martedì 27 ottobre 2009

Il Papa: la fede della Chiesa «vera chiave» della Bibbia (Rosoli)


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Il Papa: la fede della Chiesa «vera chiave» della Bibbia

DI LORENZO ROSOLI

La Sacra Scrittura, «in questo mondo secolarizzato», diventi «non solo l’anima della teologia, bensì pure la fonte della spiritualità e del vigore della fede di tutti i credenti in Cristo». Perciò il Pontificio Istituto Biblico deve proseguire «con rinnovato impegno » il proprio, peculiare «servizio alla Chiesa», cioè «avvicinare la Bibbia alla vita del popolo di Dio». Un servizio che si manifesta nella formazione e nella ricerca scientifica.
Consapevoli – alla luce della costituzione conciliare Dei Verbum – che se il metodo storico-critico è legittimo e necessario, è «la fede della Chiesa» la «vera chiave d’interpretazione »; alla Chiesa «è affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio»; e «la Tradizione non chiude l’accesso alla Scrittura, ma piuttosto lo apre».
Con queste parole Benedetto XVI si è rivolto ieri alla «comunità» del Pontificio Istituto Biblico, ricevuta in udienza nel centenario della fondazione. Nella Sala Clementina del Palazzo apostolico vaticano, i docenti, gli studenti – provenienti da sessanta Paesi diversi – e il personale del Biblico: a nome loro il cardinale Zenon Grocholewski – prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica e gran cancelliere della Gregoriana, alla quale il Biblico è consociato – ha confermato «l’im- pegno di proseguire con rinnovata fedeltà il servizio ecclesiale» legato alla vocazione propria del centro di studi voluto un secolo fa da Pio X e fin dall’inizio affidato alla Compagnia di Gesù.
Proprio ai gesuiti –salutando il loro preposito generale, padre Adolfo Nicolás Pachón – il Papa ha manifestato «sincera gratitudine» per il «notevole sforzo» in «risorse umane» e «investimenti finanziari» destinati alla «gestione della Facoltà dell’Oriente antico, della Facoltà biblica qui a Roma e della sede dell’Istituto a Gerusalemme». Guardando poi al cammino degli ultimi cent’anni, ha richiamato il crescente «interesse per la Bibbia». E ha sottolineato: «Grazie al Concilio Vaticano II, soprattutto alla costituzione dogmatica Dei Verbum – della cui elaborazione fui diretto testimone partecipando come teologo alle discussioni che ne hanno preceduto l’approvazione – si è avvertita molto più l’importanza della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Ciò ha favorito nelle comunità cristiane un autentico rinnovamento spirituale e pastorale, che ha interessato soprattutto la predicazione, la catechesi, lo studio della teologia e il dialogo ecumenico».
A questo «rinnovamento» l’Istituto ha contribuito con le proprie attività di ricerca scientifica, insegnamento, pubblicazioni, col suo prestigioso corpo docente – Ratzinger ha ricordato il nome del cardinale Agostino Bea – che ha formato «più di settemila professori di Sacra Scrittura e promotori di gruppi biblici, come pure molti esperti». Un’attività «tesa ad interpretare i testi biblici nello spirito nel quale sono stati scritti, ed aperta al dialogo con le altre discipline, con le diverse culture e religioni ». La sfida, ora, è continuare ad «avvicinare la Bibbia alla vita del popolo di Dio, perché sappia affrontare in maniera adeguata le inedite sfide che i tempi moderni pongono alla nuova evangelizzazione». Ad illuminare lo studio della Bibbia – ha affermato il Papa – le indicazioni attuali e feconde della Dei Verbum , nella quale sono sottolineati «i punti di forza del metodo teologico nell’interpretazione del testo», oltre alla «legittimità e necessità del metodo storico-critico».
«Il presupposto fondamentale sul quale riposa la comprensione teologica della Bibbia – ha spiegato Ratzinger – è l’unità della Scrittura, ed a tale presupposto corrisponde come cammino metodologico l’analogia della fede, cioè la comprensione dei singoli testi a partire dall’insieme».
Ma la Dei Verbum «aggiunge un’ulteriore indicazione metodologica ». Se la Scrittura è «una cosa sola a partire dall’unico popolo di Dio, che ne è stato il portatore attraverso la storia», ne segue che «leggere la Scrittura come un’unità significa leggerla a partire dal popolo di Dio, dalla Chiesa come dal suo luogo vitale e ritenere la fede della Chiesa come la vera chiave d’interpretazione. Se l’esegesi vuol essere anche teologia – ha scandito il Papa – deve riconoscere che la fede della Chiesa è quella forma di sim-patia senza la quale la Bibbia resta un libro sigillato: la Tradizione non chiude la l’accesso alla Scrittura, ma piuttosto lo apre: d’altro canto, spetta alla Chiesa, nei suoi organismi istituzionali, la parola decisiva nell’interpretazione della Scrittura.
È nella Chiesa, infatti – ha concluso il Pontefice – che è affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta e trasmessa, esercitando la sua autorità nel nome di Gesù Cristo».

© Copyright Avvenire, 27 ottobre 2009

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