martedì 18 novembre 2008

Anto­nio Baldassarre: "Aberrante se i giudici riscrivono le regole. La sentenza su Eluana contrasta con il codice penale" (Ruggiero)


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ETICA E GIUSTIZIA

Il presidente emerito della Corte costituzionale: più che fondata l’opinione secondo cui la sentenza della Cassazione contrasta con il Codice penale che punisce l’omicidio del consenziente

«La vita ha rilievo pubblico Dire il contrario è fuori dal nostro sistema giuridico»

Aberrante se i giudici riscrivono le regole

Baldassarre: distorsione della democrazia

DA ROMA

GIOVANNI RUGGIERO

Vivere o morire non è un fatto che resta nella sfera privata, ma riveste sempre un’im­portanza pubblica. Anto­nio Baldassarre, presiden­te emerito della Corte Co­stituzionale e docente di diritto costituzionale alla Luiss, critica questa deriva aperta dalla recente sen­tenza della Corte di Cassa­zione sul caso Eluana. È – a suo giudizio – una affer­mazione pericolosa, oltre che fuori dal nostro siste­ma democratico.

Professore, perché l’affer­mazione è fuori dal nostro sistema giuridico?

Non è convincente e rove­scia tutta la posizione fi­nora tenuta in materia. Ab­biamo a che fare con dirit­ti indisponibili che hanno una tutela costituzionale e quindi pubblica. Proprio sulla base di questo fatto, quando nel 1975 si giudicò l’aborto, non si seguì la via della Corte Suprema ame­ricana che aveva detto e­sattamente una frase come questa nella nostra Cassa­zione. La Corte Costituzio­nale italiana ha detto il contrario e cioè che quan­do siamo all’inizio della vi­ta, e si deve supporre an­che alla fine della vita, si ha a che fare con un interesse pubblico alla difesa della dignità umana e delle dife­sa della vita umana. Se de­cidere se vivere o morire è un affare privato, anche il diritto della salute non a­vrebbe senso; mentre in­vece questo diritto è difesa dalla Costituzione sia co­me fatto privato che come fatto pubblico. Credo che questa affermazione non si accordi con la Costituzio­ne.

Lei ha spesso ribadito che il giudice italiano può di fatto creare una norma, l’applica e ne è anche ga­rante. È corretto questo?

Il Costituente ha previsto che colui che dovesse vol­gere i principi costituzio­nali in regole, cioè in nor­me circostanziate, fosse il legislatore. Per un motivo semplice: il legislatore può fare tutto questo, in quan­to risponde al popolo. Se il popolo non fosse d’accor­do può cambiare la mag­gioranza parlamentare che ha fatto quelle norme. Quindi il legislatore può di­ventare minoranza e assu­me una responsabilità.

Insomma, paga. Pericolo che non corre il giudice...

Se permettiamo al magi­strato di fare quello che ha fatto la Cassazione nella sentenza sul caso Englaro (nella quale ha individua­to un diritto, ne ha stabili­to le circostanze, ne ha fis­sato i limiti e ne ha predi­sposto le modalità di eser­cizio) se fa tutto questo, stabilisce cioè la norma nel caso concreto che non tro­va nella legge, allora ab­biamo una autorità che non ha una responsabilità politica verso il popolo e, quindi, non ne subisce le conseguenze.
Evidente­mente siamo davanti a un ' governo dei giudici' che non ha nulla a che fare con il nostro sistema democra­tico.

Il procuratore di Messina, Alberto Di Pisa, non esclu­de che in teoria un pm po­trebbe perseguire penal­mente chi staccherà i son­dini che tengono in vita E­luana. Concorda con que­sta tesi?

Queste cose le ha dette già l’avvocato che ha rappre­sentato Camera e Senato nel conflitto di attribuzio­ne che la Corte Costituzio­nale non ha voluto decide­re benché gli estremi del­l’ammissibilità ci fossero tutti. È un’opinione più che fondata. In un sistema che prevede l’omicidio del consenziente o l’istigazio­ne al suicidio, la Cassazio­ne introduce una regola che è totalmente disso­nante con queste norme, che pure sono in vigore.

Non pensa che il cittadino sia quanto meno frastor­nato da queste decisioni così ambigue?

È la sciagurata conseguen­za di una affermazione del­la Corte Costituzionale, presa dal sistema tedesco, che un giudice, cioè, può fare una interpretazione costituzionalmente orien­tata. Questa possibilità i giudici la interpretano, co­me ha fatto la Cassazione, in un modo che non ha pa­ri in nessun ordinamento occidentale, e cioè che il giudice può creare una re­gola nel caso concreto, par­tendo da un principio co­stituzionale.
Questa è l’a­berrazione e stupisce che il mio collega Onida, quan­do sostiene la validità di tutto questo, non si accor­ga della distorsione provo­cata nel sistema democra­tico voluto nella nostra Co­stituzione.

© Copyright Avvenire, 18 novembre 2008

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