si sarebbero composte, adesso sappiamo che serve gradualità. E Benedetto XVI punta su un comune sentire, rifiuta la religione come pretesto per la violenza e indica la via del vivere insieme»

© Copyright La Stampa, 28 settembre 2009 consultabile online anche qui.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Riccardi dice nell'ultima risposta:

Trent’anni fa si pensava che magicamente le secolari lacerazioni tra cristiani si sarebbero composte, adesso sappiamo che serve gradualità.

Ohhh! La ragione inizia a far capolino! Si riconosce che dopo il concilio s'è presa una "sbornia ecumenista" secondo la quale sarebbe bastato incontrarsi, sbacciucchiarsi e abbracciarsi (davanti a fotografi e tetecamere), o scambiarsi l'anello, per risolvere i "problemi". Oggi finalmente si sta capendo che ci vuole altro.

Verrà un giorno che si capirà che non ci sono neppure "problemi", o meglio, che ciò che viene definito tale è in realtà il rifiuto della dottrina cattolica da parte dei "fratelli separati". I problemi si risolveranno quando chi nega la verità e la impugna, la accetterà e la servirà. In parole povere quando chi se n'è allontanato rientrerà nell'ovile.

Antonello.

Anonimo ha detto...

Finalmente qulacuno inizia a capire

euge ha detto...

Con la teoria del
" VOLEMOSE BENE " in questi anni non siamo andati da nessuna parte. Per iniziare un dialogo serio, bisogna partire dalle proprie differenze e su quelle dialogare con rispetto e reciprocità; cosa che non è mai avvenuta. Le pacche sulle spalle hanno portato più danni che altro e adesso Benedetto XVI ha un gran compito non facile da portare avanti.
Qualcuno comincia a capire? Lo spero e mi auguro che non sia solo un fuoco di paglia.