domenica 27 settembre 2009

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Alberto Bobbio

Praga
Nell'aeroporto dove quarant'anni fa i carri armati sovietici scaldavano i motori prima di andare all'arrembaggio della città, che aveva messo in scena la «Primavera» più evocata e più tragica della storia recente dell'Europa, Benedetto XVI inizia un viaggio che già nel primo giorno mette in fila memoria e indicazioni per il futuro. C'è il ricordo della «Rivoluzione di velluto», che ha posto fine alla repressione comunista, ma c'è anche la preoccupazione di un uso «corretto» della libertà. C'è il richiamo alla identità della nazione, ma anche quello all'Europa, «casa» dei popoli del continente, particolarmente significato nel Paese forse più euroscettico tra i 27 che siedono a Bruxelles.
Ratzinger percorre sulla bianca auto panoramica la capitale della Repubblica Ceca, di qui e di là del ponte Carlo, dal castello alla cattedrale di San Vito, osservato con curiosità da una città un po' indifferente. E non sono i gesti a fare la differenza, ma le parole. All'aeroporto ammette che questo crocevia di popoli e tradizioni ha talvolta causato «frizioni». Qui è nato Hus, il riformatore boemo finito sul rogo a Ginevra nel 1411, per cui già Giovanni Paolo II chiese perdono; qui la storia culturale e religiosa d'Europa è diventata a volte «campo di battaglia». Il Papa non nega niente, ma spiega che «più spesso» queste terre sono diventate «un ponte».
Poi affronta subito l'anniversario per il quale è venuto al centro dell'Europa: la caduta del Muro di Berlino e la «Rivoluzione di velluto». Furono quei fatti che permisero ai Paesi dell'Europa centrale e orientale di «assumere quel posto che spetta a loro nel consesso delle Nazioni in qualità di nazioni sovrane». Il Muro di Berlino ha segnato «uno spartiacque nella storia mondiale», fu una «tragedia» per la Chiesa, che vide la sua voce messa «a tacere». Si trattò di una repressione politica il cui «costo non si deve sottovalutare».
L'analisi del Papa è precisa. Lo dice subito all'aeroporto e lo ripete per due volte, prima nell'incontro con il corpo diplomatico e poi, alla sera, nella cattedrale di San Vito durante i Vespri. Ricorda gli indomiti cardinali di Praga Beran e Tomasek, il primo perseguitato dai nazisti e dai comunisti, morto a Roma quarant'anni fa e di cui è in corso la causa di beatificazione; il secondo che ha tenuto dritta la barra di una Chiesa oppressa dopo la «Primavera» di Alexander Dubcek. Ricorda l'eroismo dei testimoni e spiega che solo in un «legame profondo con Cristo» è possibile avere tale energia. Ma da quella lezione Ratzinger ne trae una nuova, che va bene per la situazione attuale.
Ecco il richiamo all'uso «corretto» della libertà, in una società che «reca ancora le ferite causate dall'ideologia atea», ma «spesso è affascinata dalla moderna mentalità del consumismo edonista», che porta a una «pericolosa crisi di valori umani e spirituali» e alla «deriva di una dilagante relativismo etico e culturale»: «La verità del Vangelo è indispensabile per una società prospera».
Va a rendere omaggio al «Bambino Gesù» di Praga, piccola statua di legno e di cera, simbolo del culto millenario di queste terre per l'infanzia di Cristo, e spiega che la deriva oggi colpisce famiglie e bambini e l'intera società quando non si capisce che in ogni uomo si vede «il Figlio di Dio». Sono parole incisive, taglienti, appello accorato all'intera umanità: «Ogni essere umano è da accogliere e rispettare. Possa la nostra società comprendere questa realtà!». Pensa ai bambini, «vittime della violenza», dello «sfruttamento di persone senza scrupoli», pensa a ogni essere umano «senza distinzione di razza e di cultura», perché nei loro volti «brilla l'immagine di Dio».
L'altra preoccupazione è per l'Europa. Non è molto popolare parlare di Europa a Praga. Ma il Papa non si fa scrupolo e svolge la sua lezione. Lega la questione all'«euforia» seguita alla «Rivoluzione di velluto» e osserva che quel processo di «risanamento e ricostruzione continua», ma adesso «all'interno del più ampio processo di unificazione europea e di un mondo sempre più globalizzato». Lo chiedeva chi lottava per la libertà, reclamando «nuovi modelli nella vita pubblica e di solidarietà tra popoli e nazioni». Oggi quella libertà conquistata «presuppone la ricerca della verità, del vero bene». Insomma è compiuta, ammonisce Benedetto XVI, se porta a «conoscere e a fare ciò che è retto e giusto».
Ma bisogna rispondere a un'altra questione: chi ha responsabilità di tenere accesa la sensibilità sul bene? «Chiunque eserciti il ruolo di guida», risponde Ratzinger, «in campo religioso, politico o culturale»: «Insieme dobbiamo impegnarci nella lotta per la libertà e nella ricerca delle verità. O le due cose vanno insieme, mano nella mano, o periscono miseramente».
Benedetto XVI indica con chiarezza il ruolo del cristianesimo «per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama il continente europeo "casa"». Sottolinea che la fede ha un ruolo «rispettoso, ma determinato nell'arena pubblica»; poi ricorda che «l'attenzione alla verità universale» non dovrebbe mai venir meno a causa di «interessi particolaristici», perché ciò porta a «frammentazione sociale e discriminazione».
Insomma bisogna saper guardare, scandisce il Papa davanti alle autorità politiche e ai diplomatici accreditati a Praga, «alle necessità del bene comune»: «La storia ha ampiamente dimostrato che la verità può essere tradita e manipolata a servizio di false ideologie, dell'oppressione e dell'ingiustizia».
Eppure bisogna gettare lo sguardo «oltre tali pericoli». Benedetto XVI è convinto che occorre un «paziente lavoro» nella «politica e nella diplomazia» e che l'obiettivo è quello di superare il «cinismo distruttivo», che nega «la ricerca delle verità» e il «relativismo», che «corrode i valori che sostengono la costruzione di un mondo unito e fraterno».

© Copyright Eco di Bergamo, 27 settembre 2009

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