domenica 13 settembre 2009

Mons. Martinelli: "Il Ratzinger che conoscevamo alla Congregazione per la dottrina della fede non corrispondeva al ritratto fatto dai media" (Dignola)


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l'intervista monsignor Raffaello Martinelli

Il Ratzinger che conosco non è quello ritratto dai mass media

Carlo Dignola

Monsignor Raffaello Martinelli, originario di Villa d'Almè ma da trent'anni a Roma, ieri è stato consacrato vescovo da Benedetto XVI in persona, nella basilica di San Pietro. Guiderà Frascati, una diocesi molto antica, eretta già nel III secolo, che copre anche alcune borgate di Roma (complessivamente 200 mila anime, 23 parrocchie, 132 religiosi, 3 diaconi permanenti ma solo 30 preti diocesani). Il nuovo vescovo bergamasco è quindi non solo dirimpettaio ma anche corresponsabile, assieme al Papa, della saldezza della fede nella Città eterna.

«Inizialmente – spiega – la mia consacrazione era prevista nella Cattedrale della mia diocesi. Era stata una mia precisa scelta quale segno di affetto, stima e dedizione alla sede che il Papa mi ha affidato. Poi il cardinale Tarcisio Bertone mi ha comunicato che il Santo Padre desiderava consacrarmi lui stesso a Roma, insieme ad altri nuovi vescovi della Segreteria di Stato. Di fronte a quel desiderio non potevo dire di no».

Lei ha collaborato per 23 anni con Ratzinger, quand'era cardinale. Che uomo è, di persona?

«Sì, ho avuto il privilegio e la soddisfazione di dargli la mia collaborazione alla Congregazione per la dottrina della fede, della quale era Prefetto. Il fatto poi che mi abbia affidato, fin dal 1985, il compito di coordinare i lavori di preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica, e successivamente l'impegno di caporedattore nell'elaborazione del suo Compendio, mi ha consentito di incontrarlo molto spesso e di usufruire della sua ottima competenza dottrinale-teologica, ma anche della sua meravigliosa capacità di ascoltare e dialogare in serenità e affabilità. Negli anni scorsi mi meravigliava molto il ritratto che i mass-media davano spesso di lui, che non corrisponde al tipo di conoscenza che io sperimentavo».

Ha lavorato a lungo al nuovo Catechismo. Perché avete fatto anche un Compendio?

«Già l'Antico Testamento ha presentato sintesi dell'annuncio salvifico: basti pensare alle Tavole della Legge, i dieci comandamenti sintetizzano tutta la morale naturale. I Vangeli stessi sono un compendio dell'annuncio fatto da Cristo. E l'uomo di oggi ha bisogno di sintesi; di pochi e sicuri punti fermi, in una società caratterizzata dalla frammentazione specialistica del sapere, dalla carenza di tempo, soprattutto da dedicare alla lettura; ma anche da desiderio di verità. L'ottima diffusione del testo in questi anni è una conferma della sua attualità».

Qual è la versione più usata dai fedeli?

«Certamente il Compendio».

Lei è specializzato in catechismi di facile uso.

«Da due anni ho collocato nella basilica di San Carlo al Corso a Roma, di cui sono primicerio, alcune schede catechistiche, a disposizione di quanti entrano. È vero che è una delle vie più frequentate della capitale, ma ho notato con non poca meraviglia che ne sono state prese più di 2 milioni di copie».

Chi vi richiede questi volumetti?

«Sacerdoti, catechisti, ma anche gente non credente, non praticante che desidera conoscere meglio i sacramenti».

Come ha reagito alla sua nomina a Frascati?

