lunedì 26 ottobre 2009

L'inno alla carità da San Pietro a piazza Duomo (Lucio Brunelli)


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Il Papa: "Il discorso di un pastore deve essere realistico, deve toccare la realtà, ma nella prospettiva di Dio e della sua Parola. Quindi questa mediazione comporta, da una parte essere realmente legati alla realtà, attenti a parlare di quanto c’è, e dall’altra non cadere in soluzioni tecnicamente politiche; ciò vuol dire indicare una parola concreta, ma spirituale"

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Il Papa chiude il Sinodo dei vescovi per l'Africa: "Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace per tutti. E ciò implica la sua predilezione per quanti di libertà e di pace sono privi, per quanti sono violati nella propria dignità di persone umane. Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate" (Omelia)

L'ex Primate anglicano Carey si dice "costernato" per la Costituzione del Papa sugli "ordinariati personali" (Times)

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L'inno alla carità da San Pietro a piazza Duomo

Lucio Brunelli

Due piazze, san Pietro e il Duomo di Milano. Due cerimonie, la conclusione del Sinodo africano e la beatificazione di don Carlo Gnocchi.
Ma un unico filo ha legato, ieri, le solenni celebrazioni a cui hanno assistito decine di migliaia di fedeli. La testimonianza di un'umanità diversa, di un modo diverso di essere uomini e di rapportarsi ai propri simili. E Dio solo sa quanto, in questo momento di confusione e disorientamento, ci sia bisogno di una testimonianza e di una speranza così.
A Roma, nella basilica vaticana, abbiamo visto come sia possibile accostarsi a quel grande continente che è l'Africa con un interesse che non sia solo quello della bieca rapina o dell'inutile pietismo. Abbiamo visto un pezzo d'Africa che può pronunciare con verità parole come riconciliazione, pace, giustizia. Con verità, perché a queste parole corrispondono già dei fatti, delle esperienze di vita. Abbiamo ascoltato testimonianze di persone che hanno perdonato i carnefici delle loro famiglie, vittime dell'odio etnico e tribale.
Abbiamo ascoltato la testimonianza di una donna ugandese, Rose, che lavora in un centro di accoglienza di malati di Aids. Uomini poverissimi, che si guadagnano da vivere spaccando sassi da vendere ai costruttori. Eppure, ha raccontato Rose, gli è venuto spontaneo, qualche mese fa, raccogliere duemila euro (un capitale per loro!) per i terremotati dell'Abruzzo. Spontaneo, perché contagiati dall'esempio e dalla letizia di amici che vivono il dono della fede. «Il cuore dell'uomo – hanno risposto ai giornalisti increduli – è internazionale, non ha razza, non ha colore, e si commuove». Gratuità, passione per le sorti di un continente dimenticato hanno ispirato ancora una volta le parole del Papa. Anche ieri, chiudendo il Sinodo speciale sull'Africa, ha invocato un nuovo modello di sviluppo globale «che sappia includere tutti i popoli».
La carità è stata la vera protagonista anche della cerimonia di Milano, dove la Chiesa ha elevato alla gloria degli altari una straordinaria figura di prete lombardo: don Carlo Gnocchi, una vita intera spesa ad assistere ed amare orfani e ragazzi mutilati, vittime innocenti della Seconda guerra mondiale i cui orrori il sacerdote aveva sperimentato durante la tragica ritirata di Russia con gli alpini. «Solo la carità può salvare il mondo», il titolo scelto dal cardinale Dionigi Tettamanzi per riassumere la vita e il messaggio del nuovo beato. Carità che non è appena un «fare la carità», donare il superfluo ai meno abbienti ma, nel caso di don Gnocchi, un'esistenza investita e trasfigurata dall'amore di Cristo. Pura gratuità. «Accanto alla vita, sempre», il motto della beatificazione fatto proprio dal Papa. Il prete dei «mutilatini» ha vissuto nella sua carne la violenza e i drammi del Novecento, gli esiti folli delle ideologie al potere.
Eppure non si è mai rapportato al mondo come un «nemico da abbattere o da fuggire» ma come un «figliol prodigo da conquistare e redimere con l'amore». Una testimonianza quanto mai attuale anche per noi cristiani lamentosi dell'inizio del terzo millennio. Nei suoi scritti don Gnocchi ci ha lasciato uno degli inni d'amore più belli e appassionati del Secolo Breve. Vale la pena rileggerlo per intero, per avere un'idea di che pasta d'uomo sono fatti i santi: «Amiamo di un amore geloso il nostro tempo, così grande e così avvilito, così ricco e così disperato, così dinamico e così dolorante, ma in ogni caso sempre sincero e appassionato. Se avessimo potuto scegliere il tempo della nostra vita e il campo della nostra lotta, avremmo scelto… il Novecento senza un istante di esitazione».

© Copyright Eco di Bergamo, 26 ottobre 2009

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