«Con non poca meraviglia. Per me è stato un fulmine a ciel sereno, non me l'aspettavo davvero. È successo tutto nel giro di dieci giorni. È prevalso in me il principio che ho sempre cercato di seguire nella mia vita sacerdotale e anche di suggerire ai preti del Collegio internazionale San Carlo Borromeo di cui sono rettore, circa i trasferimenti e gli incarichi: "Nulla chiedere e nulla rifiutare: solo ubbidire". Anche quando monsignor Oggioni mi chiese di venire a Roma, ubbidii. "Vai per un anno" mi disse l'allora il vescovo di Bergamo: sono diventati 29».

I vescovi lombardi nel Lazio non sono molti.

«Mi hanno detto, in effetti, che non ci si ricorda a quando risalga la nomina di un precedente sacerdote lombardo a una diocesi suburbicaria laziale, come pure l'ordinazione episcopale di un bergamasco da parte del Santo Padre nella Basilica vaticana. E ho scoperto anche che ci sono ben quattro borgate che appartengono al Comune di Roma ma fanno parte della diocesi di Frascati; per cui il vescovo di Frascati è - mi passi l'accostamento! - anche vescovo di una porzione di Roma. E inoltre la diocesi di Frascati ha come cardinale titolare Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Benedetto XVI. Tutti questi aspetti aumentano la mia responsabilità, e intensificano il mio legame con il Successore di Pietro».

Quali sono i problemi che pensa di affrontare subito?

«Desidero anzitutto pormi in ascolto della realtà che mi viene affidata. E sarà mio impegno ascoltare non solo le realtà ecclesiali, ma anche quelle sociali e civili, così da poter conoscere e valorizzare tutte le voci presenti. Naturalmente anch'io ho delle realtà che mi stanno più a cuore: l'annuncio fedele e integrale del Vangelo; la pastorale vocazionale al fine di assicurare santi e numerosi sacerdoti; l'attenzione alla famiglia».

Lei si è già occupato di pastorale familiare.

«Sì, nella mia vita sacerdotale ho sempre avuto un'attenzione speciale per la famiglia, fin da quando ero curato in Città Alta, nella parrocchia della Cattedrale e poi in Città Bassa alle Grazie. Anche a Roma ho collaborato con varie parrocchie su questi temi. A Frascati ho già avviato la costituzione di un Consiglio diocesano per la pastorale familiare, formato da coppie di sposi indicate dai sacerdoti delle varie zone. Che la famiglia sia attrice-soggetto e nello stesso tempo destinataria di una specifica pastorale, ritengo sia una scelta doverosa e urgente».

Preti ne ha pochi: l'esperienza del Seminario bergamasco la aiuterà di fronte a una crisi di vocazioni simile?

«Senz'altro, anche se i tempi e le esigenze pedagogiche e pastorali sono ben diversi rispetto a ieri. Penso inoltre che un prezioso aiuto me lo darà anche l'esperienza maturata al Collegio sacerdotale internazionale San Carlo Borromeo, dove si sono avvicendati, durante i miei 22 anni di rettorato, più di 500 studenti, per lo più giovani, provenienti da tutto il mondo».

Cosa la lega ancora a Bergamo?

«Tantissime realtà: le mie origini, la mia famiglia, la mia formazione umana e sacerdotale, la mia parrocchia nativa di Villa d'Almè dove ho ricevuto non solo i Sacramenti dell'iniziazione cristiana ma anche (fatto inusuale nella nostra diocesi) l'ordinazione sacerdotale; i miei primi anni di ministero nelle parrocchie cittadine… Certamente i nuovi impegni che ora mi sono stati affidati non mi consentiranno di intensificare le già poche "scappatelle" in terra bergamasca, ma il cuore e - perché no? - l'accento rimangono bergamaschi».

È vero che lei, nonostante i trent'anni in Vaticano, ama ancora la montagna?

«Sì, e molto».

Si accontenterà dei colli?

«Sono ben felice di sapere che il territorio della mia diocesi va, in pochi chilometri, da 100 a circa 900 metri di altitudine».

© Copyright Eco di Bergamo, 13 settembre 2009

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un salto poi a Milano, a succedere a Tettamanzi ...